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Joseph de Maistre, un pensatore per l'Europa

di Luca Leonello Rimbotti - 23/11/2015

Fonte: Italicum

 

La percezione che il procedere del progresso costituisca una degradazione accelerata verso la fine della civiltà, era una volta il patrimonio dei reazionari: una genìa di perdenti, si diceva, avvolta dal discutibile fascino dell’antiquariato ideologico. In effetti, siamo da sempre abituati a considerare quei conservatori emarginati come vittime superate, rimpiangevano i bei tempi, amavano l’ordine e la tranquillità di certezze antiche e immutabili, consideravano la religione un ottimo sistema per inchiodare l’uomo alla sua condizione di suddito devoto, e così via. Il reazionario di una volta era insomma il passatista, il bigotto, non capiva la modernità, era vecchio di idee e inerte d’azione. Oggi, dopo le finali affermazioni del materialismo cosmopolita che guida una forma di progresso mostruosamente nichilista, a ben guardarlo il reazionario cambia alcuni connotati decisivi e finisce con l’assumere i toni del profeta eversivo, del sobillatore rivoluzionario, che indica come meta quanto di più radicalmente opposto al sistema demo-liberale mondializzato. La meta che indicavano i reazionari di un tempo, dopotutto, era essenzialmente l’origine. Essi erano dei veri neoplatonici, i curatori dell’ordine trifunzionale e della gerarchia sacra. Ciò che fu grande e giusto in origine, così pensavano, grande e giusto tornerà ad essere, poiché l’origine coincide col vero. Così come, sempre, l’inizio indica autenticità e purezza.

Oggi, che siamo alla fine, la stessa idea di origine e di inizio assume un suono detonante, innovatore e sovvertitore. Il discorso quindi si rovescia e il reazionario diviene rivoluzionario e il rivoluzionario e i suoi eredi, nel frattempo divenuti falsi moderati, si presentano per ciò che sono davvero: i veri reazionari, gli autentici oscurantisti.

Difatti, ci è stato detto a lungo che i pensatori controrivoluzionari del XIX secolo erano la retroguardia. Erano il passato remoto, la storia morta e sepolta, gli sconfitti irrecuperabili. I Donoso Cortés, i Burke, i de Bonald, i de Maistre come anchilosati relitti di un passato legittimista strapiombato nei recessi dell’oblio storico. Ma a noi non interessano i particolari. A noi deve interessare lo sguardo distanziato sui fenomeni nel loro complesso, nel loro valore giudicato a distanza e d’un tratto. Certamente non intendiamo fare i riesumatori di salme. A noi interessa riconoscere e trarre allo scoperto il valore dell’uomo europeo ovunque questo si trovi e in qualunque modo riesca ancora ad irraggiare una luce, per flebile che sia.

Quando Isaiah Berlin, negli anni Cinquanta del Novecento – epoca preparatoria del trionfale dissesto che si sta consumando nel Duemila inoltrato – senza tanti complimenti collocava de Maistre a fianco del fascismo, equiparando tradizione antica e totalitarismo moderno, non faceva postuma propaganda terroristica antifascista. Diceva alcune cose di gran peso, che devono farci riflettere. Ad esempio, che a differenza di quello moderno, l’uomo della tradizione riconosce la vita per ciò che essa è, nelle sua bellezza ed anche nella sua terribilità. Quando de Maistre scriveva che «nel vasto campo della natura vivente regna una violenza manifesta…vi trovate di fronte al decreto della morte violenta scritto sui confini stessi della vita…», oppure quando glacialmente affermava che «la guerra è divina in se stessa, poiché è una legge del mondo. La guerra è divina, inoltre, a causa delle sue conseguenze di ordine soprannaturale»[1], egli stabiliva l’accettazione della legge sovrana di natura e l’uomo ve lo poneva davanti, senza narrazioni fiabesche, senza retoriche e più o meno criminali buonismi. Effettivamente, questo dettaglio è una colonna della visione del mondo tradizionalista come di quella fascista e paradossalmente lo è tanto del tradizionalismo cattolico quanto del moderno neopaganesimo.

