Quando venne presentata come la pensata del secolo, durante il Summit della terra di Johannesburg, in molti storsero il naso. L’idea di combattere il riscaldamento climatico attraverso la compravendita delle quote di inquinamento sembrava a prima vista un tantino idiota. Ci venne però detto che, senza quell’omaggio al dogma del mercato über alles, difficilmente qualunque progetto di riduzione delle emissioni sarebbe potuto passare. Come dire: possiamo ottenere la ratifica del protocollo di Kyoto ma non possiamo far passare il principio che uno Stato possa obbligare le imprese a riconvertirsi né, tanto meno, si può lasciar aperta la porta all’eresia. Perché non c’è peggior eresia del tentativo di sottrarre alcuni settori - il clima, la salute, l’acqua, il genoma - alla voracità dei mercati in espansione. Così, alla fine, su pressione della lobby industriale europea e degli americani (che misteriosamente riescono a dettare le condizioni per trattati che non sottoscrivono) il capitalismo socialmente responsabile ha inventato niente po’ po’ di meno che la borsa delle emissioni, ovvero un metodo per abbattere l’inquinamento senza vessare i poveri industriali né inibire il sacro sviluppo. Peccato che, invece di contenere le emissioni, sembra proprio che il meccanismo premi chi ci dà sotto coi gas serra e penalizzi i pochi, pochissimi virtuosi.
Nel maggio scorso, un po’ in sordina, la Commissione europea ha pubblicato i dati sulle quote di C02 emesse dai 21 paesi membri per la prima volta dall’entrata in vigore dell’Emission Trading Scheme, il piano di compravendita delle emissioni di anidride carbonica adottato per raggiungere gli obiettivi del Protocollo di Kyoto. Il tetto massimo stabilito per le emissioni di gas serra lo scorso anno era pari a 1.829 milioni di tonnellate mentre, complessivamente, le circa diecimila imprese europee che partecipano al sistema di compravendita ne hanno rilasciate nell’aria 1.785 milioni. In sostanza sono state prodotte 44 milioni di tonnellate di anidride carbonica in meno rispetto a quanto concesso. Non è un gran risultato però è già qualcosa, potrebbe dire qualcuno. E invece… Invece viene fuori che, più che alla riconversione degli impianti europei, la riduzione di C02 è dovuta alla generosità delle quote assegnate dai singoli stati alle proprie imprese. Insomma, per evitare oneri alle aziende, molti paesi hanno fissato obiettivi spropositatamente elevati. Come diavolo è potuto succedere?
Il sistema della borsa delle emissioni dovrebbe funzionare come un incentivo per spingere le imprese a investire in energia pulita e in rinnovabili con l’obiettivo di raggiungere gli obiettivi fissati da Kyoto entro il 2012. Ogni anno ciascun governo stabilisce per le proprie aziende la quantità massima di C02 a cui hanno diritto; poi, al momento della verifica annuale, le aziende che hanno superato questa soglia devono acquistare le quote di C02 in più al prezzo di mercato. Le aziende che hanno emesso meno posso tenersi le quote come bonus per l’anno successivo oppure venderle in borsa, venendo così premiate per gli interventi che si presume abbiano fatto per ridurre l’impiego di tecnologie inquinanti, senza imporre misure punitive o rendere più stringente la normativa come chiedono gli ambientalisti. Ed è proprio per evitare di penalizzare economicamente le imprese nazionali che molti Stati hanno alzato oltremisura le quote di C02, con il pieno consenso della Commissione.
Ed è qui che comincia la parte divertente. Sì perché le assegnazioni troppo elevate di C02 non solo gettano un’ombra di ridicolo sulle misure adottate per contrastare il riscaldamento globale, ma rischiano di far collassare l’intero sistema di Emission Trading. Infatti il disavanzo di 44 milioni di anidride carbonica ha fatto precipitare il prezzo del 60 per cento secondo l’elementare regola dell’economia: quando l’offerta cresce il prezzo cala. In primavera erano bastate poche indiscrezioni trapelate prima della pubblicazione del rapporto ufficiale della Commissione per far scendere il valore di una tonnellata di C02 da 25 euro a 10 euro. Le imprese, quindi, potrebbero non essere più interessate a investire in energia pulita se per rimediare bastano pochi euro. Insomma, molto meglio comprare qualche quota e continuare a bruciare carbone utilizzando impianti fatiscenti vecchi di cinquant’anni, piuttosto che spendere per riconvertire le strutture. Anzi, diamoci dentro! Così il prezzo delle quote continuerà inesorabilmente a scendere rendendo la produzione di gas serra in eccesso sempre più conveniente.
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