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Il nuovo comunismo è venuto per sostituire i popoli

di Renaud Camus - Adriano Scianca - 07/02/2016

Fonte: Il Primato Nazionale


camusNon è solo questione di ordine pubblico e degrado, abusivismo e conflitti religiosi. C’è qualcosa di più profondo e più pericoloso nell’immigrazione e in ciò a cui ci sta destinando. È l’idea che non siamo più “a casa nostra”, che nessuno lo è, che i popoli sono sostituibili. Di sicuro lo è il nostro. È allo scrittore francese Renaud Camus che dobbiamo la formula che riassume questa dinamica in due parole cariche di infausto destino: Grand Remplacement. Ovvero la Grande Sostituzione dei popoli europei. A breve Camus verrà in Italia per raccontarci di persona le sue tesi. Per il momento, il Primato Nazionale gli ha chiesto di illustrarci il volto mortifero dell’ideologia che prepara la nostra estinzione.

La Grande Sostituzione deve essere concepita come la sostituzione di una civiltà per mano di un’altra (per esempio la civiltà europea rimpiazzata dalla civiltà arabo-islamica) o – come personalmente credo – come la creazione di una non-civiltà in cui tutti gli uomini e tutti i popoli siano sostituibili, come la vittoria della sostituibilità universale?

Ah, lei punta subito il dito sulla grande contraddizione del sostituzionismo (*), l’ideologia globale e, a mio avviso, totalitaria, che promette e instaura la Grande Sostituzione. Dal punto di vista di tale ideologia, è la seconda parte dell’alternativa che lei ha posto che è all’opera: solo che, nella sua ottica, quella che si tratta di creare non è una non-civilità, ma, al contrario, la civiltà stessa: liberale, intelligente, umana, egualitaria, fraterna, armoniosa e civilizzata, perché non ci saranno più differenze o discriminazioni tra i suoi membri, tutti fratelli, nel villaggio universale senza frontiere. Questa è la sovrastruttura, per così dire, l’ideale reclamizzato e condiviso in buona fede da una larga parte delle masse sostituzioniste. Beninteso, sappiamo bene, noi, e lo constatiamo ogni giorno, che questo ideale è falso e che ciò che prepara l’enorme macchina sostituzionista è, in effetti, come dice lei, una non-civiltà, una barbarie post-industriale e iper-economista in cui sarebbe compiuta la fabbricazione, da parte di quella che chiamo “l’industria dell’ebetudine”, dell’uomo sostituibile: de-originato, de-nazionalizzato, de-culturato, de-sessuato, cosificato, intercambiabile e delocalizzabile a piacimento. Ma c’è una contraddizione nella contraddizione. Il sostituzionismo, che è una nemesi, ha la sua propria nemesi. In effetti, esso sostituisce un popolo che ha perfettamente preparato alla Grande Sostituzione, il popolo degli uomini sostituibili, con un popolo ferocemente identitario, arabo-musulmano, islamico quando non islamista. Per dirla in un altro modo, esso sostituisce un popolo di bovini (industriali) con un popolo di iene. E così facendo scava la propria fossa. Ma è una magra consolazione.

Lei ha proposto altri due concetti-chiave che in Italia sono meno conosciuti: quello di “Grande Deculturazione” e di “In-nocenza”. Di cosa si tratta?

