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Andare oltre il fatalismo capitalista

di Luigi Tedeschi - 10/01/2016

Fonte: Italicum



 

Europa in crisi? No gode di ottima salute

Affermare che l'Europa è in crisi e che il suo dissolvimento sia alle porte è divenuto un vecchio e stanco refrain mediatico ormai sedimentato dai popoli europei.

La crisi dei subprime del 2008, la crisi del debito del 2011, il default greco del 2009 e del 2015, sono vari episodi che non hanno certo inficiato il potere della UE e della BCE, ma lo hanno rafforzato. La UE ha vissuto e si è alimentata  dello stato di emergenza generato dalle crisi. Il terrore mediatico imposto dalle classi dirigenti europee, la tensione emotiva di massa, dinanzi ad una Europa perennemente “sull'orlo del baratro”, le profezie apocalittiche circa una futuribile fine dell'euro, hanno determinato l'imposizione di misure finanziarie sistemiche, che hanno profondamente inciso sulle istituzioni degli stati. La minaccia di una catastrofe imminente, è stato lo strumento per imporre manovre finanziarie dirigistiche, senza il consenso democratico (vedi il governo Monti in Italia), che hanno profondamente minato la sovranità degli stati, devolvendola alle oligarchie finanziarie europee. Che l'Europa è sopravvissuta alle crisi è uno slogan abusato la cui falsità è evidente. Anzi, la realtà di una Europa in profonda crisi economica, con alti tassi di disoccupazione, con uno stato sociale ormai in decomposizione, con diseguaglianze sempre più accentuate, induce a considerare che questa Europa del capitalismo finanziario nasca, si alimenti e si sviluppi sulle sue crisi. L'Europa oggi, vista nell'ottica di una struttura finanziaria omologata in piena evoluzione, gode di ottima salute. Al di là del malcontento generale, della crisi di credibilità delle sue classi dirigenti, del crescente consenso affluito verso i partiti euroscettici, la costruzione europea procede nelle sue fasi evolutive: si è realizzata, almeno in parte, una unione bancaria, si sono imposti il MES (Fondo salva stati), il fiscal compact, il pareggio di bilancio nella costituzione degli stati, il “beil in” (istituto che dal 2016 prevede la responsabilità degli azionisti, degli obbligazionisti e dei correntisti per far fronte ai default bancari). L'indebitamento degli stati e le crisi deflazionistiche hanno comportato politiche di austerità dai costi sociali rilevanti, ma i popoli non hanno alcun potere decisionale nell'Europa della BCE.

Il trattato transatlantico (TTPI), è in fase avanzata di conclusione, nonostante il silenzio di media. Esso dovrebbe istituire un mercato comune trans – continentale tra USA ed Europa, con relativa liberalizzazione degli scambi e omogeneizzazione dei mercati e delle legislazioni con  conseguente adeguamento – abrogazione delle normative europee in materia di sicurezza alimentare, tutela del lavoro, della sanità, dell'ambiente. Il TTPI comporterebbe quindi ulteriori perdite di quote di sovranità da parte degli stati europei e, alla lunga, l'incorporazione dell'Europa nella sfera politica, economica e militare americana. Tale prospettiva viene diversamente percepita dagli europei: dai liberisti viene considerata come un'opportunità l'apertura dei mercati americani ad una economia europea in perenne crisi di crescita, dagli euroscettici invece, come una minaccia di dissoluzione definitiva dalla identità e della sovranità europea. Ma il TTPI, non può determinare la dissoluzione  di una sovranità politica europea inesistente, né può condurre a mutamenti di carattere geopolitico di una politica estera europea già filoatlantica. Il trattato transatlantico invece, costituisce il logico, conseguente epilogo finale di una costruzione unitaria europea, fondata sulla ideologia cosmopolita dei diritti umani, del libero mercato, della subordinazione europea alla NATO, dato che tuttora l'essere membri della UE presuppone l'appartenenza alla alleanza atlantica. Il TTPI sancirebbe la continuità e la compiuta realizzazione della omologazione e della subalternità dell'Europa agli USA in larga parte già in atto. Il  governo globale con il primato statunitense avanza e si impone nell'Est asiatico, nel continente americano e in Europa.

