di Gianluca Carmosino
Chissà cosa avrà pensato il signor Nino venerdì sera quando ha saputo del provvedimento con cui sono state bloccate le eradicazioni degli ulivi. Nino ha più di ottant’anni e vive a Oria, in provincia di Brindisi: venerdì mattina si era alzato presto per andare in campagna dove, insieme ad altri e altre, ha fermato le motoseghe pronte ad abbattere decine di ulivi. Il volto di Nino (foto) è uno dei più noti e amati tra i disobbedienti di questo angolo di terra ribelle del Sud.
Al di là di quello che sarà l’esito delle indagini della procura di Lecce (dieci le persone indagate, tra cui il commissario straordinario Giuseppe Silletti, tra i reati ipotizzati diffusione di una malattia delle piante, violazione dolosa delle disposizioni in materia ambientale e falso) una cosa ora è certa: l’indagine non sarebbe mai emersa e cresciuta senza la nascita del popolo degli ulivi. Del resto, quanto scritto dagli inquirenti sono parole e concetti che nel Salento si sono diffusi da tempo:
“… la sintomatologia del grave disseccamento degli alberi di ulivo non è necessariamente associata alla presenza del batterio, così come d’altronde non è ancora dimostrato che sia il batterio, e solo il batterio, la causa del disseccamento…”.
Eppure dall’alto sono state tante le aggressioni, le denigrazioni, le denunce, gli ostacoli con cui si è tentato di ignorare le ragioni di questo movimento. Quello apparso in Puglia, tra inevitabili limiti e contraddizioni, è uno dei più interessanti movimenti territoriali del Mediterraneo degli ultimi anni. Un movimento importante per almeno quattro buoni motivi:
Il primo. Si tratta di un movimento che ha coinvolto persone comuni di età, percorsi culturali, sociali e politici differenti.
Il secondo. Questo pezzo di società non ha cercato politici cui delegare la soluzione del problema e neanche leader da cui farsi guidare. Si è autorganizzato e ha scelto di intervenire, in molti modi, direttamente.
Il terzo. Il popolo degli ulivi ha saputo utilizzare strumenti tradizionali (assemblee, incontri, manifestazioni, presidi, azioni di pressione a livello europeo, ricorsi al Tar…) ma anche anche social network, feste e pic-nic nei paesi e nelle campagna (dove si creava e rendeva più visibile un mondo nuovo, relazioni sociali diverse), azioni di disobbedienza creativa (a cominciare dalle giornate in cui sono stati piantati a sorpresa centinaia di ulivi passando per blocchi stradali e ferroviari), fiaccolate, momenti di formazione dedicati ai sistemi naturali di cura delle piante e all’agroecologia.
Il quarto. Si tratta di un movimento che ha messo al centro, in primo luogo, un’idea diversa di agricoltura e, più in generale, un rapporto diverso tra comunità e ambiente naturale per ripensare qui e adesso il modo di vivere e di trattare la terra.
In questo modo il popolo degli ulivi non solo ha rotto la gabbia di silenzio e bugie costruita da tanti intorno agli ulivi malati, ma ha anche costretto poco a poco a ridurre il numero di alberi da abbattere, ha fermato diverse operazioni di abbattimento e ha cominciato a riempire di senso la parola comunità. In primavera erano molti a pensare che un movimento di quel tipo, in Puglia non si era mai visto.
Poco importa allora se quel movimento alcune settimane fa sembrava più fragile, se i grandi media hanno fatto di tutto per renderlo innocuo e invisibile, se in alcuni momenti avrebbe potutto fare scelte diverse. Quel movimento ha dimostrato che è possibile lottare, che questo, nonostante tutto, è il tempo del fare.