Sono solito dire che i popoli che conoscono i loro classici non si lasciano condurre nell’immondezzaio della storia senza protestare. La Grande Deculturazione è indispensabile alla Grande Sostituzione. E proprio a questa che alludevo quando dicevo prima che il potere sostituzionista aveva preparato alla sostituzione il popolo sostituito (ma non il popolo sostituente). Quella che chiamo industria dell’ebetudine conta tre branchie principali: l’insegnamento dell’oblio, così come è dispensato in Francia dal ministero dell’educazione nazionale; l’imbecillizzazione delle masse, così come è assicurato dall’industria culturale e dai divertimenti di massa, peraltro sempre più indistinguibili l’una dagli altri, senza contare la politica stessa che vi si sta ormai diluendo; e, in terzo luogo, la droga, la cui distribuzione, cosa non indifferente, è già largamente nelle mani dei popoli sostituenti, contrariamente alle altre due branche, che sono ancora gestite dai sostituzionisti. Quattro gruppi sono i protagonisti del dramma non politico ma ontologico che si sta svolgendo: i sostituiti in rivolta, che rifiutano la loro sostituzione; i sostituiti che acconsentono, che non percepiscono il fenomeno, che ne negano l’esistenza o vi sono rassegnati o pensano addirittura che sia una buona cosa; i sostituzionisti, che lo promuovono e lo impongono; e i sostituenti, sempre più numerosi e potenti. I secondi e i terzi possono essere considerati una cosa sola, e comunque saranno inghiottiti dai quarti. Quindi, in sostanza, non ci sono che due forze in campo, molti diseguali ideologicamente; e la linea che le separa è la sola che conta ideologicamente: quella che oppone i sostituzionisti, promotori e autori della Grande Sostituzione, e gli anti-sostituzionisti, coloro che sono decisi a fare di tutto per interromperne il corso e a invertirlo. La Grande Déculturation è il titolo di uno dei miei saggi sul crollo del sistema scolastico. Décivilisationtratta lo stesso problema della trasmissione della cultura prendendolo a monte della scuola, nelle famiglie, al cuore del lignaggio, che esiste sempre di meno. Il recente La Civilisation des prénoms riguarda il trionfo del nome nei rapporti sociali contemporanei, ovvero la scomparsa progressiva del cognome, dunque della responsabilità (solo il cognome firma), ma anche dell’inscrizione nel tempo, nella storia, nell’eredità, nel lignaggio. L’avvento del nome è uno dei segni di questa presentificazione, di questa imposizione del presente, di questo “da capo” perpetuo che è uno dei tratti più caratteristici della deculturazione, della decivilizzazione, del ridiventare selvaggia della specie. Tutti questi libri, e ancora La Dictature de la petite bourgeoisie, o Le Communisme du XXIe siècle (ovvero l’antirazzismo, ma oggi parlerei piuttosto di sostituzionismo, che ne è la forma evoluta), sono isole di un arcipelago il cui centro, il serbatoio teorico, è il voluminoso Du sens, che generalizza l’opposizione famosa messa in scena da Platone nel Cratilo, tra Cratilo stesso, che pensa che le parole abbiano un senso determinato dalla loro origine e dalla storia della loro origine, ed Ermogene, per il quale il rapporto tra significante e significato è pura convenzione. Essere francese, per esempio, o italiano, o europeo, è una questione puramente amministrativa, di carte bollate e timbri, o anche una appartenenza modellata dai secoli? “Sono francese come lei”, mi ha detto una volta una musulmana con il velo che parlava molto male la mia lingua. E, dal punto di vista di Ermogene, aveva ragione. Nessuna epoca è stata ermogeniana come la nostra. Del resto Ermogene vince sempre. Ma Cratilo non perde mai del tutto. Egli ritorna senza sosta. Quanto a l’in-nocenza [in-nocence], è il concetto attorno al quale ho sempre sognato di ordinare la mia riflessione politica. Esso procede dall’osservazione che innocenza è una parola negativa, in-nocenza, da cui risalta nettamente che ciò che è primario è la “nocenza”, la nocività, la pulsione di nuocere agli altri uomini, alla loro vita, ai loro beni, alla Terra. La civiltà, il contratto sociale, il covenant hobbesiano, la città, il civismo, l’essere civili, la sintassi, l’educazione, sono tutti patti di in-nocenza. L’in-nocenza, la non-nocenza, l’assenza di nocività, è un concetto che permette di pensare insieme tre campi che non possono essere separati, a mio avviso: la politica propriamente detta; l’ecologia, ovviamente; e – cosa che è grandemente dimenticata – la vita quotidiana, esposta al rumore, alla spudoratezza, a inciviltà di ogni genere, negli edifici, sulle scale, nel trasporto pubblico, ovunque. La gente non crede alla conquista di cui l’Europa è oggetto perché non vede eserciti stranieri sfilare sugli Champs-Élysées o in Via Veneto. La conquista non è militare, in effetti. Il suo strumento è la “nocenza”, dalle piccole aggressioni fino all’iperviolenza e alla carneficina, passando per tutte le forme di furto e di stupro. Non c’è soluzione di continuità tra la delinquenza e il terrorismo. D’altronde tutti gli autori degli attentati hanno fatto il loro esordio in rapine a mano armata. È a causa di un discorso intitolato “La Nocenza, strumento della Grande Sostituzione”, che io sono perseguito da anni dalla giustizia francese. Adesso siamo alla corte di Cassazione.

Credo che le origini della Grande Sostituzione siano liberali e marxiste allo stesso tempo. Lei è d’accordo ? O, in alternativa, quale ritiene che siano le radici ideologiche di tale dinamica?

La Grande Sostituzione è il figlio mostruoso della Rivoluzione industriale al suo stadio ultimo, post-fordiano, post-industriale, e dell’antirazzismo nella sua fase senile.

Quando la Grande Sostituzione sarà compiuta, il risultato sarà un mondo infernale, persino per le élite immigrazioniste che l’hanno favorita. Perché allora queste perseguono perseguono tale obbiettivo?

Non sono sicuro che ci sia da qualche parte una volontà espressa in azione, anche se alcuni documenti dell’Onu raccomandano papale papale una sostituzione degli europei. Credo piuttosto ad enormi meccanismi incontrollabili: egualitarismo, dogma dell’inesistenza delle razze, economicismo, dittatura della piccola borghesia: “Ciò significa – dice Agamben – che la piccola borghesia planetaria è verosimilmente la forma nella quale l’umanità sta andando incontro alla sua propria distruzione”.

Qual è il contrario della Grande Sostituzione? Qual è la buona ragione, in fin dei conti, affinché sia un popolo e non un altro a dover vivere in un dato territorio? Non è forse vero, come ci ripetono le élite immigrazioniste, che nessuno di noi è originario o autoctono, che le radici possono essere “decostruite”, che l’identità è un’illusione?

Il sostituzionismo è come un Dio terribile per cui tutti gli uomini sono uguali e intercambiabili, dato che gli sono indifferenti. Il contrario del sostituzionismo è non solamente l’identità, ma il carattere “insostituibile” degli individui e dei popoli. L’esilio ha una sua nobiltà tragica e metafisica, certo, ma non c’è esilio che a partire da un fondo di appartenenza. È la propaganda cosificante che pretende di decostruire l’essere. Amo più la morale de I nutrimenti terrestri, di Gide: “Non legarti in te se non a ciò che senti non essere altrove che in te stesso, e crea di te, impazientemente o pazientemente, ah! il più insostituibile degli esseri”.

(*) Camus utilizza le espressioni “remplacisme” e “remplacistes” per indicare rispettivamente l’ideologia e i partigiani del Grand Remplacement, ovvero della Grande Sostituzione. Per renderli in italiano abbiamo scelto i neologismi, benché cacofonici, “sostituzionismo” e “sostituzionisti”, al fine di conservare il legame linguistico con il concetto di “sostituzione” che è l’idea madre di tutto il pensiero di Camus. [NdT].