 

L'abrogazione della rappresentanza politica popolare

Esiste tuttavia un dissenso diffuso nell'Europa della UE, verso la politica di austerity e verso le sue istituzioni finanziarie. L'impoverimento generalizzato dei popoli, così come il deficit di democrazia nel governo economico della UE è uno stato di fatto. L'opposizione anti – UE si esprime con l'avanzata dei partiti euroscettici. Si evidenzia quindi la decadenza delle forze politiche tradizionali. Nuovi tempi esigono nuove forze politiche. Ma l'evoluzione economica e tecnologica del capitalismo, non comporta nuove forme di rappresentanza politica, semmai determina l'egemonia  di una economia finanziaria autoreferente, che conduce alla compressione e alla progressiva scomparsa delle istituzioni democratiche, basate sul consenso popolare e la sovranità degli stati. Quindi l'avanzata della globalizzazione genera nuove forze politiche che emergono dal dissenso, dalla resistenza attiva al totalitarismo economico capitalista. Le forze politiche tradizionali sono ormai svuotate dei loro contenuti ideologici originari. Esse oggi hanno fatto propria l'ideologia l'ideologia liberista del capitalismo assoluto e dei valori falsamente universali dei diritti umani poiché trattasi di una impostazione ideologica particolare resa universale dal predominio americano sul mondo. Dice a tal proposito Alain de Benoist : “[L'Europa] quando proclama il suo attaccamento a dei <valori>, è per sottolineare subito che quei valori non le appartengono in proprio, perché si presume che li abbiano tutti i popoli. Questo accento posto sui <valori>, piuttosto che sugli <interessi>, gli obiettivi o la volontà di sovranità politica, è rivelatore di una impotenza collettiva. L'Europa  non sa assolutamente che cosa vuole fare. D'altronde, non si pone nemmeno più il problema, perché allora dovrebbe riconoscere di non volere niente. E perché non vuole niente? Perché non sa più e non vuole sapere più che cosa è”.

La funzione delle attuali classi dirigenti è quella di legittimare politicamente le direttive economiche degli organismi transnazionali e, in particolare, quella di costituire un argine al “populismo” degli euroscettici. Inoltre, i partiti di governo debbono salvaguardare il consenso dei mercati finanziari, decisamente contrari a spinte centrifughe rispetto alla UE e a problematiche sociali incompatibili con la logica capitalista. Il diffondersi di alleanze elettorali e di governi di coalizione nazionale, (vedi la Germania, l'Italia e le elezioni locali francesi), altera profondamente la dialettica democratica tra maggioranze ed opposizioni. Nelle recenti competizioni elettorali europee, per i partiti di governo, le ragioni del contendere, non sono state tanto le soluzioni possibili ad una crisi economica devastante, né il disagio sociale dei popoli, quanto la minaccia del consenso popolare raccolto dai partiti euroscettici. Paradossalmente, ma non troppo, il problema dell'Europa sarebbe costituito dagli ostacoli che Podemos o il Front National potrebbero opporre alle riforme antisociali sistemiche in senso liberista imposte dalla UE. L'istanza democratica si è trasformata dunque in una istanza sovversiva. Non sono mancati nemmeno esempi di terrorismo mass mediatico nei confronti del consenso popolare verso Tsipras e il Front National. Si è perfino verificato un golpe finanziario nei confronti della Grecia, costretta, dalla minaccia - ricatto tedesca di default del debito sovrano, ad accettare misure economiche di austerità suicide per il popolo greco.

 

I limiti delle alternative euroscettiche

Ci si interroga però sulle ragioni dei sostanziali insuccessi dei partiti euroscettici, che pur ottenendo larghi strati di consenso popolare, non riescono a conseguire i successi sperati. Tali partiti raggiungono notevoli percentuali nonostante una alta astensione del corpo elettorale, che costituisce oggi il maggior ostacolo per le opposizioni, dato che l'astensione non è più sinonimo di dissenso ma di rassegnazione. Inoltre non esiste alcuna forma di dissenso unitario europeo dinanzi ad istituzioni unitarie come la UE. Anzi, assistiamo ad una frammentazione differenziata del dissenso a seconda del paese da cui trae origine. Il processo di globalizzazione comporta omologazione e convergenza sia economica che culturale ed è quindi naturale che l'opposizione nasce dall'esigenza di differenziazione identitaria dei popoli. I pariti euroscettici rimangono inoltre coinvolti nella quasi generalità (il M5S costituisce una eccezione virtuosa), nella obsoleta ed antistorica dialettica di destra / sinistra: in Spagna, Grecia, Portogallo l'euroscetticismo è di sinistra, mentre in Francia e Olanda è di destra. Essi comunque trovano ostacoli al momento insormontabili in blocchi istituzionali formati da improbabili alleanze tra i partiti tradizionali (vedi socialisti -  gollisti in Francia, ma che probabilmente si riproporranno anche in Italia), che formano sbarramenti elettorali unitari in spregio alla democrazia a al consenso popolare: sono episodi che dimostrano il progredire di uno strisciante totalitarismo in seno all'Europa.

