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L'individualismo assoluto di Stirner come bacino di ribellione

di Luca Leonello Rimbotti - 10/01/2016

Fonte: Italicum

 

Se cercassimo una filosofia e un’etica adatte alla sopravvivenza del più forte e del più nobile, in quest’epoca di dittatura dei deboli e degli ignobili, l’avremmo  a portata di mano. Si tratterebbe di ricostruire il tempio interiore dell’individuo assoluto. Il creatore del nichilismo attivo, in grado di infrangere il nichilismo distruttivo. Colui che conosce la lotta e la invoca. Che sa come sopravvivere in un campo di rovine dove si applica la legge della spietatezza. La parola d’ordine dell’Unico che alleva in sé la legge, intendiamo la radicale e oltreumana rappresentazione fattane da Max Stirner, oggi non ci appare più una qualunque filosofia antiborghese dell’Ottocento sovvertitore. Ci appare piuttosto un segnale di potenza lanciato per l’epoca nostra, che è molle e disfatta nelle strutture, ma in realtà nasconde al suo centro un grumo di problemi d’acciaio. Per la prima volta nella storia umana nervi essenziali dell’essere vengono scientemente manomessi da una folla di uomini-massa esecutori del piano rovinoso concepito dall’alleanza anonima cosmopolita. Per la prima volta, infatti, la storia conosce l’attacco diretto alla natura dell’uomo, la messa in crisi della sua identità. Per la prima volta l’alto è chiamato basso e il grande è considerato piccolo, e insomma l’invertimento di tutti i valori non è nera profezia, ma cosa fatta. Per questo quella presente – anche se esteriormente possa non sembrare - è un’epoca che promette rivolgimenti di terra e di ferro, di roccia e d’acciaio, di sangue e di anima. Un gigantesco e stregonico moto di sovvertimento è in atto da parte di esecutori eterodiretti e psichicamente dominati da invisibili arconti. Una tale opera al nero, per essere prima arrestata e poi annichilita, abbisogna di un protagonista all’altezza.

Stirner concepì l’individuo essenzialmente come un essere di lotta agente all’interno di una gerarchia. Questo già basterebbe ad attirare su di lui la nostra attenzione di uomini famelici di stimoli e sensi da acuire, un attimo prima dell’azione da scatenare. In questo periodo di incubazione, l’Io di Stirner ha il tempo di completarsi come un’intelligenza androide, dura, metallica, insensibile ai condizionamenti della morale del gregge, un’intelligenza fredda e spietata fatta per contrapporsi una volta per tutte al sistema mondiale. A questo essere fatto di carne, anima e cuore di ferro si potrebbero affidare le residue speranze di rovesciamento, con buona probabilità di vederlo prevalere, un domani, sui flaccidi tiranni velenosi. L’Unico è il ribelle cui guardare come a un vendicatore che, nel prossimo medioevo post-industriale che monta al di sotto del trionfante liberalismo cosmopolita, porrà le basi del finale regolamento di conti fra l’uomo e l’anti-uomo, fra l’erede e lo sradicato, fra l’individuo differenziato e l’ebete di massa.

