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Antropologicamente brutti

di Francesco Lamendola - 14/02/2016

Fonte: Il Corriere delle regioni


 
 

Ce lo siamo sempre domandati, anche in un articolo di molti anni fa: «È possibile che una ideologia vera e convincente produca delle brutte persone?» (pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 02/11/2008), e l’esperienza quotidiana  non cessa di suggerire una risposta negativa. Si dirà che i tempi di Lombroso sono finiti; che l’abito non fa il monaco; che sono tutti pregiudizi: può darsi. Per noi, comunque, resta certo che un albero buono non può produrre frutti cattivi, e che una ideologia veramente umana non può produrre persone che siano, sotto il profilo umano, gravemente manchevoli. E che bisogna tornare a fidarsi della prima impressione, la quale, nove volte su dieci, non sbaglia: una persona dall’aria insolente, dallo sguardo freddo e tagliente, dai modi arroganti; una persona che dà l’impressione di ritenersi infallibile e depositaria della Verità, lei e il suo partito, o la sua fazione, o la sua parrocchia; una persona che ha negli occhi una luce di cattiveria, di durezza, d’insensibilità, si presenta, poi, conoscendola meglio, quasi sempre, esattamente per quella ch’era apparsa: una brutta persona; una persona da evitare, che nessuno vorrebbe avere per amica, ammesso che tali persone siano mai capaci di provare il sentimento dell’amicizia. Ora, se una certa ideologia produce in abbondanza persone di tal genere; se esse rappresentano il tipo medio riconducibile a quella tale ideologia; e se, fra le persone che abbiamo incontrato nella vita, le più deludenti, le più presuntuose, le più meschine, quelle che ci colpiscono alle spalle, o che spariscono senza una parola nel momento in cui ci trovano “indegni”, perché non si abbassano a dialogare, a cercare un chiarimento, una spiegazione, avendo già la Verità in tasca; se si constata che tali persone, dunque, appartengono tutte, o quasi tutte, a quella certa ideologia, allora bisogna avere l’onestà intellettuale di fare due più due, e di concludere che deve trattarsi di una ben trista ideologia, dal momento che produce sì tristi individui.

Ebbene: le ideologie della bruttezza sono quelle che proclamano la grandezza dell’uomo, le libertà dell’uomo, i diritti dell’uomo, ma sempre in generale, o per categorie: i diritti di questa o di quest’altra categoria; ma che poi, all’atto pratico del rapporto umano, nel calore delle relazioni interpersonali, relazioni concrete e non astratte, non ideologiche, appunto, si rivelano di una povertà desolante, di una piccineria senza vergogna, di una astiosità e di una capacità di rancore illimitate. Sono quelle che non ammettono il senso del limite, perché non ammettono Dio; che non ammettono il senso del mistero, perché sono convinte che la scienza possa spiegare tutto;  e che disprezzano, in ultima analisi, il sentire delle singole persone, perché sono impegnate in una impresa ben più nobile e grande, al confronto della quale tutto ciò che fanno gli altri esseri umani è perdita di tempo, trastullo o spazzatura: cioè rifare il mondo, puramente e semplicemente. Le ideologie che vogliono rifare il mondo producono brutte persone; oppure si potrebbe anche dire così: le brutte persone sono naturalmente attratte dalle ideologie che proclamano di voler rifare il mondo. Le brutte persone non hanno umiltà: per cui, se qualcosa non è come (secondo loro) dovrebbe essere, bisogna distruggerla e rifarla: tutto qui; è molto semplice, in fondo. Perché le brutte persone fanno sempre le cose facili: per loro non esistono le sfumature, non esiste la complessità del reale.  Per loro, “sfumature” e “complessità” sono giochi linguistici per camuffare il cavallo di Troia delle ideologie opposte, da loro aborrite con sacro furore; oppure, nel migliore dei casi, sintomi di debolezza e pusillanimità. Le brutte persone possono anche parlare difficile, fare citazioni in greco e in latino, sfoggiare raffinatezze filologiche: resta il fatto che, per loro, la linea più breve fra due punti è sempre una retta; e che quel che sta in mezzo, se dà fastidio, va rimosso, senza tanti complimenti. Sono talmente sicure di sé, di essere nel giusto, che mai le sfiora l’ombra d’un dubbio, anche il più timido: per loro, ciò equivarrebbe a un tradimento della Causa: che è rifare il mondo. Lo vogliono rifare senza Dio, senza preti, senza dogmi, senza valori assoluti; odiano la tradizione, il limite, il mistero, il sacro, il soprannaturale; lo vogliono rifare in base ai sacri principi, quelli del 1789: istaurando il regno della Virtù contro le tenebre del vizio, dell’oscurantismo e della superstizione. Menti limitate, anime piccole, cuori atrofizzarti, costoro hanno l’animo del tribuno e, più ancora, del giudice implacabile: mettersi nei panni degli altri, per essi, è inconcepibile: sono già dalla parte della Verità, a che scopo farla tanto complicata? L’umanità si divide in due metà: quelli che stanno dalla loro parte, e gli altri. Per questi ultimi, non hanno che odio e disprezzo: non li vogliono redimere, perché li giudicano irredimibili: li vorrebbero sterminare. Qualche volta lo hanno anche fatto, o ci hanno seriamente provato, là dove le circostanze storiche erano loro favorevoli; rientrati nei ranghi della democrazia, hanno fatto buon viso a cattivo gioco, ma non hanno mai deposto il pelo del lupo, anche se travestiti da agnelli. Sono sempre pronti a tirar fuori gli artigli, a dare la zampata mortale. Uccidere un “fascista”, per loro, non è grave; anzi, è un contributo all’igiene del mondo.

