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Natura SPA: la terra al posto del PIL

di Mario Cenedese - 10/01/2016

Fonte: filosofiatv


Gianfranco Bologna è direttore scientifico del WWF Italia e segretario della Fondazione Peccei e da circa 40 anni è impegnato sui temi dell’impatto ambientale e della sostenibilità, argomenti su cui ha pubblicato una serie di saggi scientificamente documentati. Questo, recentissimo, è l’ultimo in ordine di tempo, e riassume con chiarezza quanto elaborato in precedenza; nel far questo, l’autore si trascina dietro anche alcune incongruenze che qui sembrano emergere più che in precedenza: forse perché già la copertina del libro le evidenzia in modo netto, facendole risaltare maggiormente. A nessuno sarà sfuggito che il titolo stride nell’accostamento con il sottotitolo: Natura Spa non promette nulla di buono, mentre La Terra al posto del Pil apre una prospettiva interessante e costruttiva. Partiamo perciò dalle parti sicuramente buone del libro, che sono molte e per lo più compendiate nel sottotitolo o comunque riferibili ad esso.  
Ecco dunque una rapidissima rassegna degli aspetti sicuramente positivi del libro (concetti ecologici, informazioni, tesi e proposte su cui riflettere).
CAMBIO DI PARADIGMA: PROSPERITA’ SENZA CRESCITA. L’autore riprende con favore Jacques Grinevald e Georgescu-Roegen, là dove essi sostengono la necessità di un “capovolgimento radicale della nostra visione del processo economico” (pag. 107), che richiede in definitiva un cambio di paradigma. Di qui l’attenzione per la tesi di fondo dell’economista Tim Jackson, compendiata nella felice formula della “prosperità senza crescita”. Infatti, citando quest’ultimo, “per le economie avanzate dell’Occidente la prosperità senza crescita non è più un sogno, un’utopia, ma una necessità finanziaria ed ecologica” (v. pag. 135).
CRITICA DELLE ASTRAZIONI DELL’ECONOMIA DOMINANTE. Certe rappresentazioni mentali dell’economia moderna e contemporanea, nonostante le pretese di scientificità, sono in realtà astrazioni molto distanti dalla realtà effettiva e quindi pericolose nella misura in cui esibiscono pretese di verità che non gli spettano. Già Walter Bagehot (1826-1877) aveva criticato Ricardo per motivi del genere, critica poi rielaborata in termini più generali da Alfred N. Whitehead (1861-1947) e
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rivalorizzata in tempi più recenti da Herman Daly. “Fallacia della concretezza mal posta”: questa è la formula maggiormente utilizzata per sintetizzare il senso delle critiche alle astrazioni dell’economia ufficiale (v. pag. 3-4). Ricordiamo alcune tra le numerose rappresentazioni astratte utilizzate con disinvoltura dagli economisti sviluppisti: homo oeconomicus, mercato in stato di concorrenza perfetta, PIL (Prodotto Interno Lordo)… Quest’ultimo è il fulcro di una contabilità truccata e deleteria, che è sotto gli occhi di tutti.
L’ECONOMIA E’ SOLO UN SOTTOSISTEMA CONTENUTO NELL’ECOSISTEMA TERRA. Ma gli economisti (s)ragionano come se fosse vero il contrario, o come se l’economia fosse indipendente dalla Terra: di qui l’ipotesi folle della crescita illimitata, che cozza contro i limiti biofisici della Terra stessa e produce un impatto ambientale insostenibile. L’autore riprende l’equazione di P. Ehrlich e J. Holdren, originariamente pubblicata su Science, secondo cui tale impatto (I) è dovuto a 3 fattori: P, A e T, dove P sta per popolazione, A per tenore di vita (affluence), e T per tecnologia. L’incremento contemporaneo di P-A-T ha generato un’enorme espansione dell’economia a danno degli ecosistemi. E’ perciò evidente che occorre ridurre la “scala” dell’economia, e intervenire su tutti i fattori dell’equazione EhrlichHoldren (pag. 5).
