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L’ordine è di destra o di sinistra?

di Francesco Lamendola - 07/12/2015

Fonte: Il Corriere delle regioni



 

 

Farsi il bagno è di destra e farsi la doccia è di sinistra?, si chiedeva, con spigliata e irriverente ironia, Giorgio Gaber.

Passano gli anni, ma gli Italiani non cambiano: non cambiano mai. Sono ancora qui a chiedersi se il cappuccino è di destra e il caffè di sinistra (purché non sia corretto con la grappa, per carità: nel qual caso diverrebbe di destra, di estrema destra! A meno che non sia corretto con la Vodka, nel quale caso potrebbe anche essere considerato di sinistra!).

E l’ordine, l’ordine sociale, l’ordine pubblico: è di destra, è di sinistra? Desiderare di poter uscire di casa, la sera, e andare con la famiglia a gustare un gelato, o portare i bambini alle giostrine di quartiere, è un desiderio di destra o di sinistra? Perché, se a una cert’ora la città si popola di facce poco rassicuranti, se cade in balia di spacciatori e prostitute, che la tengono in ostaggio per tutta la notte e poi ce la restituiscono all’alba, lurida e sdrucita come una vecchia ciabatta, allora c’è da chiedersi se non sia il caso di aumentare la presenza della polizia e dei carabinieri, se non sia il caso di incoraggiare i giudici ad essere un po’ più severi, un po’ più rigorosi, e a non scarcerare i delinquenti ventiquattr’ore dopo il fermo, magari con la motivazione che in fondo, poverini,  hanno agito in stato di bisogno, o che erano incensurati, oppure che han promesso di rigare diritto.

Eppure, strano ma vero, il principale ostacolo a una politica di rigore, a una amministrazione basata sul rispetto della legge, non è solo, o non è principalmente, la scarsità di mezzi, la penuria di personale delle forze dell’ordine, la vaghezza e la estrema discrezionalità delle leggi, per cui nessun magistrato vuole tenersi fra le dita la patata bollente e tutti giocano a scaricarla nelle mani di qualcun altro, succeda quel che succede, tanto in Italia non è mai responsabile nessuno, o meglio sono responsabili tutti, cioè, in ultima analisi, appunto nessuno. Il vero problema è un altro: è la cultura buonista, permissiva, della sinistra, o meglio, del cattolicesimo di sinistra: perché sia chiaro che, in Italia, a fare il bello e il brutto temo non sono, né mai sono stati, la sinistra o la destra, ma sempre loro, i cattolici progressisti, i cattolici dell’altra guancia (l’espressione, sferzante nella sua ironia, è di Giorgio Lago), i buonisti a prova di bomba, i permissivisti a un tanto il chilo, afflitti da giganteschi sensi di colpa per il fatto che, dopotutto, un genitore deve insegnare qualcosa a suo figlio, e una maestra al suo alunno, e un professore al suo studente, e che un vigile deve fare la multa all’automobilista che contravviene al codice stradale, un bigliettaio deve sanzionare il passeggero che sale sul treno o sull’autobus sena biglietto, un tenente deve mettere agli arresti un soldato che rientra in  caserma ubriaco: ma tutto questo è tragico, intollerabile, insostenibile, perché contraddice il Vangelo catto-progressista che esorta, anzi ordina, di perdonare sempre chiunque, di scusare tutti, di giustificare anche i peggiori delinquenti, di assolvere anche chi compie il male in perfetta coscienza; ordina di negare che esista la malattia mentale, per cui i pazzi furiosi vanno lasciati sulla groppa delle famiglie, anche se le massacrano; pretende che il merito sia mortificato e la pigrizia premiata, per non generare nevrosi e magari traumi psichici negli sfaticati: insomma pretende che tutti siano promossi, che tutti siano laureati, che tutti siano caballeros, niente peones, niente pueblo, altrimenti la giustizia e la dignità della persona dove andrebbero a finire?

La domanda che si faceva, or sono quindici anni fa, un grande giornalista veneto, il compianto Giorgio Lago (nato a Vazzola nel 1937 e scomparso a Castelfranco Veneto nel 2005), «L’ordine è di desta o di sinistra?», attende ancora di ricevere una risposta seria e articolata da parte di molti intellettuali, e anche da parte di buona parte della società civile italiana, ormai talmente ideologizzata da aver perso di vista anche gli elementi di puro buon senso, sui quali si fonda la possibilità stessa della vita in comune.

Così scriveva in un articolo del settembre 1999 (in: «L’inguaribile riformista». Giorgio lago e la parabola del Nordest. Grandi pagine di giornalismo dal 1996 al 2005»Venezia, Marsilio Editore, 2007, pp. 85-87):

 

«Lasciamo perdere gli stili personali e andiamo al sodo della sicurezza. Il sindaco di Brescia (professore di storia, diessino e cattolico vicino a Martinazzoli) dice su per giù le stesse cose del sindaco di Padova (imprenditrice, eletta dal centrodestra) e del sindaco di Treviso (l’avvocato-sceriffo della Lega-Liga).