De Maistre insegnava che la durezza della vita non è da nascondere, ma da amare anch’essa, come di cosa naturale e sacra: «Tutta la terra, perennemente intrisa di sangue, non è che un immenso altare sul quale tutto ciò che vive deve essere immolato all’infinito, senza misura, senza tregua…fino all’estinzione del male, fino alla morte della morte». Concezione tragica del mondo, certamente, ma anche visione romantica, circonfusa di sana accettazione per gli aspetti reconditi, segreti, anche terrifici dell’esistere. L’uomo della tradizione è un sognatore, ma è ancor più un realista, che accetta la realtà e non la stravolge con le utopie e gli abbellimenti dei deboli e dei pavidi. Questo dato è essenziale. La tradizione, cioè, non racconta fiabe, ma insegna la vita così com’è. E Berlin dunque, non per caso, paragonava il mondo tradizionale di de Maistre con quello dei grandi celebratori della sacralità del potere e della natura, i propugnatori della rivolta anti-illuminista innescata nel Novecento, e dirà quindi de Maistre fratello d’anima di Nietzsche, di Sorel e Pareto, di D.H.Lawrence e Hamsun, di D’Annunzio e Maurras, fino addirittura al Blut-und-Boden e «molto al di là dell’autoritarismo tradizionale». C’è infatti in de Maistre, come coglieva genialmente Berlin, un che di autenticamente moderno e al contempo anti-modernista: è questo il fuoco della rivolta tradizionale che la Modernità ha concepito per arrestare il rovinoso procedere del modernismo illuminista. Per avere un’idea della potenza sottesa alle idee di de Maistre, occorre però rileggere la formidabile pagina che Berlin ha dedicato al pensiero del vecchio controrivoluzionario savoiardo:

«La dottrina della violenza come cuore delle cose, la fede nel potere di forze oscure, la glorificazione delle catene come unico strumento capace di raffrenare gli istinti autodistruttivi dell’uomo e di usarli al fine della sua salvezza; l’appello alla fede cieca di contro alla ragione; la convinzione che soltanto ciò che è misterioso può sopravvivere; la dottrina del sangue e dell’autoimmolazione, dell’anima nazionale e dei fiumi che fluiscono in un unico immenso mare; la nozione del carattere assurdo dell’individualismo liberale, e soprattutto dell’influenza sovversiva degli intellettuali critici sciolti da ogni controllo: è una musica che da allora abbiamo sicuramente ascoltato più volte».[2]

 

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Come sappiamo, questa musica è stata suonata ad alto voltaggio nella prima metà del Novecento al fine di scuotere le fondamenta dell’inganno liberale-razionalista, conducendo ad una sfida macrostorica i cui esiti nefasti i popoli europei stanno ancora tragicamente scontando. Ce n’è dunque abbastanza per giudicare che le posizioni di un reazionario di gran nome, lungi dal rappresentare un mummificato passato, se sogguardate più attentamente giungono ad essere quanto di più dirompente e rivoluzionario, nel senso di rappresentare l’antitesi armata al pensiero unico individualista-illuminista di ieri e di oggi. Quelle posizioni costituiscono infatti un bacino d’idee dei più preziosi, cui attingere nell’opera di ricostruzione di una Weltanschauung di contrapposizione al dominio liberaldemocratico dell’epoca globalizzata. Si capisce, in questo modo, che il pensiero “reazionario” storico, quello dei grandi anti-illuministi, di cui de Maistre fu uno dei capiscuola, non è materia per conservatori o borghesi moderati. De Maistre fu tutto fuori che un moderato. Comprese appieno che la distruttiva sfida portata alla civiltà dalla sovversione illuminista avviata nel 1789 andava combattuta con altrettanta capacità di decisione. Tra l’altro, uno dei punti politicamente più fiammeggianti della filosofia del conte savoiardo fu proprio l’aspetto della decisione, non a caso a lungo perlustrato da uno che di questi temi, legati alla sovranità e alla legittimità, ben si intendeva, cioè Carl Schmitt.