IL CAPITALE NATURALE E’ OGGI IL FATTORE LIMITANTE. In altre epoche, il fattore più importante che condizionava il contesto economico poteva essere la reperibilità di forza-lavoro, la scarsità di energia, la mancanza di tecnologia… oggi invece il fattore limitante per eccellenza è senza dubbio il cosiddetto “capitale naturale”, che sta diventando sempre più raro e compromesso a causa della cementificazione, della riduzione delle foreste, dell’espansione dell’agroindustria, della zootecnia e delle attività antropiche in generale. Di conseguenza, oggi occorre mettere al primo posto la protezione del capitale naturale, cioè degli ecosistemi e della loro capacità di resilienza (pag. 111).
CAPITALE NATURALE E TECNOLOGIA SONO COMPLEMENTARI, NON INTERSCAMBIABILI. Gli sviluppisti ad oltranza sono abituati ad esaltare la crescita illimitata, ritenendo che la tecnologia e l’attivismo umano (Bologna usa l’espressione “capitale umano”) possano sostituire la natura: questo punto di vista molto arrogante e antropocentrico, oltre ad alimentare illusioni pericolose, conduce alla devastazione della Terra, cioè di qualcosa che in realtà non è surrogabile con la tecnologia. In definitiva, occorre ammettere che trai fattori naturali e quelli tecnologici vi può essere complementarità, non sostituibilità (pag. 110).
 IL MILLENNIUM ECOSYSTEM ASSESSMENT E IL TEEB (THE ECONOMICS OF ECOSYSTEMS AND BIODIVERSITY) CONTENGONO ASPETTI POSITIVI SU CUI CONFRONTARSI. I citati progetti di ricerca internazionali hanno visto la partecipazione attiva di centinaia di scienziati di tutto il mondo, impegnati a vario titolo sui problemi ambientali, e sarebbe assurdo ignorarli e non tener conto di alcune fondamentali conclusioni cui sono arrivati. Prima di tutto, hanno portato in primo piano il ruolo insostituibile dei servizi ecosistemici, e la dipendenza della vita umana da essi; hanno documentato la trasformazione e il rapido degrado degli ecosistemi negli ultimi decenni, a causa dell’attivismo umano; hanno evidenziato che è impossibile combattere la fame nel mondo, se continua l’aggressione agli ecosistemi, poiché i popoli più poveri dipendono in modo immediato da detti ecosistemi per la loro sopravvivenza; se continua la pressione antropica sulla natura, la rete che sostiene la vita potrebbe indebolirsi ulteriormente con effetti catastrofici (pag. 56-60)… [N.d.r. : l’importanza di questi progetti di ricerca e dei relativi rapporti resta incontestabile, anche se è lecito nutrire ampie riserve verso altri aspetti di essi, là dove sembrano sperare in logiche di mercato aggiornate ecologicamente per mitigare o risolvere i problemi ambientali. Nel settore SCUOLA E FORMAZIONE del nostro sito www.filosofiatv.org , puoi scaricare e leggere, in lingua italiana,  due documenti, tra i più importanti, che fanno capo ai citati progetti scientifici di ricerca, ed anche alcune considerazioni critiche a cura di Adele Cozzi].
Veniamo ora ad alcuni aspetti problematici del libro, che potrebbero alimentare sospetti di mercatismo, rafforzati dall’infelice titolo Natura Spa.  
PERCHE’ LA NATURA VIENE COSI’ FACILMENTE AGGREDITA? La domanda che pone Bologna è una delle più impegnative in assoluto, e non è facile rispondere in modo esaustivo: è noto che in proposito si è accumulata una letteratura vastissima e altrettanto variegata, che coinvolge motivazioni plurime. L’autore sembra privilegiare un tipo di argomentazione, quella che attribuisce le maggiori responsabilità al fatto che i servizi ecosistemici vengono percepiti come gratuiti e illimitati, senza considerare perciò il loro valore reale (parole quasi testuali, vedi pag. 59). Si pone perciò il problema di individuare tale valore.