È la scoperta del secolo: “law and order” all’italiana, legge e ordine, ma nel senso che con il secolo muore anche un tabù della cultura di sinistra. E cioè che l’ordine sia di “destra”, dunque una fascistata, una tentazione da manganellatori, la tomba della solidarietà e del buonismo.

L’equivoco viene da un gene ideologico, persino ingenuo. Il vecchio PCI ammirava l’ordine sovietico quando detestava l’ordine pubblico di Scelba.  È la fine di un tic duro a morire. Veltroni invoca pene toste, rapide, certe mentre il ministro comunista Diliberto pretende “carcere duro contro i clan albanesi”.

Meglio tardi che mai, ma il tardi comporta degrado, illusioni, insomma la politica della rincorsa.  Padova è una città matrioska, una città dentro l’altra, tre in una: la città dei padovani, l’immensa città del sapere universitario,e la grande multinazionale della fede in sant’Antonio. Nn esiste una quarta Padova, una Padova del Bronx m, ma Padova ha in via Anelli il suo Bronx di quartiere che la inquieta, la provoca, le insinua l’idea del contagio latente.

Sotto gli occhi di tutti, è così da cinque anni, come Ferdinando Camon raccontò alla perfezione su questo giornale Per il complesso di dire sempre qualcosa di sinistra e per non dispiacere ai cattolici dell’altra guancia, l’amministrazione di sinistra si distrasse dal problema: fatalmente, per un bisticcio del destino, ciò che sembrava “di destra” è diventato di “Destro” [Giustina Mistrello Destro, allora sindaco di Padova]. Se a Mestre gli zingari sono troppi, anche il pacifico-pacifista Bettin deve mostrare denti e decreti.  Se a Treviso le aziende richiedono lavoratori stranieri senza avere abbastanza case e servizi per accoglierli come si deve, questo diventa un problema grosso come il PIL, non un pretesto per il “visto da destra” e il “vista da sinistra”.

La sicurezza tocca la vita di tutti i giorni e di tutti, dunque è un argomento ad altissimo potenziale elettorale.  Il tema buca il video, passa facilmente, si fa capire al volo. In termini di consenso, oggi i furti d’auto, i furti in appartamento,  il vandalismo, l’impunità diffusa, valgono politicamente più di dieci Tangentopoli. Può dispiacere, ma è così, a riprova che la sicurezza e/o l’insicurezza stanno diventando il parametro numero uno per qualificare lo standard di vita.

Attenzione, è un fenomeno mondiale, che tocca tutti i Paesi più sviluppato, senza eccezione. Ovunque, c’è il boom delle carceri, mentre i tassi di carcerazione aumentano persino in Norvegia, il Paese meno incline al mondo ad applicare pene detentive. Anche se il carcere ricrea criminali, trionfa il carcere.

Come ha spiegato il sociologo Zygmunt Bauman in un recentissimo saggio Laterza, l’endemica insicurezza appare come l’altra faccia della globalizzazione. Un mondo sempre più sovranazionale sorvola gli Stati, ma un mondo sempre più locale deve badare in proprio all’ordine sociale. Con un controsenso tutto nostrano, che salta agli occhi nelle città come nei paesi, particolarmente nel Veneto del policentrismo,: l’ordine diventa una domanda locale ma localmente la risposta è minima, per carenza di potere e di finzioni. I cittadini ne chiedono conto ai sindaci che, nonostante i proclami e i vigili a disposizione, sono nelle mani di prefetti e questori.

Il voto popolare punisce o premia il sindaco per le tante via Anelli di turno, addebitandogli anche responsabilità non sue. Siamo impreparati all’immigrazione, ma siamo ancora più impreparati all’idea di una società ordinata, presi in mezzo tra lassismo (di sinistra) e uomo forte (di destra).

L’immigrazione è soltanto l’acme di questo disordine culturale. La nostra società sarebbe insicura anche senza i i nuovi Bronx d’importazione, ma sono quei Bronx a illuminare a giorno il ritardo nel capire i tempi. La Caritas fa al meglio il suo lavoro, lo Stato no. D’Alema, dì qualcosa “di destra”, semmai.»

