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Il rifiuto di Thierry

di Fabrizio Marchi - 09/11/2015

Fonte: L'interferenza

Consiglio a tutti/e di vedere “La legge del mercato”, l’ultimo film del regista Stéphane Brizé che, alla luce di questa sua opera, potrebbe essere a buon ragione definito una sorta di novello Ken Loach francese, naturalmente con le peculiarità del caso. Il film è crudo, iperrealista, girato in larga parte con attori non professionisti (come faceva anche Pasolini).
La storia è quella di un uomo di 51 anni, Thierry, un lavoratore e un padre di famiglia, come si soleva dire una volta prima che questo concetto fosse ridotto a sinonimo di mera brutalità e oppressione patriarcale e oscurantista, con moglie e un figlio gravemente disabile, che “perde” il lavoro, o meglio, viene licenziato dall’azienda che ha scelto di delocalizzare, cioè di chiudere i battenti per riaprirli in un altro paese dove la tassazione è favorevole, il governo spalanca le porte alle imprese straniere, i costi di produzione e soprattutto quello del lavoro sono molto più bassi. Tradotto: dove è possibile sfruttare meglio la manodopera senza seccature come diritti, sindacati, regole, scioperi ecc. raccontando pure che si sta aiutando quel paese a svilupparsi.
Thierry le tenta tutte, partecipa a dei corsi di formazione che si rivelano totalmente inutili, si sottopone a umilianti colloqui di selezione del personale, ma senza nessun risultato concreto. Fino a quando verrà finalmente assunto in un ipermercato in qualità di addetto alla vigilanza. La sua funzione è quella di controllare attraverso un sistema di telecamere a circuito interno i clienti che prendono la merce dagli scaffali e se la mettono in tasca senza dichiararla alla cassa, e soprattutto gli altri lavoratori, in special modo le cassiere e i cassieri che saltuariamente si intascano i coupon invece di distribuirli ai clienti oppure utilizzano la loro “carta fedeltà” in modo improprio al fine di accumulare i punti per poter fare la spesa.
Ed è grazie o a causa del suo lavoro e quello degli altri sorveglianti che persone anziane resesi colpevoli di aver sottratto una confezione di carne o di marmellata oppure dei giovani che si sono infilati nella tasca il caricabatterie di un cellulare vengono sottoposti a umilianti quanto sgradevoli perquisizioni e interrogatori da parte dei guardiani-controllori e del direttore dell’ipermercato.
Ma ben presto Thierry si renderà conto del vero obiettivo della direzione e della reale finalità del compito gli è stato affidato. Un suo collega che lo aveva istruito circa le sue mansioni gli spiega che in realtà la proprietà se ne infischia di qualche oggetto trafugato ma ha “necessità” di licenziare perché deve aumentare la produttività e diminuire le spese, cioè deve “diminuire” il personale.
Un giorno, una delle cassiere, una signora tra i 50 e i 60 anni con più vent’anni di servizio sulle spalle, sorpresa dalle telecamere mentre si infila nella tasca dei coupon, viene portata nello stanzino angusto e asettico dove si svolgono le perquisizioni e si minaccia di far intervenire la polizia qualora il cliente si rifiuti o non sia nelle condizioni di pagare gli oggetti sottratti. “Interrogata” dal direttore dell’ipermercato, questi le spiega con modi freddi e sprezzanti che il rapporto di fiducia tra lei e l’azienda si è ormai incrinato in seguito al suo comportamento e che in virtù di ciò sarebbe stata licenziata. A nulla valgono le spiegazioni della donna che lo supplica di trovare un aggiustamento. L’episodio avrà un esito tragico. Pochi giorni dopo la donna deciderà di togliersi la vita proprio all’interno del supermercato.
Scatta immediatamente la “controffensiva” della direzione dell’azienda che convoca tutti i dipendenti per cercare di ridimensionare quanto era successo, spiegando che quella donna aveva tante ragioni per essere depressa (fra gli altri, il figlio tossicodipendente) e che nessuno doveva sentirsi in alcun modo responsabile per quanto accaduto.
Anche Thierry sembra ascoltare con apparente indifferenza le parole del responsabile delle “risorse umane” e torna alla sua vita.
Passa del tempo, grazie al nuovo lavoro Thierry riesce ad ottenere un piccolo prestito dalla banca per poter pagare gli studi al figlio disabile e riesce scongiurare la vendita dell’appartamento acquistato grazie all’accensione di un mutuo(la banca lo stava pressando in tal senso perché temeva che non fosse più in grado di assolvere al suo debito), e la drammatica vicenda della collega suicida sembra essere dimenticata.
Fino a quando un’altra cassiera non sarà “pizzicata” dalle telecamere mentre sottrae alcuni buoni acquisto e portata nello stanzino per essere sottoposta al solito interrogatorio, con licenziamento finale.
Il gioco degli sguardi fra la donna e Thierry diventa fondamentale in questa scena finale. Il film che scorre per lo più in modo abbastanza lento e cadenzato (secondo una certa tradizione del cinema francese) ora invece ha un’improvvisa accelerazione. Thierry incrocia per alcuni lunghissimi attimi lo sguardo della donna quando improvvisamente la telecamera si sposta su di lui che viene ripreso alle spalle mentre si incammina rapidamente e in modo deciso verso il suo armadietto, come quello di uno che in pochi secondi ha preso una decisione consapevole e irrevocabile. Si cambia, si toglie la divisa, riprende le sue cose e se ne va, senza pronunciare una parola.
Thierry ha scelto di non essere più complice di tutto questo, costi quel costi. Anche lui “tiene famiglia”, come tanti altri/e, e ha anche un figlio handicappato, non sa quando ritroverà un nuovo posto di lavoro ma è consapevole di aver fatto la cosa giusta. Nonostante tutte le difficoltà a cui sa di andare incontro, Thierry ha il coraggio e la forza di opporre il suo rifiuto.
Un eroe dei nostri tempi.