Ma ora cerchiamo di vederli un po’ più da vicino. In Italia, oggi, codesti signori provengono da una matrice ideologica ben precisa: il mai abbastanza deprecato 1968. Vivono all’ombra di quel mito, sia che lo abbiano vissuto in prima persona, sia che appartengano alla generazione successiva. In questo secondo caso, la loro infatuazione è dovuta ai genitori, ai professori, a qualche adulto che li ha entusiasmati parlando loro del ’68 come di una straordinaria stagione di libertà, come di una vera festa della fantasia che volle dare la scalata al mondo. Non era così, ma che importa?; ci si innamora di ciò che si è stati o di ciò che si avrebbe voluto essere: a ciascuno i suoi sogni, a ciascuno le sue masturbazioni intellettuali. Di un fenomeno storico ridicolo e vergognoso, di una festa degli asini e dei demagoghi, dei piccoli conformisti presuntuosi che giocavamo a fare gli anticonformisti, dei figli di papà che volevano fare la rivoluzione coi soldi di papà, degli studenti fuori corsi che sognavano il Mondo Nuovo mentre sputavano nel piatto in cui stavano mangiando, dei seminaristi che dileggiavano i vescovi e dei fannulloni che avevano a schifo la fatica del lavoro, hanno fatto una icona: il ricordo più bello della loro vita. E da ciò si può dedurre che tipo di vita essi abbiano condotto, in seguito.

Oh, in apparenza non è stata così male. Molti si sono piazzati su quelle cattedre universitarie che disprezzavano, dietro quegli sportelli di banca che aborrivano, in quei consigli di amministrazione che avrebbero voluto far saltare per aria con la dinamite. Moltissimi sono diventati le penne più pagate del giornalismo politically correct: il mondo è cambiato, e ha dato inesorabilmente torto alle loro farneticazioni giovanili, ma essi non ne hanno preso atto, non hanno mai fatto mea culpa, non si sono mai chiesti quale danno abbiamo provocato alla società e alle successive generazioni; al contrario, continuano a tenere banco; a presenziare, inossidabili e intramontabili, in tutti i salotti televisivi; a firmare una pioggia di libri gonfi di nostalgia, roba da par piangere più del «Cuore» di De Amicis. Questi Capanna, questi Cacciari, questi De Luca, questi Mughini, queste De Gregorio, al di là delle differenze anagrafiche, o di spessore culturale, o di astuzia politica, hanno tutti una cosa in comune: l’aggrottar della fronte davanti agli “altri”, la fermissima convinzione di rappresentare una umanità “superiore”, e che chi dissente dalla loro prospettiva è un imbecille, o un venduto, o un “fascista”. Amano i preti di sinistra, tipo don Gallo, e i cardinali di sinistra, tipo Martini; adorano i preti che insegnano il rancore di classe, come i don Milani, o i falsi preti che seminano confusione teologica, come gli Enzo Bianchi; ma i preti veri, quelli che dicono pane al pane e vino al vino, quelli non li sopportano, così come non sopportano i cristiani che non siano debitamente “progressisti”, vale a dire cristiani come piace a loro, con poco Gesù Cristo e pochissimo Dio, ma con molto senso della giustizia sociale, dei diritti sindacali, della empatia per le povere minoranze troppo a lungo perseguitate o discriminate.

Nel ’68 odiavano la famiglia “borghese” (cioè la loro) e volevano distruggerla con la violenza; ora hanno trovato un altro modo per distruggerla, molto più pulito e “democratico”: equiparare ad essa qualunque unione “di fatto”, comprese, ovviamente, quelle omosessuali, e con tanto di adozioni gay. A quasi cinquant’anni di distanza, pregustano la soddisfazione di prendesi una rivincita totale. La storia li ha sconfitti e sbugiardati, ma loro hanno tenuto duro e adesso sono loro che si accingono a piegare la storia al loro credo. Perché essi avevano la Verità, non dimentichiamolo; e la Verità è invincibile, indistruttibile, inossidabile. La sua marcia vittoriosa può subire qualche rallentamento, qualche battuta d’arresto: ma nessun reazionario riuscirà mai a fermarla. È nella forza delle cose; è la marcia trionfale dello Spirito del mondo. L’ha detto Hegel, lo ha ripetuto (meno bene) il loro nume tutelare, Karl Marx. Poi hanno dovuto ingoiare amaro, rientrare nell’ordine (però occupando un mucchio di poltrone, a cominciare da quelle della politica, fino ai massimi livelli) e adattarsi a sopravvivere; ora è ritornato il loro momento. Quel che non osavano più nemmeno sognare, è a portata di mano; anzi, sono quasi increduli, loro stessi, per la facilità con cui, nel giro di pochissimi anni, son riusciti a far crollare, una dopo l’atra, tutte le resistenze, e a impadronirsi di gran parte dell’opinione pubblica. Le mura di Gerico stanno venendo giù al suono delle loro trombe, ed essi stanno per entrare nella cittadella, senza colpo ferire.

