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Luci e tenebre dell’anima «come figure incerte in notte buia»

di Francesco Lamendola - 28/12/2015

Fonte: Il Corriere delle regioni




 

Uno degli aspetti più originali e più interessanti della cultura seicentesca- che, sbrigativamente, viene qualificata come “barocca”, confondendo la parte con il tutto - consiste nella scoperta del lato oscuro della realtà: degli oggetti, nelle arti figurative (quanta ombra nella pittura del Seicento!); dei corpi celesti, nell’astronomia (la faccia oscura della Luna); dei sentimenti, nella poesia (al punto che perfino una ragazza indemoniata, per Claudio Achillini, diventa bella e desiderabile); della vita interiore, nella teologia morale.

L’Ombra, nella psicologia analitica di Carl Gustav Jung, è, da un lato, l’inconscio personale, il lato oscuro della personalità individuale, dall’altro la dimensione atemporale e sovra-personale del negativo, il male in quanto realtà assoluta, cosa, questa, che lo avvicina al concetto cristiano del Male, anche se lo slittamento semantico dall’ambito di ciò che non è chiaro alla coscienza a ciò che è negativo in senso morale, non risulta sufficientemente giustificato sul piano logico e speculativo e non sembra del tutto coerente con le premesse.

Ebbene: è come se gli scrittori del Seicento (e non solo italiani; si pensi a Shakespeare e a Milton, solo per fare due grandissimi esempi) fossero attratti dalla dimensione dell’ombra proprio in  ciò che essa ha d’inquietante, ma anche di ambiguo: esattamente come farà Jung, molti di essi colgono in essa sia il lato profondo e misterioso della vita dell’anima (e da ciò, crediamo, deriva anche il dilagare dell’ombra nella pittura seicentesca, specialmente nei ritratti, che sembrano, a volte, letteralmente immersi nel buio, e solo illuminati da innaturali bagliori notturni), sia il richiamo a vastità e profondità ancor più grandi e inesplorate, ove giacciono potenze innominabili, pronte ad emergere improvvisamente e a fare irruzione, minacciose e indomabili, nella dimensione della vita ordinaria e quotidiana.

Certo non può essere un caso che, proprio nel XVIII secolo, mentre la scienza moderna muove i primi passi – e già mostra, ancora infante, appetiti formidabili e ambizioni luciferine: si pensi alla «Nuova Atlantide» di sir Francis Bacon, vera e propria distopia dominata da scienziati diabolici, tanto più impressionante in quanto l’Autore la concepisce come una orgogliosa utopia positiva -, si moltiplicano i processi e si riaccendono i roghi delle streghe: nessun secolo della millenaria civiltà occidentale ha avuto una così acuta coscienza dell’Ombra in senso teologico, né è stato altrettanto propenso a percepire il puzzo del Demonio, nei Paesi protestanti anche più che in quelli cattolici, di qua e di là dall’Atlantico (i famosi processi di Salem, nella Nuova Inghilterra, sono del 1692: ormai a ridosso del “Secolo dei Lumi!).

Un pezzo di straordinaria bravura è quello nel quale Daniello Bartoli descrive un capolavoro di Tiziano Vecellio, «Il martirio di San Lorenzo», dipinto nel 1559 e conservato nella Chiesa di Santa Maria Assunta detta anche Chiesa dei Gesuiti, nel sestiere veneziano di Cannaregio caratterizzato appunto da uno straordinario gioco di luci e ombre notturne, sullo sfondo del quale si muove una folla confusa di personaggi.  Ma il grande scrittore del XVII secolo (“grande” a giudizio di molti, primo fra tutti il Leopardi, a dispetto dei pregiudizi ideologici di tanta critica moderna, a cominciare dal De Sanctis, tutta anticattolica e antigesuitica), più che questa opera di Tiziano, aveva forse in mente altre opere, sia di autori italiani, sia stranieri, come il famoso Gherardo delle Notti (Gerrit van Honthorst), i quali, proprio nel suo tempo, si impegnavano in una serie di ricerche per risolvere appunto  un serie di difficili problemi tecnici relativi alla rappresentazione di figure nella luce notturna, illuminata da fasci di luce che irrompono da prospettive inusuali. Così, dunque, scriveva padre Bartoli nel quarto capitolo de «L’uomo al punto»:

 

«Prova da non arrischiarvisi altro che maestri di tutta perfezione nell’arte è il dipingere una notte buia, e in essa rappresentare alcun fatto d’una moltitudine di personaggi, che sol tanto si mostrino quanto lumeggiati o da lampo di nuvola, o da riverbero di facella, o da splendore che esce d’un volto, o da che altro è dovuto alla verità dell’istoria o al capriccio del dipintore.

