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Serge Latouche filosofo in lotta contro l’occidentalizzazione del mondo

di Amorino Griffini - 17/01/2016

Fonte: Barbadillo

Serge Latouche

Serge Latouche

12 gennaio 1940. A Vannes, in Bretagna nasce Serge Latouche, filosofo ed economista.
Chi è nato nella seconda metà del secolo scorso e magari ha ricevuto una educazione da gente della prima parte del secolo che era passata attraverso le economie dei tempi di guerra, che poi magari si è avvicinato al ventaglio culturale della critica al Progresso che partiva dall”800, e poi ancora ha avuto la ventura di passare attraverso esperienze postsessantottine con il “ritorno alla terra” e l’ecologia, la lettura dei libri di Latouche è la conferma di tutto il percorso fatto, il ritrovarsi in tutte le pagine dedicate al recupero del “localismo” e alla scelta di passare alla “decrescita”, le parole chiave di una visione del mondo che vede la salvezza dello stesso attraverso il rifiuto e la lotta contro l'”occidentalizzazione” dello stesso, ovvero quello caratterizzato dal capitalismo senza volto, da una industrializzazione che non tiene conto dell’uomo, dal circuito diabolico della pubblicità che stimola “consumatori” a diventare schiavi di prodotti dei quali non ci sarebbe stata alcuna necessità prima dello stimolo pubblicitario. “Provalo, non potrai più farne a meno”, recitano i mantra di molte pubblicità, e già questo sarebbe un buon motivo per tenersi lontano dall’offerta. Un meccanismo mentale che si inserisce in un’altro che è diventato un feticcio da adorare e sul quale si devono modellare gli Stati: il Mercato, al quale è legata la Finanza speculativa; un insieme inserito in una cornice ancora più perversa, quella della Globalizzazione, l’eliminazione quindi di ogni cultura, di ogni specificità. Già Karl Marx l’aveva detto: “Il Capitale avverte ogni limite come un ostacolo”, e Alain de Benoist aveva aggiunto, collegandolo al Gestell di Martin Heidegger, che la “logica dell’accumulo di capitale è l’illimitatezza, il rifiuto di ogni limite, l’imposizione del mondo attraverso la ragione mercantile, la trasformazione di tutti i valori in merci”. Tutto un circolo infernale al quale Latouche risponde con la “decrescita felice”. E allora, contro la logica dello sfruttamento e della “produttività” esasperata (chi, lavorando, non ha avuto a che fare con i “budget” da raggiungere con asticelle poste sempre più in alto?) dice Latouche: “Lavorare meno per vivere meglio. Non c’è solo il lavoro nella vita”!
Latouche era nato e cresciuto con il mito dello scientismo e del tecnicismo, poi la vita lo ha portato in giro per il mondo, a vivere in Congo per qualche anno e poi in Laos, giusto il tempo per rendersi conto che la bellezza stava nella diversità culturale, che il progresso unito al capitalismo finanziario portava non solo allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ma anche alla desertificazione, al mutamento climatico, all’estinzione di specie animali e di piante, che lo sviluppo tecnologico cova sindromi che poi diventano bubboni purulenti all’improvviso, come è successo a Bophal o, per restare vicino a noi, a Seveso. E quindi? Latouche ha dato il suo contributo di riflessione e di proposte con tanti saggi: “Il pianeta dei naufraghi”, “L’ccidentalizzazione del mondo”, “La megamacchina”… Assieme ad Alain Caillé, sociologo e docente a Parigi, elabora programmi e contribuisce agli studi del M.A.U.S.S. il Movimento Antiutilitarista delle Scienze Sociali. Per oltre venti anni ha insegnato economia nell’Università di Lille per poi passare alla Fac di Giurisprudenza a Parigi.