Sistemi di pensiero come quello di Stirner, che con la sua immagine dell’Unico creò l’antagonista estremo di ogni ordine dato, rappresentano oggi i soli strumenti rimasti per edificare uomini in grado di concepire la ribellione sin dal profondo. Non si tratta più di ideologia, e neppure di etica e tantomeno di letteratura, ma proprio di antropologia. Che i tempi presenti sappiano partorire il loro annientatore sotto la forma dell’individuo-giustiziere, è quanto chiediamo al nichilismo. La critica feroce di Stirner alla società, allo Stato, al diritto e alla morale è il sintomo che una necessità è stata riconosciuta come essenziale: l’abbattimento di codici imposti all’uomo da minoranze e oligarchie impiantate sull’interesse privato fatto passare per “ideale”. L’egoismo proclamato da Stirner non è per nulla una morale, tantomeno è la finta morale degli egoisti al potere, che sobillano il “cittadino”, il “suddito”, a subire dis-valori che non gli appartengono e che, al contrario, non sono che pesanti catene. L’egoismo di Stirner è l’esaltazione della potenza insita in chi si ribella al potere di quanti proclamano “santo” e “sacro” ciò che invece è solo perfettamente strumentale al proprio interesse, sia materiale che ideale. L’ordinamento occidentale, specialmente a partire dall’insediamento della borghesia in luogo delle vecchie aristocrazie, è giudicato da Stirner il vertice dell’usurpazione. Ma nulla che ricordi una critica di classe, o un riposizionamento reazionario di qualsiasi fatta. Ed è precisamente questa accusa di untuosa moralità, che circonda regolarmente il sopruso, che noi giudichiamo il massimo disvelamento stirneriano: equivale alla scoperta copernicana di un inganno globale secolare, sul quale il potere mondialista gioca i popoli e i singoli, irretendoli nelle maglie di ciò che Stirner chiamava il mendace culto del “sacro”: “sacra” è stata nominata la più vile convenienza, “sacra” l’immobilità sociale che garantisce l’abbrutimento della qualità umana, “sacro” è lo Stato fatto su misura per le classi dirigenti, “sacra” la religione a sostegno dei potenti e così via. Questo tipo di “sacro” è la bestemmia borghese che ha imbrattato la bellezza, circonfondendola dei famosi “buoni sentimenti”, il colpo da maestro di Satana con cui il delitto ha allestito il diritto. Stirner parla chiaro. Per lui l’identità è un problema di razza. Di qualità, di peso specifico antropologico. Ai “caucasici”, come lui chiama razzialisticamente i costruttori europei della civiltà, e che si affermarono superando il “carattere negro” rappresentante la primordialità atavica, egli oppone soprattutto il “mongolesimo”, quella cineseria del pensiero che ha dato vita alla sovranità dello “spirito” calcolante, avvilente, materiale, che però produce instancabilmente dogmi, leggi, prescrizioni, divieti, prigioni, cosmi e microcosmi fatti di paura, repressione fisica e psichica, intimidazione e servitù. «Salta perciò agli occhi che il mongolesimo – troviamo scritto in “L’Unico e la sua proprietà”, il famoso libro/ordigno scritto da Stirner nel 1844 – rappresenta il mettere fuori legge i sensi, la negazione della sensibilità e della naturalità e che il peccato e la coscienza del peccato è stata la nostra millenaria piaga mongolica».

L’uomo libero, il “caucasico” che secondo Stirner è l’unico “assaltatore del cielo”, colui che vive la sua libertà dall’interno e non la considera un diritto ma la propria semplice e sbrigliata natura, questo uomo raggiungitore della vetta dell’assoluto è il nuovo cesellatore della rivelazione rivoluzionaria per eccellenza, in base alla quale non deve vigere più altra legge al di fuori di quella sovrana della volontà libera. Può esistere davvero un simile uomo nel mondo? Può una simile volontà davvero dispiegarsi, senza che la trama occulta dei servi del dogma universale ne complotti subitaneamente la rovina? La divina “follia” stirneriana è tutta qui. E non è poco. È la lotta contro l’universalismo dei “buoni sentimenti” imposti dal piccolo uomo di potere, dall’ipocrita intellettuale, dal plebeo arrogante. Questa prospettiva è spaventosamente, magnificamente vertiginosa. L’Unico, l’uomo nuovo così tratteggiato, sarà un edificatore simultaneo dell’abbattimento dello “spirito” razionalista e, ad un tempo, il restauratore di una facoltà istintuale priva di misura, appunto smisurata. Un programma rivoluzionario che presuppone scenari di radicale sommovimento. Che benissimo si attagliano all’epoca che noi viviamo, in cui la “santità” dell’ipocrisia di massa spiega le sue ali opprimenti sull’intero globo. In questo senso, si direbbe che l’ora di Stirner stia per scoccare.