Qui dunque uno sprazzo di lumi rotti, e che non feriscono in pieno, ma balzano alla sfuggita e sol toccando le punte che maggiormente rilievano; e in un luogo risentiti, crudi, taglienti; in alcun altro sfumati e dolcissimi, e dalla lungi niente più che un non so che di chiarore, che in toccando l’ombra vi muore. E questi e quegli non ben sapete se è più quel che mostrano col chiaro, o quel che con le dense e grandi ombre nascondono: se non che pure quel pochissimo che ne appare fa la spia ad immaginare, se non a scoprire, il moltissimo che non appare.

Una tal notte felicemente condotta ho io veduta in Vinegia, e rappresenta il martirio di San Lorenzo, mano dell’incomparabile Tiziano, e di tal maestria lavoro, che dove i dipintori a lui danno, infra gli altri di primo conto, il pregio del colorire, non sanno che nuova lode gli si aggiugner per questa maravigliosa, il cui colorire è tingere. Ivi l’occhio, non altrimenti che se di mezzodì fosse in un buio di mezza notte, va tentone cercando quel ch’è una dilettevole pena averlo davanti e non vederlo.

Ma colori, e lumi, e magistero d’arte, che rappresenti non dico la piena notte delle TENEBRE ESTERIORI, in che si gettano i malvagi, ma il tramontar dell’ultimo dì d’un uomo del mondo in punto di morte, sicché, compartito quel lume delle cognizioni ch’egli ha con quelle tenebre dell’orrore che velano quell’infelice anima, se ne vegga l’istoria tanto che bastevolmente s’intenda, non m’è finora avvenuto di trovarlo appresso veruno.»

 

Il Seicento, dunque, anzi, già la fine del Cinquecento (si pensi alla «Gerusalemme Liberata» e al bifrontismo spirituale del Tasso) ebbero la percezione – o forse si dovrebbe dire: riconquistarono la percezione, dopo la stagione rinascimentale – che vi è molta ombra, dentro e fuori della realtà umana e della vita dell’anima; che non tutto è chiaro e luminoso, non tutto è cosciente e spiegabile alla luce della ragione; e questo perché il mistero è ovunque, intorno all’uomo e dentro di lui, a cominciare dal mistero per eccellenza, il mysterium iniquitatis, il mistero del male, già intravisto, con geniale anticipazione, da San’Agostino: dal momento che noi non facciamo il bene che vorremmo fare, ma il male che non vorremmo, e non sappiamo il perché.

Il mondo antico, o almeno il mondo classico, a quel che ci appare, non conobbe questo mistero, non ebbe questa percezione, o, se pure, talvolta, l’ebbe, non però in forma così viva ed acuta, e quasi ossessionante. Solo Virgilio, talvolta, sembra averne un certo qual presentimento, di fronte al quale rimane turbato; come quando, proprio al principio del suo immortale poema, si chiede, davanti all’ira di Giunone nei confronti di quel che resta della misera schiatta troiana, dispersa ed in fuga sulle navi di Enea: «tantaene animis caelestibus irae?»: «così grandi, dunque, sono le ire [nell’anima] degli dèi?», e sembra non potersene dare pace. Perfino i tragici greci, ovunque così genialmente perspicaci, davanti a questo mistero non mostrano la stessa consapevolezza che ci si aspetterebbe: la loro invincibile tendenza a razionalizzare li sospinge verso spiegazioni più o meno rassicuranti, ma sempre accessibili, almeno parzialmente, alla comprensione umana. E il grande Platone, non si rivela forse inaspettatamente ambiguo – e, diciamolo pure, deludente – là dove nell’«Eutifrone», rappresenta Socrate alle prese con tale mistero – o, per dir meglio, sfiorato da tale mistero, essendo il tema centrale del dialogo, quello del sacro e della vera pietà?

Le filosofie razionaliste hanno sempre diffidato dell’Ombra, e, sovente, l’hanno apertamente detestata e combattuta, nell’intento di respingerla non si sa dove. L’Ombra, infatti, non può essere respinta nell’ombra: per la contraddizion che nol consente, direbbe il gran padre Dante. L’Ombra può solo essere accettata e, fin dove possibile, rischiarata e indagata; ma sarebbe una illusione funesta quella di pensare che sia possibile illuminarla completamente, e, con ciò, dissolverla: perché lo statuto ontologico dell’Ombra non è accidentale, ma sostanziale. In altre parole, l’Ombra non è il prodotto di condizioni psicologiche, o storiche, che possano essere radicalmente modificate, se non altro perché essa è annidata nel fondo della coscienza umana, non come un corpo estraneo che vi sia entrato di soppiatto, ma come una condizione naturale e permanente. “Naturale”, secondo il cristianesimo – prospettiva che noi ci sentiamo di condividere – come il risultato di una naturalità non originaria, ma secondaria: precisamente, di una naturalità decaduta. E qui subentra l’altro grande mistero, immenso, abissale, davanti al quale la mente degli stupidi (direbbe Nicolas Gomez Davila) si ribella e lo rifiuta, mentre quella degli uomini saggi si inchina riverente, senza la pretesa di comprendere sino in fondo: quello del Peccato originale.