 

Andare oltre il fatalismo capitalista

Ma in realtà ciò che stupisce di più è il fatto che i partiti tradizionali europei, nonostante le crisi permanenti e il degrado sociale progressivo prodotti dalle politiche di austerità europee, riescano ad ottenere ancora percentuali maggioritarie. Tale conservatorismo autolesionista dei popoli  europei è spiegabile con la disperata difesa della condizione del presente, dall'angoscia collettiva per un futuro oscuro minacciato dal terrorismo, dalle crescenti ondate migratorie, dalle guerre in atto nel Vicino Oriente. Invero tali eventi non sono futuribili, ma costituiscono parte integrante del nostro presente storico. In questa Europa decadente l'eterno presente rappresenta una condizione esistenziale  collettiva, dato che il sistema capitalista mira a distruggere nei popoli, oltre che l'identità storica, anche le prospettive del futuro. Pertanto, l'ordinamento capitalista occidentale, evocando mediaticamente scenari apocalittici, riesce ad imporre la sua “gabbia d'acciaio” in cui sopravvive una società la cui unica ragion d'essere è costituita dalla produzione e dal consumo. Tale “gabbia d'acciaio”, non viene dunque percepita dalle masse come un ordinamento totalitario e coattivo, ma come un luogo di protezione e rassicurazione, dinanzi alle minacce di dissolvimento delle illusorie certezze del nostro presente storico. La difesa ad oltranza di uno staus quo è illusoria ed impossibile nel mondo del  capitalismo assoluto in cui domina la precarietà e l'esclusione sociale, fenomeno già in atto, che conduce alla progressiva proletarizzazione proprio di quei ceti medi che costituiscono oggi il maggiore bacino elettorale dei partiti di governo.

L'ordine mondiale imposto dal capitalismo globale a guida americana non è il migliore dei mondi possibili, ma l'unica realtà possibile, fatalisticamente non suscettibile di mutamento e/o di trascendimento. Dopo l'attentato dell' IS di Parigi, gli USA e l'Occidente, quali detentori del verbo ideologico dei diritti umani, si sono legittimati come gli esclusivi difensori dell'umanità. L'umanità intera si identificherebbe allora nei diritti umani, l'Occidente sarebbe dunque l'incarnazione dell'umanità. Di conseguenza, tutto ciò che è fuori ed oltre l'Occidente sarebbe solo terrore e disumanità. In tale prospettiva, umanità ed ordine mondiale americano si identificano: l'ideologia della globalizzazione, quale legittimazione del governo mondiale è un processo compiuto.

Da quanto precede, emerge chiaramente che gli attuali movimenti euroscettici non hanno possibilità di successo in quanto nessuno di essi svolge il ruolo di oppositore sistemico al capitalismo. Viene contestato il primato della economia finanziaria, la distruzione del welfare, si ripropongono in alternativa le teorie keynesiane, ma i movimenti di opposizione rimangono interni al sistema capitalista. Si rivendica la sovranità nazionale e l'identità dei popoli, ma se non pretende la fuoriuscita dell'Europa dalla NATO e quindi la fine dell'identificazione dell'Europa con l'Occidente, non sarà possibile alcuna sovranità politica, sia nazionale che europea.

Soprattutto occorre prendere coscienza che il capitalismo ha sradicato i popoli dalla propria storia, imponendo un ordine astorico ed assoluto. I popoli debbono pertanto prendere coscienza del fatto che il divenire della storia non può essere misconosciuto. Si è voluto imporre militarmente e politicamente un ordine con fondamenti ideologici sette/ottocenteschi, incompatibili con l'attuale realtà storica. Allora occorre pensare il capitalismo come un ordinamento che ha esaurito tutte le proprie potenzialità storiche di sviluppo, che è pensabile quindi un diverso senso della storia, che esiste in ogni processo storico un avvenire, un poi, una prospettiva di superamento della attuale realtà. Il fatalismo capitalista è l'espressione evidente della propria decadenza.

L'Europa può salvarsi solo riconoscendo che i propri mali, le proprie crisi, la sua fatalistica decadenza, derivano dal non essere sé stessa, dalla fuga da sé stessa e dalla propria storia. Essa ha accettato la propria subalternità agli USA, ha dichiarato la propria impotenza, invocando protezione e sicurezza dal proprio invasore, condividendo gli errori geopolitici americani, subendo le conseguenze delle guerre imperialistiche occidentali e le minacce del terrorismo incombente. L'Europa, prima di liberarsi dal proprio colonizzatore atlantico, deve liberarsi della propria cattiva coscienza.