Lo sguardo di Stirner, libero dai condizionamenti della falsa etica, è perfettamente “anti-buonista”. Egli, che non usò mai la parola “anarchia”, ma che nondimeno patisce da sempre la taccia di “padre dell’anarchismo”, grazie ad uno di quegli equivoci su cui campa da sempre l’intellettualismo illuminista, è in realtà il promotore di un nuovo ordine, al di là della morale e al di là dei “buoni sentimenti”, ben oltre la piattezza esangue dei “diritti dell’uomo”. Stirner disprezza la mano di intonaco che gli ipocriti spalmano sui sepolcri, imbiancandoli di retorica artificiale. E coglie al volo l’essenza della questione: «La lotta per l’autoaffermazione è inevitabile, perché ogni cosa tiene a se stessa e nello stesso tempo si scontra continuamente con altre cose. Vincere o soccombere: fra queste due possibilità oscilla il destino della lotta». Stirner ha scritto pagine violente e ricche di implicazioni contro il “liberalismo umanitario” e contro “l’universalismo” che parla di “uomo” genericamente, facendone un’astratta categoria assoluta, un’astrazione, un mito inesistente impagliato su diritti universali altrettanto inesistenti. Dietro a questa critica estrema c’è la critica estrema a ciò che ha prodotto una tale inaudita dittatura del pensiero unico universale. Qui sta la straordinaria modernità del pensiero “assurdo” di Stirner, qui la sua eccellente provocazione creativa: «Non l’uomo costituisce la tua grandezza, ma tu stesso la crei, perché tu sei più che uomo soltanto e più potente di altri uomini». Questo sfavillante aforisma lo vorremmo porre a epigrafe di una volontà di reazione contro quell’universalismo post-moderno che sta rapidamente mettendo a morte l’individualità degli esseri umani, come individui e come popoli, iniettando nelle menti il dogma di un’inesistente “umanità”. Poiché Stirner parlò dell’egoismo individualista come strumento di battaglia, ma, essendo nemico – e con quanta virulenza! – di tutti i moderni tranelli politici (socialismo, comunismo, liberalismo, universalismo e molti altri “ismi” già all’opera a metà Ottocento), riconobbe ugualmente la necessità dell’associazione tra Unici, il patto di ferro tra “egoismi” che, nella loro illimitatezza, avrebbero potuto dar vita ad una aristocrazia di nuovo conio, i cui adepti non subiscono, ma attuano la dimensione comunitaria, non sono soffocati dalla socialità, ma la vivono ricreandola ogni giorno. Potremmo qui fare degli interessanti paragoni fra l’opposizione di Stirner allo “spirito” razionalista” in nome della libertà assoluta di coloro che sono simili fra loro e l’equivalente filosofia di Klages circa la negatività del moderno e opprimente “spirito” calcolante, cui era da opporre la libertà suprema delle “anime” raccolte in  un magnetismo che associa i diversi, i superiori.

Le considerazioni di Stirner sopra l’umanitarismo liberale sono quanto basta per promuovere un modo d’essere formativo che sia di definitiva contrapposizione all’esistente politico attuale: «Il liberalismo umanitario dà al singolo ciò che egli ha come “uomo”, cioè tutto ciò che appartiene all’umanità. Ma a questo modo il singolo non ha proprio niente e l’umanità ha tutto […] Il liberalismo umanitario si mette all’opera in modo radicale. Se tu anche solo in un punto vuoi essere o avere qualcosa di particolare, se tu vuoi conservare anche un solo privilegio nei confronti degli altri, se tu avanzi delle pretese su di un diritto che non è uno dei “diritti universali dell’uomo”, allora tu sei un “egoista”». Molto eloquente: la diversità, l’unicità come “privilegio”: lo si direbbe un magnifico insulto all’attuale egualitarismo universale. E dunque, abbiano i ribelli il coraggio e la forza di dirsi finalmente “egoisti”, ma fino in fondo. Poiché questo “egoismo”, lungi dall’avere qualcosa a che vedere con l’interesse privato o con l’individualismo borghese, è invece straordinariamente vicino all’eroismo dei pochi, all’aristocrazia dei migliori, alla perseveranza dei mistici. E non fu un caso se proprio nella mistica si ritrova molta logica stirneriana. Non fu per l’appunto Meister Eckhart a proclamare una sorta di Uomo-Dio, artefice faustiano di nuova grandezza: «sii tu stesso legge a te stesso»?

Nemico dei diritti universali, Stirner è dunque il regolatore di un superamento del razionalismo che, dalla Rivoluzione francese in poi, e soprattutto grazie all’oscena copula dell’illuminismo con il puritanesimo americano, costituisce la più grigia condanna per individui e popoli. La sua massima al riguardo, alle orecchie degli odierni irriducibili anti-mondialisti, suona molto più che una semplice irriverenza: «Se domina la ragione, soccombe la persona». Essere “Unico”, così come cesellava Stirner questa figura di estremo eroe dell’Io, significa avere identità irripetibile, specificità, diversità, quindi ricchezza, tutte cose che sono il contrario dell’uguaglianza livellatrice. La liquidazione del borghesismo cosmopolita in nome dei superiori diritti dell’uomo differenziato è già un fatto compiuto nella filosofia di Stirner, alla metà dell’Ottocento. Ancora un passo, e saremo a Nietzsche, a Wagner, a D’Annunzio e oltre. Su questa linea retta, i tempi maturano affinché tutte le profezie dei più grandi “sovrumanisti” si compiano: un altro passo e saremmo infatti alla rivolta mondiale degli “Unici” contro la truffa liberaldemocratica dei diritti universali.