Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Rio Doce: un fiume tossico alimenta le comunità

Rio Doce: un fiume tossico alimenta le comunità

di Marina Vianna Ferreira - 04/01/2016

Fonte: slowfood

rio doce_2Il 5 novembre scorso, il Rio Doce, nello Stato brasiliano di Minas Gerais, è stato protagonista della più grave catastrofe ambientale del Paese, vittima del cedimento di due depositi di residui della lavorazione di minerali della società Samarco, una compagnia di estrazione brasiliana, fondata nel 1977 a Belo Horizonte.

Tutto il mondo è informato del disastro. Cause e conseguenze rimangono invece ancora incerte. E, ne siamo sicuri, continueranno a essere tali ancora per molto tempo. Prima di tutto perché le informazioni sono manipolate e le notizie, quindi, contraddittorie e discutibili. “È stato un incidente”, “Non è stato un incidente, è stato un crimine ambientale”, “La Samarco afferma che i residui non sono tossici”, “Nei campioni di fango del Rio Doce è stata rilevata la presenza di piombo”, “Il Rio Doce tornerà a essere quello di prima in cinque mesi”, “Il Rio Doce è morto”. Non è necessario essere un esperto per capire che parte di queste affermazioni è falsa. Prova a sradicare un albero nel giardino e vedi se tra cinque mesi ce ne sarà un altro al suo posto, altrettanto frondoso…In secondo luogo perché devono essere ancora realizzati gli studi e le indagini per risalire alle cause e alle conseguenze.

Tuttavia, non essendo ancora chiaro se si sia trattato di incidente o meno, il fatto è che troppo spesso in Brasile le società private adottano strategie negligenti e irresponsabili nei confronti dei sistemi, sociali e ambientali, nei quali si insediano: dalla richiesta di concessione ambientale, spesso rilasciata per rispondere a interessi di ordine politico ed economico (non dimentichiamo che le società minerarie sono tra i maggiori finanziatori delle campagne elettorali), fino alla messa in opera dell’impianto.

Già che abbiamo instillato qualche dubbio, azzardiamo anche qualche riflessione. Riguardo le tonnellate di fanghi che si sono riversate nel Rio Doce, si sa che i residui dell’attività mineraria contengono di norma un elevato grado di tossicità. Non è in fin dei conti proprio per questo che si costruiscono i depositi? Se non ci fossero sostanze inquinanti, i depositi di rifiuti non sarebbero necessari. E se anche i fanghi non fossero tossici, sarebbero comunque sufficienti per alterare tutta la catena alimentare del Rio Doce e, di conseguenza, tutto il suo ecosistema, modificandone l’entrata della luce, l’ossigenazione delle acque, la produttività primaria e la catena che ne deriva.

L’impatto continuerà per anni. Anzi, a dire il vero, l’impatto ambientale della Samarco sul Rio Doce aveva iniziato a prodursi già molti anni orsono. Tutti i grandi progetti di “sviluppo”, quali attività minerarie, costruzione di centrali, condotti transcontinentali, installazione di porti, … generano un impatto sul sistema socioecologico nel quale si insediano fin dal momento in cui vengono pianificati. Un “incidente” come quello di Mariana è forse solo il punto di non ritorno.

Vi sono delle costanti in queste attività, che si ripetono. Per dirla in modo estremamente schematico: una grossa società approda in una regione ricca di risorse naturali, in genere si tratta di aree abitate da comunità rurali – con le loro culture tradizionali e tutto un sistema irripetibile di saperi e tradizioni – che vivono di tali risorse. Poco a poco queste comunità sono spinte a lasciare il proprio ambiente, con mezzi più o meno occulti. O costretti a vendere le proprie terre a prezzi irrisori, o ad abbandonarle dopo aver subito minacce, o ancora le terre vengono loro espropriate. Si va avanti, e la società annuncia che porterà lo “sviluppo” nella regione, creando molti posti di lavoro. Organizza incontri pubblici, riesce a convincere qualcuno e lascia qualcun altro perplesso. rio doce 5Passano gli anni, viene rilasciata la concessione e i lavori prendono il via. Solo che insieme ai lavori arrivano anche gli operai, in maggioranza uomini, da altre regioni, tanti da aumentare in modo esponenziale il numero degli uomini del comune dove ha sede l’impianto. Nessun posto di lavoro va ai locali… I lavori si concludono e ai villaggi rimane un’eredità di problemi sociali: emarginazione, prostituzione, maggior circolazione di alcool e droghe, un esercito di adolescenti gravide e di figli senza padre. Finiti i lavori, l’impianto diventa operativo (a seguito di nuova concessione), e perché tutto funzioni a regola d’arte bastano pochi lavoratori specializzati. Ecco che le comunità locali iniziano ad accusare le conseguenze, si rendono conto che l’agognato progresso (desenvolvimento, in portoghese) non è altro che un regresso (des-envolvimento), un allontanamento delle comunità dal territorio, della gestione dello stesso, dalle risorse naturali.