Eppure, proprio il cristianesimo, che viene accusato – in buona o in mala fede – di essere portatore di una filosofia pessimistica e di una antropologia particolarmente scoraggiante (Lin Yutang scrisse che solo il buddismo incarna una filosofia più disperatamente pessimistica del cristianesimo, e già questo basterebbe a squalificare lo scrittore cinese che pure, non molti anni fa, da certa critica benevola veniva quasi fatto passare per un genio universale) – ha elaborato un mistero altrettanto abissale, quello della Redenzione, per “rispondere” alla domanda posta dal mistero del Peccato e a quello del Male; pur se non tutti i teologi sono concordi nell’affermare che il Male e il Peccato abbiano reso, di per sé, necessaria l’Incarnazione, quasi che questa non vi sarebbe stata senza la Caduta di Adamo ed Eva (cfr. il nostro precedente articolo: «Se non ci fosse stato bisogno della Redenzione, vi sarebbe stata egualmente l’Incarnazione?», pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 29/04/2009 e ora ripubblicato su «Il Corriere delle Regioni»).

Ci sembra, pertanto, che il vero dramma della civiltà moderna, dominata dai miti ormai logori, e tuttavia sempre più tirannici, della scienza e della tecnica assolutizzate, sia proprio la rimozione dell’Ombra, da una parte; e la sua arbitraria sopravvalutazione – come avviene nel freudismo, con la concezione materialistica dell’Io, e quindi anche di un Inconscio quasi onnipotente -, dall’altra. Negare che l’Ombra esista e che eserciti un peso tutt’altro che trascurabile nell’economia delle nostre vita individuali, così come nella millenaria vicenda dei popoli e delle civiltà, costituisce, infatti, un errore quasi altrettanto grave che quello di farne una specie di contro-divinità, incombente e allucinante, assetata di sacrifici umani (in senso metaforico e in senso letterale). Nel Messico degli Aztechi, i sacerdoti offrivano migliaia e migliaia di cuori umani, ancora palpitanti, perché appena estratti dal petto delle vittime sacrificali, allo scopo di impedire al Sole di spegnersi e all’Ombra di invadere il mondo dei vivi: esempio drammatico, ma non unico, dell’angoscia di morte che ha fatto ammalare di nevrosi collettiva interi popoli e intere civiltà.

E noi, figli del Terzo millennio e della civiltà post-moderna, non siamo forse dominati da una analoga nevrosi di morte, che ci sta facendo letteralmente sragionare e delirare, fino a sovvertire ogni distinzione fra il bene e il male, fra il giusto e l’ingiusto, fra il vero e il falso, in nome di un relativismo culturale e di un indifferentismo etico i quali, dietro l’apparenza dell’apertura e dell’inclusione, ci stanno sospingendo, in effetti, verso la nera voragine del nichilismo? Non è forse il nichilismo lo spettro pauroso che incombe sulla nostra civiltà, proprio a causa del fatto che abbiamo voluto negare e rimuovere l’Ombra, con le assurde pretese del razionalismo; oppure a causa dell’errore uguale e contrario, quello di aver subito la suggestione malefica dell’Ombra, sino a farne la nostra nuova divinità, capricciosa e crudele, versione aggiornata e corretta dello gnosticismo e del manicheismo di tanti e tanti secoli fa?

Sono molti, ormai, i segnali che fanno pensare ad un tentativo di restaurazione della gnosi, vera e propria contro-religione, ad uso e consumo di una piccola minoranza di “illuminati” che si arrogano il diritto di decidere i destini del mondo, considerando tutti gli altri esseri umani alla stregua di bestiame da sfruttare o da eliminare, appunto per placare l’ira funesta di divinità crudeli che, comunque si vogliano chiamare – il Denaro, il Successo, il Potere – altro non sono che i volti fittizi e ingannevoli del solo, vero ed eterno Nemico dell’uomo e di Dio stesso, la cui presenza viene incautamente evocata da milioni di sprovveduti, di incoscienti, di presuntuosi, nel corso di riti di occultismo, di spiritismo e di magia nera, mediante i quali vengono aperte altrettante porte, che, invece, dovrebbero restare ben chiuse. A questa spiritualità negativa, a questa contro-iniziazione carica di negatività, l’uomo di onesto sentire e di cuore puro ha una sola, ma potente, arma da opporre: non l’orgoglio della Ragione umana, ma l’umiltà della ragione sorretta dalla fede in Dio…