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Occidente e islam hanno un problema in comune: «L’appiattimento dell’uomo»

di Leone Grotti - 02/11/2015

Fonte: Tempi


L’uno nega l’anelito alla trascendenza, l’altro lo imprigiona in dogmi. Sono due volti dello stesso «totalitarismo», scrive il filosofo “musulmano” Abdennour Bidar

islam-francia-shutterstock

C’è ancora un «totalitarismo» vivo e forte in Occidente: «Il suo vero volto è la cospirazione terribile, tirannica e segreta di tutte le forze intellettuali e sociali che condannano l’essere umano a un’esistenza senza verticalità». Anche l’islam non è da meno, con la sua idea di sacro «irrigidita nel dogmatismo e nel formalismo wahabita» che spiana facilmente la strada al terrorismo. In un articolo scritto per Le Monde, Abdennour Bidar individua con lucidità uno dei principali problemi comuni all’islam e al Vecchio continente.

FILOSOFO FRANCESE. Il filosofo è un personaggio dai tanti volti: figlio di una convertita alla versione sufi dell’islam, conosce il mondo musulmano dall’interno, è stato nominato dal governo francese membro dell’Osservatorio della laicità con deleghe sparse all’integrazione e al dialogo interreligioso. Quest’anno si è fatto notare in Francia con la pubblicazione della sua “Lettera aperta al mondo musulmano“, in cui denuncia senza omissioni le storture dell’islam, invocandone una riforma. Al di là delle soluzioni che propone, molto sincretiste e poco convincenti, le sue analisi meritano di essere conosciute.

PERDITA DELLA TRASCENDENZA. L’islam, argomenta il filosofo, non destabilizzerebbe così tanto l’Occidente se questo «non fosse diventato così fragile», così come lo Stato islamico non potrebbe avere così tanto successo se «non fosse il sintomo di un cancro di civiltà ancora più grave che prolifera un po’ dappertutto nel corpo dell’Umma musulmana». L’uomo contemporaneo, continua Bidar, «non ha più accesso al suo diritto spirituale, di essenza metapolitica. Questa è la pecca del sistema dei diritti umani, un insieme di diritti politici e sociali al centro dei quali non si trova nessuna idea della trascendenza che abita il cuore dell’essere umano». Così la modernità vede nell’uomo soltanto «l’animale politico», ma non «l’animale metafisico».

CRISI SPIRITUALE. Ecco perché, secondo Bidar, «la nostra crisi più grande non è né economica, né finanziaria, né ecologica, né sociopolitica, né geopolitica: è una crisi spirituale di assenza radicale – tanto nelle élite quanto nelle masse – di una visione del sublime nell’uomo che può essere condivisa da tutti: dagli atei agli agnostici ai credenti. E se ce n’è uno, questo è il vero volto del totalitarismo odierno».

«LE RADICI DEL MALE». Il filosofo francese è altrettanto duro con l’islam. Nella sua “Lettera aperta al mondo musulmano”, parlando del terrorismo islamico come di un «mostro», scrive: «Il problema è quello delle radici del male. Da dove provengono i crimini di questo cosiddetto “Stato islamico”? Te lo dirò, amico mio. E questo non ti farà piacere, ma è mio dovere di filosofo. Le radici di questo male che oggi ti ruba il volto risiedono in te, il mostro è uscito dal tuo ventre, il cancro è nel tuo corpo. E così tanti nuovi mostri, peggiori di questi, usciranno ancora dal tuo ventre malato, fintanto che tu ti rifiuterai di guardare in faccia questa verità e che impiegherai del tempo ad ammettere e ad attaccare finalmente questa radice del male! Anche gli intellettuali occidentali, quando dico loro questo, lo vedono con difficoltà: la maggior parte ha talmente dimenticato che cos’è la potenza della religione, nel bene e nel male sulla vita e sulla morte, che mi dicono “no, il problema del mondo musulmano non è l’islam, non è la religione ma la politica, la storia, l’economia, eccetera”».

CROLLO DELL’UMANO. Criticando in questo modo Occidente e islam, Bidar conclude su Le Monde: «Con la sua idea di sacro irrigidita nel dogmatismo e nel formalismo wahabita, l’islam è l’altra faccia della stessa medaglia rispetto al nostro Occidente che diluisce il sacro nel relativismo e nella disillusione generale, due manifestazioni sofferenti e impotenti di uno stesso appiattimento o crollo su se stesso dell’umano».