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Guerra e potere: da Clausewitz a Foucault

di Alex Barone - 17/01/2016

Fonte: L'intellettuale dissidente


È a partire dalla filosofia della guerra e della forza, in particolare dalle considerazioni di Carl Von Clausewitz, che si struttura una determinata concezione del potere come di un insieme di rapporti di guerra e di forza condotti con altri mezzi, rispetto a quelli utilizzati comunemente sui campi di battaglia. In una determinata concezione filosofica, la vita politica stessa diviene un nuovo campo di battaglia, dove non sono asce e scudi a scontrarsi, ma dove sono i rapporti di forza a guidare le sorti.

  

Carl Von Clausewitz, ufficiale prussiano del XIX secolo, in una sua celebre opera “Della guerra” (divenuta, poi, la guida ispiratrice di buona parte dell’aristocrazia militare germanica del periodo immediatamente precedente la prima guerra mondiale), scriveva che “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”.
Questa massima, che intravede nel concetto di “guerra” una sorta di alternativa politica rispetto alla consueta ed ordinaria diplomazia di pace, utilizzata per imporre determinate condizioni di potere, imprimere nuovi ordini di forza e risolvere determinate questioni umane, venne analizzata ed approfondita, nel corso del Novecento, da più fronti di pensiero.
In realtà, il pensiero del generale Von Clausewitz (il quale si rivelò, nei fatti, anche un brillante filosofo della guerra, oltre che abile militare), si esprime anche in altre più articolate considerazioni. Ma questa, in particolare, suscita maggior interesse, ed è anche a partire da questa che il filosofo francese Michel Foucault articolerà la sua teoria del potere, inteso come un insieme di rapporti di forza e di dominio.

L’analisi sul potere, operata da Foucault, partendo sempre dal concetto di guerra e di rapporto di forza dinamico come motore della storia, si pone su un piano differente rispetto a Clausewitz, concependo la guerra non semplicemente come una continuazione della politica -  ovvero come uno strumento di forza connesso ma altro rispetto alla politica – ma come un elemento umano insito in ogni singolo rapporto societario e quindi strettamente connaturato all’azione politica stessa. Foucault, di fatto, supera ogni logica e riflessione attorno alla costituzione della società, per così dire d’epoca moderna, ponendosi oltre sia ad Hobbes che a Rousseau.
La forma contrattualistica,  che intende le società umane ed i soggetti politici come entità arbitrarie sorte a partire da una pre-condizione (molto teoretica e poco storicizzata) di stato d’esistenza dove gli uomini sono soggetti atomizzati distaccati l’uno dall’altro ma dominati da una condizione di diffidenza reciproca e di disordine problematico, che può risolversi nella comune accettazione di un ordine sociale condiviso, viene totalmente superato,  rivisto,  e si lascia spazio alla centralità dell’atto di guerra e di dominio violento nella formazione della società. Il potere, dunque,  non sarebbe più il frutto di una decisione contrattata convenzionalmente da più esseri umani bisognosi di fuggire dal proprio “stato di natura” per trovare quiete all’interno di una struttura costituita da leggi, norme ed usi rigidi (che renderebbero l’uomo,  da soggetto autonomo ed indipendente, membro di una comunità  estesa), ma il risultato dell’azione di forza esercitata da alcuni uomini su altri uomini.

La storia, in Foucault, altro non è che uno scontro tra popoli, o, per meglio dire, tra “razze” (non nel senso biologico e strettamente razzista dell’espressione, ma culturale), un perpetuarsi di rapporti di invasione/difesa, scontro, fusione e colonizzazione. La civiltà e tutte le culture umane  (che nella concezione storica di Foucault sono il derivato,  appunto, di precisi poteri che, essendosi posti in un determinato modo, influenzano l’azione umana in un determinato senso) altro non deriverebbero che da questa contingenza bellica, dove un determinato popolo (per capacità di sopravvivenza maggiore, per organizzazione migliore o per abilità di dominio superiore) ha saputo imporre il suo modo di vivere e di essere in un preciso contesto umano.
Il filosofo francese, in qualche modo, inserendosi in una tendenza di pensiero già avviata a partire dal XIX secolo, in qualche modo, demolisce ogni astrattismo possibile nella concezione dei rapporti storici che guidano le epoche umane e strutturato i saperi e le culture umane,  riportando l’ordine del discorso all’analisi materiale e realistica delle dinamiche dei rapporti umani, dove l’uomo non è un soggetto pacificato e totalmente razionale che si associa compiendo meri calcoli di convenienza (adottando così un atteggiamento molto moderno e poco primitivo),  ma un soggetto guidato anche da impulsi atavici vitali, da volontà di dominio e di affermazione  (riprendendo anche Nietzsche), che lo portano inevitabilmente a duellare con altri uomini e a primigenia,  oppure ad essere sopraffatto da culture più forti, dinamiche e decise.
La razionalità , in fondo, per come la conosciamo noi, cos’è se non il frutto di un modo di pensare e di vedere le cose generato da un contesto storico preciso, figlio di rapporti di forza e di potere precedenti che l’hanno determinato?

Pensare che i nostri avi, che i popoli antichi seguissero lo stesso nostro schema logico è poco credibile, è più verosimile invece che seguissero gli stessi schemi di garanzia della sopravvivenza da noi seguito, e che le società umane non siano sorte dal freddo calcolo tra due parti contrapposti, ma dal confronto duro tra queste due, dal ferro e dalla spada. Forse Hobbes e Rousseau ragionavano a partire da concezioni della Storia filtrate dallo spirito del loro tempo, sicuramente più civilizzato e meno rapportato allo spirito più selvaggio e sicuramente barbaro di popoli che li hanno preceduti.
Il passato era molto più brutale, feroce per alcuni versi, molto più selvaggio. La concezione dell’uomo e della morale era molto differente rispetto alla nostra e condizioni che a noi paiono inconcepibili ed eccessive, per alcuni popoli erano la norma. Risolvere le controversie con la forza era molto più in uso e, nella maggior parte dei casi,  l’unica modalità utilizzata.

Quello di Foucault è, se vogliamo, una approccio che scardina totalmente quel porsi davanti alla storia con un atteggiamento proveniente dall’alto (com’egli afferma simbolicamente “bisogna tagliare la testa al re”) e, seguendo il metodo della genealogia di Nietzsche, si pone alla realtà e alla società con un atteggiamento rivolto “al basso”, a partire da quei micro-istituti di diffusione del sapere e quindi di consolidamento del potere che costituiscono l’ordine sociale. Da qui, nasce la cosiddetta “microfisica” di Foucault, che studia, analizza e conosce il potere a partire da una sua analisi interna dello stesso e di tutti quei processi particolari che l’hanno determinato. La Storia, dunque,  altro non è  che il prodotto di una guerra continua tra parti, tra microstrutture ed entità che si scontrano tra loro nella ricerca reciproca  del dominio ed il seme stesso della guerra, oltre ad insediarsi in ogni singolo atto dell’agire umano (con forme diverse) si concretizza anche nella politica, nei rapporti civili politici,  che , nel loro essere dialetticamemte conflittuali,  rimandano a quei meccanismi di forza che guidano ogni cosa. In Foucault, “Il potere è la guerra, la guerra continuata con altri mezzi”.