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Il femminismo “buono” di Livia Turco

di Armando Ermini - 14/12/2015

Fonte: L'interferenza

La faccenda della maternità surrogata sembra aver provocato un solco profondo nel femminismo. Una parte di Se Non Ora Quando (SNOQ Libere), si è dichiarata nettamente contraria, in polemica con altre donne dello stesso movimento che invece considerano la maternità surrogata, ossia l’utero in affitto, come un fattore di libertà e di autodeterminazione femminile, nonché un modo per permettere alle donne di esaudire il proprio desiderio di maternità.
Livia Turco, ex ministro della salute e dirigente del PD, entra in campo a favore del divieto di quella pratica con un’intervista quotidiano sanità in cui mischia affermazioni del tutto condivisibili con altre inaccettabili, verità evidenti con altrettanto evidenti bugie e plateali omissioni .
“Pratica abominevole”, odiosa “forma di sfruttamento” delle donne più povere costrette, “per campare, a fare figli per gli altri”, “mercimonio”, sono alcuni dei modi con cui la Turco bolla duramente la maternità surrogata. E non manca la polemica forte contro una parte del femminismo che invece la incoraggia: “Stiamo diventando subalterne a un’idea della libertà nella quale si può fare tutto quello che si vuole”, ossia al pensiero del neo-liberismo e del “mercantilismo dilagante”.
Ineccepibile!
“Su questi argomenti non ci sono vie di mezzo: o è bianco o è nero”, prosegue. “Per tutta la vita mi sono battuta in difesa di valori che oggi, con grande preoccupazione, constato che si stanno perdendo”. “Le nostre lotte sono state per la maternità naturale, il parto naturale, non le tecniche”.
Ma davvero?
Eppure, a proposito della legge 40 sulla procreazione assistita la Turco auspicava nel 2007 che si “continui a riflettere, con grande rigore e sobrietà, sulla legge medesima, a partire dagli esiti dell’applicazione delle tecniche al fine di garantire alle donne e alle coppie la migliore efficacia e sicurezza delle tecniche”.
Insomma ci sono, per l’ex ministro, tecniche e tecniche. Quelle che prevedono la mercificazione dello sperma e l’innaturalità della paternità surrogata vanno bene, ma non quelle in cui a essere surrogata è la maternità. Solo allora si grida allo scandalo. Eppure già oltre dieci anni orsono, il biologo laico J. Testart, padre della prima bimba nata dalla provetta in Francia, aveva già messo in guardia dai pericoli delle tecniche di artificializzazione nel bel libro “La vita in vendita” (Lindau editore). Nonostante questo, le posizioni della Turco sarebbero da appoggiare lo stesso in nome di un freno al dilagare della mercificazione generalizzata di ogni aspetto della vita, solo se avesse un minimo pudore nel contraddirsi clamorosamente e se non arrivasse a falsificare la verità e la storia. In un passo dell’intervista pronuncia questa frase: “Non dimentichiamo che l’idea della coscienza del limite nasce da una battaglia politica delle donne, ossia non tutto quello che si può fare si deve fare, perché non tutto quello che si può fare è a vantaggio dell’umanità” . Stupefacente!
Millenni di filosofia e di metafisica maschile, di religioni monoteiste, quelle che segnerebbero il prevalere dei principi e dell’etica maschilista e sessista contro l’universo femminile, annullati di colpo. La coscienza del limite, nonostante tutte le tradizioni culturali nonché la psicanalisi dicano esattamente l’opposto, nonostante che lo sdoganamento dell’illimite del “desiderio” sia stato rivendicato dal femminismo (ricordate il classico slogan delle donne di Rifondazione Comunista, “l’unica legge è il desiderio”?), diventa miracolosamente una battaglia politica delle donne. La falsa coscienza o l’ipocrisia, fate voi, non hanno limiti. Ma forse mi sbaglio, forse il segreto di tanta contraddittorietà sta solo in un termine, o meglio in ciò che con quel termine si intende. Nella frase sopra citata in cui si dice che non tutto ciò che è possibile fare è a vantaggio dell’umanità, basta sostituire il termine umanità con donne, oppure, il che è lo stesso, intendere per umanità solo l’universo femminile, ed ecco che tutto quadra, tutte i tasselli trovano coerentemente il loro posto.
Questo, alla fine, è il vero senso di quell’intervista e dei sussulti d’indignazione di cui è intessuta:
tutto quello che avvantaggia le donne è bene, tutto quello che le svantaggia è male. Valori, etica, morale, coerenza, principio di non contraddizione, non hanno alcun significato oggettivo, inteso come valido per tutti, ma cambiano di significato in funzione del sesso e dei vantaggi che può trarne quello femminile.
E tuttavia, anche queste contraddizioni di ragionamento, anche questo scontro fra femminismi, potrebbero essere salutati favorevolmente ove fossero l’inizio di un ripensamento vero, sia pure tardivo, rispetto agli esiti ineluttabili della modernità capitalista che dissolve e destruttura ogni forma, travolge ogni ostacolo al dilagare indiscriminato della mercificazione universale. “O bianco o nero”, scrive la Turco. Perfettamente d’accordo! Ci sono temi su cui la mediazione significa prima di tutto rottura e abbandono di un principio simbolico. Anche se all’inizio vengono introdotte cautele e difese, sono però argini fragili, destinati ad essere successivamente travolti , come d’altronde nella strategia dei mediatori e più ancora nella logica delle cose. Rotto quel principio non c’è più nessuna ragione affinché tutto ciò che è possibile fare non sia fatto. Il punto è però che l’alternativa secca, bianco o nero, sarebbe stato necessario porla ben prima che sulla maternità surrogata, ossia nel momento in cui si è potuta pensare la procreazione come evento non naturale, non più fondato sull’unione sessuale di maschio e femmina. Le femministe, tutte, si guardarono bene dal farlo perché sembrava loro che quelle tecniche rappresentassero l’emancipazione finale delle donne, finalmente “liberate” dalla dipendenza dal maschile. In realtà si trattava di ben altro: era solo il primo passo della sottomissione di ogni aspetto della vita alla logica utilitaristica e antiumana del capitale. Sono trascorsi ben più di vent’anni, ma era già evidente allora, come videro con chiarezza i movimenti maschili, che era solo l’inizio. Il maschile e il paterno erano e sono i principali ostacoli a quel dilagare, e dovevano essere eliminati per primi. Per primi nel senso che una volta tolti di mezzo con la complicità attiva del femminismo, poi la logica ferrea del capitale sarebbe passata a destrutturare anche il materno e infine il femminile, solo apparentemente e superficialmente vincenti nella fase che stiamo vivendo.
Occorrerebbe un soprassalto di onestà intellettuale, ma non credo che il femminismo possa riconoscere questa verità, perché se lo facesse cadrebbe di colpo tutta l’impalcatura su cui ha costruito la sua narrazione. Come l’apprendista stregone, ha contribuito a evocare forze che non è in grado di controllare e finiscono per ritorcersi contro l’incauto, e incredulo, evocatore. Purtroppo credo invece, e l’intervista della femminista buona Livia Turco lo conferma, che per falsa coscienza o per cecità culturale, i femminismi siano destinati a fermarsi sempre un attimo prima di quella ormai evidente verità. Magari si combatteranno pure fra di loro, ma continueranno ad essere due stampelle, le principali, di un sistema da cui si credono estranee.