 

La domanda di ordine, già allarmata ai tempi di Giorgio Lago, è diventata drammatica in questi ultimi anni: quando un bigliettaio che osa chiedere il biglietto della metropolitana a un passeggero viene aggredito con la roncola e quasi gli staccano il braccio; quando dei vecchi pensionati vengono non solo rapinati in casa, ma massacrati di botte, seviziati, stuprati, infine uccisi; quando una studentessa che si reca a scuola o a prendere il treno viene aggredita e violentata in pieno centro urbano, quasi sotto il naso della polizia ferroviaria e di una folla di passanti frettolosi; e quando, da ultimo, le nostre città e le nostre piazze, come già quelle di Baghdad, di Damasco, di Tripoli, di Beirut, di tanti villaggi senza nome, dalla Nigeria alle Filippine, sono diventati luoghi di mattanza da parte d un terrorismo islamico che ha alzato il tiro e non risparmia nessuno, non fa distinzioni, vuole ammazzare tutti, buoni e cattivi, tanto non esistono buoni, dal suo punto di vista, ma solo fedeli e infedeli, e i cristiani sono tutti infedeli, dunque tutti meritevoli di morire.

Eppure, persino davanti a situazioni così estreme, noi siamo impacciati da una zavorra ideologica che ci portiamo dietro da almeno tre secoli:la zavorra illuminista e russoviana, secondo la quale gli uomini sono tutti buoni e bravi, finché la società cattiva non li trascina fuori strada; per cui sarebbe troppo crudele punirli quando sbagliano, bisogna avere fede che possano redimersi, bisogna fare credito ai delinquenti, ai drogati, ai pazzi, ai sadici e ai degenerati, lasciar loro un’altra opportunità, tenere sempre la porta socchiusa. Pesa su noi europei una tradizione democratica che è, piaccia o non piaccia, di origine giacobina, e quindi tende a idealizzare il “popolo”, qualunque popolo e qualunque cosa appaia di estrazione popolare: perché, diceva Robespierre, il vizio e il crimine sono aristocratici; e perché, ripetevano Marx e Lenin, una volta liberato il proletariato dalle sue catene e purificata l’aria dal puzzo della borghesia, gli istinti positivi torneranno ad emergere, e quelli negativi svaniranno come un brutto ricordo che scompare nella memoria. E pesa, soprattutto, su di noi, un cattolicesimo “progressista”, “buonista” e “di sinistra”, che strizza l’occhio alla rivoluzione, alimenta l’odio di classe, si nutre di rancore travestito da senso della giustizia, e di orgoglio camuffato da Vangelo: un cattolicesimo che si è fatto tutt’altra cosa da quello vero, dall’unico che discende dalla Rivelazione e che non si “aggiorna”, non si “rinnova” e non “diventa adulto” solo perché un pugno di teologi farneticanti e di vescovi o preti che hanno sbagliato mestiere, si sono svegliati una mattina dicendo d’aver capito, finalmente, loro e solo loro, quel che nessun cristiano aveva capito sino a ieri: che Dio, in fin dei conti, è l’uomo stesso; che l’amore va bene sempre e comunque (omosessualità e pedofilia comprese); e che l’unico Vangelo è quello di un generico “volersi bene”, per cui non c’è nulla da redimere, nulla da perfezionare, nulla da purificare, perché il peccato è passato di moda e l’uomo è già perfetto in se stesso, è meraviglioso così com’è, siamo tutti meravigliosi, che bello, non occorre nemmeno lavorare sui propri difetti, tanto meno andare a scavare in cerca di colpe inesistenti. È ancora e sempre l’uomo di Rousseau, appunto: l’uomo buono e innocente anteriore alla maledetta civiltà.

Finché non prenderemo di petto questo tipo di aberrazione mentale, non potremo nemmeno pensare la categoria dell’”ordine”, meno ancora tentare di applicarla alla nostra società, o individuare gli strumenti medianti i quali calarlo nelle nostre vite. Dobbiamo prima liberarci dalla follia buonista e dall’isterismo illuminista, ossia dobbiamo toglierci le bende dagli occhi e imparare a guardare le cose come stanno, e non come Rousseau le immaginava. Purtroppo, oggi stiamo marciando nella direzione opposta a quella che dovremmo tenere, se avessimo non già chi sa quale saggezza, ma almeno un minimo istinto di conservazione. Stiamo correndo verso l’auto-distruzione, e ciò perché non vogliamo dare torto alle nostre ideologie sbagliate, alle nostre colpevoli illusioni.

Per esemplificare quel che stiamo dicendo, riporteremo un episodio, in sé molto piccolo, ma significativo, specie tenendo conto che ne capitano di simili cento, mille volte al giorno. In una scuola elementare, un bambino autistico, forte e aggressivo, prende a morsi la maestra di sostegno e la manda all’ospedale per farsi dare i punti. I genitori, quando si degnano di venire a scuola, non che scusarsi, accusano la maestra e la scuola intera: è stato uno sbaglio aver cambiato l’insegnante. Davanti a tanta arroganza, tutti ascoltano, subiscono, tacciono. È il ricatto del buonismo. Nessuno dice che i bambini autistici non vadano aiutati: ma è questo il modo giusto d’inserirli nella società?