Questa non è solo la storia della Samarco sul Rio Doce. È la storia delle tantissime società che promettevano il progresso. L’ho già sentita, dal Sudest al Nordest di tutto il Brasile, e anche altrove in Sud America.

Ma quindi, il Rio Doce si riprenderà? In ambienti ben conservati, il sistema socioecologico poco a poco assorbe i cambiamenti, si adatta alla nuova realtà, mantiene la sua struttura e funzione, e riesce a tornare allo stato iniziale dopo un certo tempo. È quel che si chiama resilienza e che già stava avvenendo con l’influenza dell’attività mineraria. Tra le conseguenze tipiche di questa attività: la deforestazione, la distruzione del suolo, l’inquinamento di suolo e acque, la deviazione dei corsi d’acqua, il prosciugamento delle falde acquifere, il rischio di incidente. Ma il crollo di un deposito di rifiuti di quella portata può rappresentare l’irreversibilità nel mantenimento di questo sistema.

rio doce 6Dicono che il fiume sia stato distrutto dal fango. Se si trattasse “soltanto” di un fiume, sarebbe comunque già troppo, ma è andato distrutto un sistema complesso che si era creato attorno al fiume, un sistema di affluenti ed effluenti, con vite, storie, specie, persone, colture, culture, leggende, riti. Diverse comunità di contadini, indigeni, quilombola e pescatori che non solo fanno parte, ma che anche dipendono da questo sistema per la loro sopravvivenza materiale e culturale. Per molte comunità il fiume è un ambiente che riunisce un universo simbolico e rituale. E anche il fiume dipende da queste comunità per ricominciare a vivere. Di sicuro gli adulti di oggi non vedranno mai più il fiume com’era. Eppure le comunità devono riprendere in mano la propria vita, dovranno piantare altrove, pescare in un altro fiume. Oppure, abbandonare una volta per tutte le loro attività tradizionali. E le conoscenze e la cultura tradizionale del Rio Doce non verranno tramandate alle future generazioni. Fiume senza gente, gente senza fiume.

Slow Food, insieme ad altre organizzazioni, movimenti, società, governi, ha un ruolo importante in questo scenario. Lottare perché il fiume sia un’area destinata al recupero e all’aumento della resilienza di questo sistema. Trovare modi di stimolare le comunità colpite a mantenere il proprio stile di vita, anche se in altri posti. Inoltre, per evitare che situazioni analoghe si ripetano altrove, è fondamentale sostenere i movimenti sociali che difendono quanti sono stati minacciati o colpiti dal cedimento dei depositi e insistere perché vi sia una maggior trasparenza nel rilascio delle concessioni per i grandi impianti. Senza studi di impatto ambientale seri, “incidenti” come quello di Mariana continueranno a verificarsi in queste comunità, in Brasile, in America Latina, in Africa.

E se ancora vi mancassero dati per capire le dimensioni del disastro, eccovene qualcuno:

“50 milioni di metri cubi di residui di lavorazione del ferro si sono riversati nel Rio Doce”

“Distretto di Bento Rodrigues (MG) distrutto da un’ondata di fango”

“Migliaia di persone senz’acqua. L’acqua del Rio Doce non può essere usata per approvvigionarsi”

“Identificati oltre 20 morti. Ancora molti i dispersi”

“Oltre 600 i senzatetto”

“35 comuni colpiti fino a oggi”

“Residui sparsi lungo 826 km di estensione del fiume” (fino a oggi)

“…hanno distrutto due villaggi, ucciso persone e diverse tonnellate di pesci lungo gli oltre 800 km del Rio Doce”

“1000 ettari di area di tutela permanente colpiti lungo le sponde dei fiumi”

“Almeno 1.249 i pescatori colpiti, in più di 40 città degli Stati Minas Gerais e Espirito Santo.”

“Nel Rio Doce vi erano circa 10 specie endemiche”

“Tra le specie a rischio, i pesci surubim, lambari, andirá, curimbá del Rio Doce, acará topete,piaba vermelha, oltre ad anfibi, rettili, uccelli e mammiferi. Nell’elenco vi sono anche specie marine.”

“Il fango si sta spargendo verso le aree marine, minacciando gli organismi acquatici degli Stati di Espírito Santo e Bahia”

Per quanti fossero interessati a seguire il succedersi degli eventi e leggere alcune affidabili valutazioni, suggerisco il sito del Gruppo indipendente di valutazione di impatto ambientale dei ricercatori dell’Università di San Paolo: http://giaia.eco.br/base-de-dados/


Dottoressa in Ecologia e Risorse Naturali, Universitá Federale di São Carlos