COME CALCOLARE IL VALORE DEL CAPITALE NATURALE, DEI SERVIZI ECOSISTEMICI? Bologna cita, giustamente, la ricerca pionieristica di Robert Costanza e collaboratori (pag. 61): già nel 1997 era stata pubblicata su Nature una prima bozza di calcolo monetario relativo al valore di 17 servizi ecosistemici. Il senso della ricerca di Costanza era quello di evidenziare che gli ecosistemi sono molto più importanti dell’economia mondiale, numeri alla mano (anche se i numeri, ovviamente, erano molto approssimativi per difetto: verranno ulteriormente implementati negli anni
successivi, facendo emergere sempre più la superiorità anche “economica” dei servizi della natura rispetto al Pil mondiale).
DARE UN PREZZO AL CAPITALE NATURALE PER IMMETTERLO SUL MERCATO GLOBALE? Certe pagine del libro sembrano a tratti simpatizzare per una soluzione del genere, o comunque si prestano ad una simile lettura. I PES (Payments for Ecosystem Services) potrebbero andare in questa direzione, ma non necessariamente (vedi pag. 96-97). Maggiori cedimenti al mercatismo sono ravvisabili là dove Bologna parla esplicitamente di “mercati dei servizi ambientali e crediti di biodiversità” (pag. 98-100), e scrive esplicitamente che “un ulteriore meccanismo per dare il giusto rilievo alla biodiversità e agli ecosistemi è quello di creare nuovi mercati capaci di sostenere e premiare questi beni”: queste sembrano essere le pagine più infelici del libro, quelle che sembrano suggerire la mercificazione della natura. Di conseguenza, tesi del genere offrono il fianco alle critiche dirette di quanti ritengono che la natura debba restare un bene comune sottratto al mercato, e che quest’ultimo debba essere ridimensionato, e non certo ampliato.
IN DEFINITIVA: ESPANDERE O RIDIMENSIONARE I MERCATI?
Quasi a voler controbilanciare questi cedimenti, nel libro incontriamo anche prese di posizione di tutt’altro segno: per esempio a pag. 6 l’autore osserva che il mercato considera solo l’efficienza dei processi economici, ma non può occuparsi di questioni come la giustizia o la sostenibilità, lasciando con ciò intendere che quindi il mercato ha prerogative ristrette e che deve lasciar spazio ad altre istanze. Di seguito, citando Aristotele, egli critica la degenerazione dell’economia in crematistica; seguendo Daly e Cobb, G. Bologna sembra condividere l’idea secondo la quale occorre privilegiare i valori d’uso concreti, anziché i valori di scambio e l’accumulazione illimitata (pag. 67)… Nella parte finale del testo si spinge anche oltre: là dove discute la tesi di un ipotetico VET (valore economico totale), in grado di considerare il valore della natura in tutti i suoi aspetti, si lascia andare ad affermazioni tipiche dell’ecologia profonda; infatti riprende con favore il concetto di valore intrinseco degli enti naturali, che come tale è indipendente dall’approccio solitamente pragmatico del mondo umano. Conclude tale riflessione sui beni naturali proponendo, in alternativa al valore d’uso, il concetto di “valore di non uso”, in polemica con l’economia dominante, rivolta alla mercificazione e all’utilizzazione della natura (pag. 113).
Non sarà facile armonizzare  le tesi di segno molto diverso che affiorano nelle pagine di questo saggio, che merita una attenta lettura: la panoramica di cui sopra mette in evidenza, accanto agli aspetti sicuramente stimolanti e propositivi, tutta una serie di
incongruenze che a dire il vero non riguardano solo il libro in questione, ma più in generale  lo stato dell’ambientalismo in Italia e nel mondo occidentale. Esse segnalano i limiti dell’attuale cultura ecologista (per la cultura politica, la situazione è molto più deprimente), e quindi la necessità di un’ulteriore elaborazione, all’interno di una visione  ecofilosofica più ampia, per affrontare i problemi, molto importanti e attuali, che il testo di G. Bologna ha sollevato e lasciato in sospeso.  

NATURA SPA: LA TERRA AL POSTO DEL PIL
di Gianfranco Bologna – Bruno Mondadori editore