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Religioni: tolleranza non è sinonimo di dialogo

di Luciano Fuschini - 07/12/2015

Fonte: Il Ribelle


Lo schieramento a favore del laicismo è compatto e apparentemente al riparo da possibili confutazioni. Noi occidentali che veniamo da una cultura illuminista, più che cristiana, un illuminismo che ha informato di sé la mentalità dominante nell’epoca moderna, riteniamo che la religione sia un fenomeno di coscienza, da vivere nell’intimo di ogni credente e da manifestare in luoghi deputati alle diverse fedi, senza interferire nelle leggi dello Stato che rispondono a una logica puramente civile e politica.

Questa concezione della vita sociale è effettivamente l’unica che consente accettazione e rispetto tra le varie fedi. Infatti quando si parla di dialogo tra fedi e chiese diverse, in particolare tra le fedi monoteiste, si parla a vanvera, se per dialogo si intende la ricerca di punti di contatto e di convergenza che vadano oltre l’aria fritta di un semplice e generico umanitarismo.

Ognuna delle tre fedi monoteiste trae le proprie certezze dogmatiche da un libro sacro, che in quanto tale è direttamente ispirato dal Dio unico. Le parole di Dio sono indiscutibili, non possono essere oggetto di trattativa. Tra le fedi monoteiste è possibile solo la tolleranza, non un vero dialogo. 

Per i musulmani sostenere che Dio è uno ma anche trino e che Gesù è non solo un grande profeta ma il figlio di Dio, è un’orribile bestemmia. Non c’è possibilità di dialogo su questo. Ma il cristiano non può mettere in discussione la Trinità divina e la divinità di Gesù, se non al prezzo di rinunciare al suo essere cristiano. Tra le fedi monoteiste è possibile solo la tolleranza: tu cristiano vivi in una società musulmana, quindi devi accettare che le ricorrenze celebrate dai musulmani siano quelle di tutta la nazione, devi accettare che durante il Ramadan non si possa bere e mangiare in pubblico nelle ore di luce, e così via. Però la comunità musulmana ti consente di professare la tua fede nel chiuso della tua casa e in qualche luogo di culto che ti viene concesso. Questa è tolleranza, non dialogo. La reciproca vale per i musulmani che vivono in nazioni cristiane.

Questa condotta sembra, ed è, un comportamento altamente civile, introdotto dall’illuminismo e non sempre praticato nel mondo islamico che non ha conosciuto l’illuminismo. Questa è la ragione fondamentale della difficoltà di comprendersi quando un arabo musulmano e un occidentale tentano di discutere pacatamente su questi temi. È quasi sempre un dialogo fra sordi, le parole stesse vengono recepite con significati diversi, perché i due mondi, i due sistemi di riferimento, sono incomunicabili. Ciò non toglie che ci sia e ci sia stata una tolleranza nel mondo musulmano. In quei Paesi c’erano chiese anche in epoche in cui nell’Europa cristiana una nuova moschea sarebbe stata immediatamente rasa la suolo. Gli ebrei europei perseguitati soprattutto in Spagna nel XVI e XVII secolo trovavano rifugio nella più accogliente Olanda protestante e nel più tollerante impero musulmano turco. Questa è storia documentata. Tuttavia quella tolleranza non era e non è dettata dal razionalismo illuminista, bensì da alcuni versetti del Corano. Il Corano e non la razionalità illuminista resta comunque il riferimento pressoché unico dei musulmani. La loro tolleranza è dunque costantemente insidiata da un’interpretazione del Corano che ne privilegi gli aspetti più intransigenti e bellicosi. 

Dunque la conclusione appare obbligata. Solo la concezione laica garantisce la tolleranza fra le diverse fedi e la libertà di professarle.

Purtroppo nemmeno questa conclusione soddisfa pienamente, volendo scavare la questione fino in fondo.

La concezione laica che relega la professione della fede nel profondo delle coscienze individuali, è in realtà la via per inaridire e negare la stessa religione. La religione è vitale solo se diventa rito comune, atteggiamento fondamentale condiviso, sistema morale e valoriale che dà il tono alla mentalità del gruppo che la professa.  Relegarla alle coscienze singole e a luoghi di culto separati dal vivere civile e dalle istituzioni, significa inaridirla e ucciderla. È esattamente quanto è successo all’Occidente “illuminato”.

Diciamocelo senza infingimenti. Una società comunitarista e organica è una società tendenzialmente intollerante, una società che condivide valori forti e fedi forti, guardando con sospetto chi se ne dichiara estraneo.

La società tollerante è una società individualista e priva di un orientamento ideale che dia organicità ai comportamenti.

Fra queste opzioni si deve scegliere e non è facile farlo. Si possono e talvolta si devono trovare le terze vie, le conciliazioni. Ma ci sono circostanze storiche in cui si giunge a un bivio e si deve decidere. De-cidere è etimologicamente un “tagliare via”, operazione sempre dolorosa perché implica una scelta che esclude un’alternativa che ha pure una sua ragion d’essere.

Anche la tragicità insita nel dovere morale di scegliere fra diverse alternative è stata sottolineata da una filosofia occidentale. Non dall’ovvia banalità del razionalismo illuminista ma dallo scavo nel profondo dell’esistenzialismo.