Per questo, sprizzano arroganza da tutti i pori: ancora più di prima. Non stanno nella pelle, letteralmente. Loro sono i rappresentanti della “civiltà”; gli altri, evidentemente, sono gli incivili. Loro vogliono rendere l’Italia un Paese finalmente civile; prima, era un Paese incivile. Loro vogliono suonare la sveglia a quelli che dormo; gli altri, appunto, dormono, sprofondati in un letargico egoismo, in una superstizione ancestrale. Come tutti i progressisti, non hanno il benché minimo dubbio di marciare col vento del Progresso in poppa, per cui la loro vittoria è non solo giusta, ma inevitabile: un fatto naturale, come l’avvicendarsi delle stagioni a causa della rivoluzione terrestre intorno al Sole e al mutare dell’inclinazione dei raggi luminosi. Loro sono il Sole, la Luce della Ragione: come i loro antenati giacobini; chi non è d’accordo, fa la parte del codino reazionario, del bacchettone ignorante, del troglodita incorreggibile. Meno male che ci sono loro; e peccato che esistano gli altri.

Ciò che più di tutto li qualifica, sul piano umano (o li squalifica, a seconda dei punti di vista) è l’assoluto, totale, ostentato disprezzo nei confronti delle opinioni diverse, delle sensibilità diverse, dei valori diversi da quelli che essi professano. E questo perché le loro opinioni, la loro sensibilità, i loro valori, non sono loro soltanto: sono il Vero, il Giusto e il Bene. Non vogliono convincere il prossimo: vogliono che si pieghi, che si arrenda, che si consegni a discrezione. A loro non interessa ciò che gli altri pensano;  non interessa se le leggi che propongono in Parlamento offendono i valori e la sensibilità altrui, se aprono delle ferite: tutte queste sono cose irrilevanti. In Italia e nel mondo, essi non ammettono il fatto che possano esistere punti di vista differenti dai loro, ma altrettanto dignitosi: se ne esistono, significa che sono il male e che vanno estirpati. La loro idea della democrazia è più o meno questa: scoprire dove si annida l’opposizione ai loro progetti, e distruggerla, così come il bravo orticoltore cerca e poi distrugge le piante parassite che infestano il suo orto. Le piante infestanti vanno distrutte; e così anche le posizioni retrograde vanno prima ignorate, indi eliminate, semplicemente.

Non pensano alla società come al luogo della mediazione culturale, a qualcosa di dinamico e aperto, ma rispettoso di tutte le posizioni e mirante ad una ricomposizione dei conflitti in vista del bene comune. Il bene comune, per loro, non è il bene dell’intera collettività: è il trionfo delle loro idee. Chi lo dice che le ideologie sono crollate? Sono crollate in apparenza, ma si sono vieppiù irrigidite nell’animo dei nostalgici del ’68. Loro non vedono le persone: vedono i progressisti e i reazionari; o, per dir meglio, vedono i primi e si rifiutano di vedere i secondi. Il fatto che questi ultimi esistano, è, per loro, un paradosso inspiegabile, un malaugurato accidente, cui bisogna trovare il modo di rimediare. Se potessero, saprebbero loro come rimediare: come nella primavera del 1945, facendoli fuori tutti; o come nella Grande Rivoluzione Culturale del glorioso presidente Mao Tze Tung, “rieducandoli” attraverso persecuzioni e massacri, Ahimè, sono ormai passati quei bei tempi (ma il vizietto gli è rimasto: solo che non invocano più l’Armata rossa del compagno Stalin per piegare il popolo ungherese, ma i bombardieri a stelle e strisce per bombardare Belgrado); però si può sempre provvedere con le armi del disprezzo morale, della indisponibilità al confronto, giacché mai essi si abbasserebbero a dialogare con l’altro. L’altro, per loro, ha diritto di esistere solo se è un “compagno”; se no, che se ne vada pure al Diavolo. Devono occuparsi di mille cose serie, loro: devono rifare il Mondo; devono distribuire diritti a destra e a manca. Mica pensare al diritto alla vita dei nascituri, scherziamo? Ciò andrebbe contro il dogma del diritto di scelta delle loro madri…