La filosofia della controrivoluzione come atto di decisionismo politico è quanto Schmitt sottolinea. In essa si ha il segnale storico di una prima volontà di contrapposizione al gesto sovversivo dei giacobini illuministi, ciò che significò per l’Europa l’inizio della drammatica decadenza oggi al suo apice. In questi due secoli abbondanti l’Europa ha visto andare a vuoto tutti i tentativi di raddrizzare il piano inclinato su cui i philosophes illuministi l’hanno sospinta. Nondimeno, è della massima importanza sottolineare che solo un atto di volontà politica potrà un domani mutare il corso degli eventi. Poiché non è subendo passivamente ciò che appare ineluttabile che si converte il male in bene, ma combattendo il primo col secondo attraverso un movimento di antitesi. Come precisò Schmitt, «de Maistre parla con particolare predilezione della sovranità che per lui significa essenzialmente decisione. Il valore dello Stato consiste nel fatto che esso prende delle decisioni, il valore della Chiesa nel fatto che essa è l’ultima decisione inappellabile».[3]

L’essenza teologica, teocratica del potere, la sua sostanziale derivazione dal diritto naturale, la critica feroce alla ragione individuale, l’elogio del comunitarismo contro l’individualismo, la cura fanatica per le tradizioni in quanto consuetudini custodite dall’animo atavico del popolo, il rispetto per la catena delle generazioni che rendono sacra la comunanza, la socialità come stato naturale e primario dell’essere umano, la prevalenza dei doveri sui diritti, la condanna delle dottrine contrattualiste e utopistiche…ecco solo alcuni degli spunti che fanno del pensiero di de Maistre qualcosa di ancora vivo e vitale, un catalogo programmatico di radicale contrapposizione all’egualitarismo universalista.

La stessa concezione del papato come massima istituzione legittima superiore all’autorità civile, lungi dall’essere mero confessionalismo, derivava in linea retta dall’alta considerazione che de Maistre aveva per l’antica sacralità del potere, in quanto punto di raccolta simbolico e pratico di un disegno provvidenziale interno al processo storico. Ciò che fece apprezzare de Maistre a quanti – come in specie Evola – andavano in cerca di elementi non solo culturali, ma anche politici e ideologici, da raccogliere per rilanciare la concezione trascendente di contro a quella materialista imperante.

La stessa giovanile appartenenza di de Maistre alla Massoneria martinista (diversa, e in alcuni punti contraria, alle massonerie di Stretta Osservanza di origine britannica o degli Illuminati di Baviera, autenticamente sovversive) è da vedersi come un portato dell’inclinazione agli studi esoterici e al culto per gli aspetti reconditi della storia e del destino, che indussero de Maistre ad accettare la teoria del complotto ordito dalle forze rivoluzionarie contro il regime d’ordine tradizionale. Il discorso, complesso e variegato, lo riassumiamo qui in uno slogan luminoso, secondo cui, come scriveva de Maistre, “non sono gli uomini che fanno la rivoluzioni, ma è la rivoluzione che si serve degli uomini”.

