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L’uomo pacificato

di Alex Barone - 07/12/2015

Fonte: L'intellettuale dissidente


In un tempo totalmente appiattito dai principi del liberismo dei mercati, certi valori e principi naturali sembrano essersi dissolti e l'uomo si presta a divenire un soggetto sempre più passivo e sempre più spento.
  

L’uomo occidentale moderno, rispetto all’uomo occidentale del passato, è, indubbiamente, guidato da valori e schemi etici del tutto differenti, e da riferimenti antropologici quasi opposti. La progressiva mercificazione della società, l’avvento della classe mercantile contro quella aristocratico-guerriera (in epoca medievale), con la conseguente intensa economizzazione dei rapporti, l’avvento del modello universale democratico, l’Illuminismo ed il progressivo processo di globalizzazione dei paesi, ha contribuito ad annichilire certi principi e a strutturare gli ordini di pensiero secondo altre logiche.
I nuovi modelli etici, fondati sui dogmi della competizione economica, del consumismo sfrenato, dell’esaltazione dell’individuo contro il senso di coesione comunitaria, il clima di graduale demistificazione d’ogni principio ideale (che non sia quello del libero mercato), hanno, in qualche modo, contribuito ad instaurare (nel mondo occidentale) una profonda condizione d’antitesi, ad esempio, rispetto alle aree del mondo orientale.

La nostra è un’epoca totalmente pacificata, dove i valori universali sembrano essere rimasti esclusivamente quelli strettamente connessi alle filosofie di impostazione liberale, con una conseguente carica eccessiva di esaltazione delle retoriche dei diritti civili, della liberalizzazione dei corpi, dell’esaltazione esclusiva dell’artificializzazione del mondo, a discapito di quelli che erano valori maggiormente naturali e comunitari.
Lo sviluppo massiccio dei mercati, la massima espansione del modello capitalista (a partire dal XVI secolo) ha, indubbiamente, mutato totalmente gli ordini antropologici della società, con la comparsa di forme culturali nuove e strutture sociali totalmente differenti rispetto a quelle delle epoche precedenti, con la costituzione di un assetto di poteri del tutto opposti. L’aver posto al centro d’ogni cosa i mercati e l’economia, inoltre, ha contribuito a disintegrare interamente i miti che avevano, ad esempio, dominato le società medievali e molte società antiche, ovvero i miti dell’uomo guerriero, dell’aristocratico illuminato, disposti a morire, a sacrificarsi per la patria e a rinunciare, talvolta, alle libertà individuali a favore di quel cosiddetto “ordine generale”. La nostra, è una tra le epoche più pacificate della storia, non nel senso che non vi siano più guerre (anzi), ma nel senso che la nostra percezione della guerra stessa e del mondo bellico in generale (anche rispetto a solamente settant’anni fa) è totalmente modificata.

Se un tempo servire la patria in battaglia e parlare di “guerra necessaria” era quasi del tutto naturale ed il rapporto tra l’uomo e la guerra stessa era molto più stretto e profondo, oggi, l’immagine stessa della guerra rimanda unicamente alle conseguenze peggiori della stessa (morte, distruzione e caos) ed il pacifismo militante è quasi divenuto una sorta di condizione naturale dello spirito dell’uomo occidentale moderno. La guerra, oggi, viene quasi concepita alla stregua di una realtà apparsa nella vita dell’uomo per puro caso, contro la sua volontà, non comprendendone talvolta le ragioni profonde del suo esistere; senza tenere conto che, fin da quando l’uomo è comparso sul pianeta, talvolta (come ogni altro essere vivente) utilizza atti di forza per imporre se stesso e che, in realtà, la guerra altro non è che un condizione interiore della natura umana (prodottasi dagli istinti legati alla sopravvivenza) volta a conservare se stessi contro le minacce esterne ed i pericoli della morte.
Si attribuisce alla guerra un valore esclusivamente distruttivo, ma non si ricorda la famosa “pax romana”, e che per ripristinare l’ordine, per restaurare la pace e ridefinire nuovi rapporti geopolitici, talvolta, un atto di forza e di coraggio è inevitabile. La causa principale di questo appiattimento dell’istinto bellico umano di questa passività della coscienza, e questa tendenza alla vita civile piuttosto che a quella militare, è indubbiamente prodotta a partire dall’avvento del modello capitalista e alla nascita (all’interno della società), di nuovi valori e nuovi interessi generali. Le guerre, per quanto siano necessarie per imporre, talvolta, le proprie ragioni d’esistenza e ridefinire gli assetti geopolitici (eliminando minacce e pericoli) sono sicuramente un forte attrito al libero sviluppo dei mercati, poiché è risaputo che le guerre in qualche modo (per ragioni pratiche evidenti) destabilizzano i mercati e si pongono come punto di inibizione al libero scambio commerciale.

Così, nell’epoca del capitalismo sfrenato, la difesa del territorio, della comunità e dell’onore non sono più i valori principali degni di massima ed assoluta difesa, ma gli interessi commerciali ed economici si annidano ad inconsci valori di difesa. Dietro la difesa di questi interessi, intanto, la cultura dominante ed i circuiti mediatici hanno articolato una sovrastruttura ideologica fatta di morale della passività, della rinuncia, della paura e della moderatezza e, piuttosto di intervenire, in difesa di se stessi e della propria comunità (dinnanzi alle minacce internazionali), si preferisce rifugiarsi dietro a stemmi color arcobaleno, prospettando un mondo totalmente appiattito, senza più atti eroici, ideali per cui sacrificarsi, né sentimenti d’ardimento e di coraggio. È il trionfo dell’individualismo più estremo.
Oggi, l’uomo moderno ha disperso dietro di sé ogni tipo di valore, consegnandosi ad un pacifismo massimo che esalta e dimostra quel forte individualismo che, gradualmente, sta demolendo il mondo occidentale intero.