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Pier Paolo Pasolini, anniversario con falsità

di Massimiliano Mazzanti - 02/11/2015

Fonte: AsinoRosso


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Dispiace, a 40 anni dalla sua morte, leggere o ascoltare ancora dubbi circa le dinamiche e le responsabilità della morte di Pier Paolo Pasolini. Su input di Walter Veltroni, l’inchiesta sulla notte del 2 novembre all’Idroscalo di Ostia era stata, qualche anno fa, riaperta, ma anche recentissimamente richiusa, visto che i nuovi elementi addotti – e la ricognizione genetica dei reperti – non ha portato a nulla di significativo, rispetto a quanto già si sapeva da sempre. E, cioè, che Giuseppe Pelosi, alias Pino la rana, è il suo assassino: perché era con lui al momento della morte; perché era sporco del suo sangue; perché fu casualmente fermato a bordo dell’automobile dell’intellettuale pochi minuti dopo l’omicidio; perché fu trovato il suo anello sotto il corpo del poeta morto (anello che lui stesso chiede ai Carabinieri di ritrovargli); non da ultimo, perché all’alba di quella stessa tragica notte – entrando nella cella del carcere minorile di Casaldimarmo e rispondendo al giovane compagno di cella che aveva svegliato e che gli chiese cosa avesse mai combinato per arrivare in carcere a quell’ora – Pelosi rispose, più o meno testualmente: <Pensano che abbia rubato una macchina, ma oggi se ne accorgono che ho ammazzato Pasolini, mica sono scemi>. Oggi – terminata la pena – per lo più in interviste a pagamento a trasmissioni care alla Sinistra -, Pelosi si è più volte rimangiato la confessione di allora e degli anni successivi; oggi si dichiara innocente e sostiene di essersi autoaccusato per timore di rappresaglie da parte dei veri autori del delitto. Pelosi accusa con precisione, con nomi e cognomi. Di gente morta. Gente morta che, per di più, di se stessa non ha lasciato traccia nei vestiti e negli oggetti che Pasolini indossava e aveva quella notte. Una notte del 1975, quando l’esame del Dna non era neanche immaginabile fantascientificamente e ladri e assassini non si preoccupavano di sudare, perdere un capello o entrare “in contatto biologico” con le vittime. Eppure, non ostante l’ennesimo buco nell’acqua, c’è chi ancora, anche in queste ore, insiste e sostiene esserci chissà quale ombra dietro quel delitto. Perché? Perché Pasolini era un grande letterato, un buon poeta e un cineasta originale, ma anche un omosessuale con tendenze chiaramente pedofile e che non si faceva scrupolo di abusare di quei “ragazzi di vita”, dei quali poi raccontava le storie, nei romanzi come al cinema. Tutti gli italiani ne sono consapevoli e, per altro, anche politicamente distanti da Pasolini, non negano le reali grandezze dell’artista (anche se non tutti credono che lo sia stato a tutto tondo, come pretenderebbero i suoi fans più sfegatati), per la sua depravata debolezza sessuale (depravata perché rivolta sovente verso minorenni). Tutti gli italiani ne sono consapevoli, tranne che i suoi compagni: quelli di ieri, che lo emarginavano proprio a causa di queste sue tendenze, anche criticandolo come autore; quelli di oggi, che vorrebbero farne un santino. Un santino che rimarca, oggi più che allora, il diverso modo di essere di sinistra di Pasolini: forse, depravato, ma mai ipocrita come quelli che ne vogliono ancora sfruttare l’immagine.