 

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Questa mente sovversiva e degenerata interna alla storia, che agisce come una macchina intelligente tutta tesa al nichilismo e alla distruzione, de Maistre la disse cosa empia, il vero, più profondo e pernicioso assalto che le forze inferiori conducono contro gli assetti verticali dell’esistente, devastando con esiti di crescente distruttività tutti i campi della vita associata, del pensiero, dei valori. Fenomeni viventi di vita propria e artificialmente prodotti dalle entità negative che corrodono la società, le rivoluzioni in questo senso non sono tanto il frutto della volontà umana, quanto del segreto procedere di malattie mortali dell’anima, di cui l’Illuminismo fu somma epitome: il disegno artificiale  e intellettuale di costruire un uomo inventato di sana pianta dalla fantasia accademica, l’uomo cittadino del mondo, sfigurato dall’eguaglianza e avvilito dall’individualismo. Da questa demenza assolutista è derivato tutto l’insieme delle degenerazioni oggi al potere con tanta maggiore virulenza di due secoli fa. Empio e delirante è, per de Maistre, il concepire l’uomo alla maniera illuminista, cioè privo di appartenenza, sradicato e snazionalizzato: «Non esiste l’uomo nel mondo. Nel corso della mia vita io ho conosciuto francesi, italiani, russi; grazie a Montesquieu so anche che si può essere persiani; ma in quanto all’uomo dichiaro di non averlo mai incontrato»[4]. La maledizione intellettuale che forgia l’individuo astratto e assoluto, indifferenziato, negando gli uomini nelle loro diverse specificità, è ciò che dà impulso alla grande congiura che si è abbattuta sull’Europa.

Davvero impressionante è il notare come intorno al 1809 de Maistre fosse in grado di veder chiaro ciò che ancora oggi moltitudini di ignari, sotto l’incantesimo universalista e cosmopolita, neppure sospettano. Si tratta di un grande gioco di prestigio, una colossale impostura, grazie alla quale l’empietà ammalia le sue vittime e ne fa le colonne del proprio potere: «Con un prestigio inconcepibile l’empietà si fa amare da quelli stessi di cui è la più mortale nemica; e l’autorità che essa è sul punto di immolare, l’abbraccia stupidamente prima di ricevere il colpo. Ben presto un semplice sistema diventa una associazione formale che con una rapida degradazione, si cambia in complotto, e infine in una grande congiura che copre l’Europa»[5]. Nulla, meglio di questa frase, potrebbe descrivere l’attuale cupio dissolvi che nel nostro tempo, ben più drammaticamente di allora, sta conducendo a rovina l’Europa per mano delle sue stesse classi dirigenti.

Al culmine della concezione di de Maistre noi troviamo elementi di rara potenza mobilitatrice. La sua convinzione che i popoli sono guidati da un’interna pulsione teurgica, quasi fossero medianicamente posseduti da un’arcana energia del destino, Adolfo Omodeo la giudicò una rappresentazione sacrale del genio dei popoli e sottolineò come de Maistre interpretasse «realisticamente les genie des peuples, come angeli, spiriti che abbracciano e compenetrano le intere nazioni, secondo una tradizione profetico-apocalittica e insieme neoplatonica che finiva a trasportar nel cielo, come lotte degli dèi, le lotte degli uomini»[6]. Quest’idea della lotta  che i popoli devono ingaggiare per salvare la propria identità tradizionale nel campo politico, come se si trattasse di una tregenda metafisica, è il maggior lascito di militanza politica e ideologica che de Maistre ha consegnato a quegli europei che fossero ancora disposti ad ascoltarlo.

                                                                                  

Luca Leonello Rimbotti

 



[1] J. de Maistre, Le serate di Pietroburgo (1803-17), Rusconi, Milano 1986, p. 399.

[2] Cfr. I. Berlin, De Maistre e le origini del fascismo, in Il legno storto dell’umanità. Capitoli della storia delle idee (1959), Adelphi, Milano 1996, pp 183-184.

[3] C. Schmitt, La filosofia dello Stato della controrivoluzione, in Teologia politica (1933), il Mulino, Bologna 1972, p. 76.

[4] Cfr. J. De Maistre, Lo Stato della restaurazione (1809), Volpe Editore, Roma 1975, p. 17.

[5] Ibid., p. 96.

[6] A. Omodeo, Un reazionario, il conte j. De Maistre, Laterza, Bari 1939, p. 39.