11 settembre: pretesto ideologico
di Roberto Zavaglia - 13/09/2006
Uno spartiacque della storia, rispetto
al quale gli studiosi del futuro parleranno
di un prima e un dopo,
oppure un evento traumatico che, però, non
ha cambiato, nella sostanza, il mondo in cui
viviamo? A distanza di un lustro dagli attentati
dell’11 settembre negli USA, un simile
interrogativo trova risposte diverse a seconda
del punto di vista degli osservatori.
In un editoriale sul Corriere della Sera,
Gianni Riotta contesta la tesi di Foreign
Policy secondo cui lo shock di cinque anni
fa non avrebbe seriamente inciso sulle dinamiche
mondiali già in atto. La rivista statunitense
sottolinea che la Borsa non è crollata,
il commercio internazionale è continuato
ad aumentare insieme al numero di migranti
che si spostano verso il presunto eldorado
occidentale. I conflitti in atto e le potenze
emergenti sarebbero gli stessi già evidenti
prima del crollo delle Torri Gemelle.
Riotta replica che se i fondamenti della
cosiddetta globalizzazione non sono saltati
per aria, lo spirito e l’indole del nostro tempo
hanno però mutato drasticamente di
segno. Per il Vicedirettore del Corriere della
Sera, a un clima di ottimismo generalizzato
si è sostituita la consapevolezza di
vivere in uno stato di guerra scatenato dal
terrorismo islamico.
Gli Stati Uniti, per volontà o per carenza di
collaborazione, hanno dispiegato, (…)
sia profittevole non accanirsi
sulla tesi del complotto, pur
riconoscendo come, fuori da
ogni dubbio, le autorità statunitensi
abbiano “rielaborato”
l’avvenimento per sfruttarlo ai
propri scopi. La tendenza della
politica USA in Medio
Oriente era comunque chiara
anche ai tempi della Prima
Guerra del Golfo; l’11 settembre
vi ha aggiunto ulteriore
propellente ideologico. La
ricerca di un nemico assoluto,
dopo la fine del bipolarismo,
era già una necessità per
richiamare all’ordine i dissenzienti
dell’egemonia planetaria.
La globalizzazione non si
è arrestata, ma ha subìto il
condizionamento delle politiche
di guerra attuate. Basti
pensare al notevolmente
aumentato valore dell’industria
militare USA sull’intero
prodotto nazionale. L’errore
sta nel ritenere che, in questa
epoca, il peso degli Stati,
soprattutto dell’unica superpotenza
rimasta, sia svanito e
l’economia e il divenire sociale
procedano nella più assoluta
autonomia. È vero che le
dinamiche transnazionali hanno
svuotato “alcuni” poteri
degli Stati, ma è ancora più
sicuro che essi cercano di
“tirare dalla propria parte” le
nuove opportunità.
Oppure dobbiamo ritenere
ininfluente, sul piano economico,
che gli USA si siano
impiantati in una delle nazioni
più ricche di petrolio, controllino
uno Stato-cerniera come
l’Afghanistan e abbiano piazzato
proprie basi nella promettente,
dal punto di vista energetico,
Asia centrale?
Riotta crede che dall’armoniosa
era dell’Acquario siamo
precipitati in un’epoca di
preoccupazione, nella quale il
desiderio di felicità individuale
lascia il posto alla combattività,
perché, ora, siamo consci
di avere un nemico formidabile
che intende distruggerci. La
guerra “al Qaeda contro Occidente”,
però, è una mistificazione
grottesca. Il terrorismo
può causare molti lutti e pregiudicare
il clima di convivenza
civile, ma non è un nemico
in grado di abbattere i nostri
Stati e le nostre istituzioni
civili ed economiche. Il senso
delle proporzioni suggerisce
che, per contrastarlo, è indispensabile
rafforzare le forze
di polizia e di intelligence, ma
che le guerre con armi ipertecnologiche
e distruzioni immani
servono a ben altro. Del
resto, il terrorismo, oggi, è
ferocemente vitale proprio nei
Paesi attaccati col pretesto di
porvi fine, mentre in Occidente
è una minaccia seria, ma
non la prima preoccupazione
dei cittadini.
La “grande narrazione”
dell’11 settembre ha cambiato,
dunque, i nostri tempi. Martedì
scorso, davanti agli iscritti
dell’Associazione degli ufficiali,
George W. Bush ha detto
che il pericolo iraniano è simile
a quello di al Qaeda. L’equazione
è semplice: se ai terroristi
si risponde con le armi,
ugualmente bisogna fare contro
Teheran. Ecco il nuovo clima:
un problema politico - e
la proliferazione nucleare
sicuramente è fra i più seri -
viene derubricato a questione
militare. Nelle favole i bambini
amano la presenza di alcuni
topos: la principessa indifesa,
la strega cattiva… Anche la
grande narrazione ideologica
ne fa uso. Il recente concetto
di “fascismo islamico” serve
per indurre il pubblico, regredito
all’infanzia dal condizionamento
mediatico, a riconoscere
le tracce di un racconto
gia ascoltato. Alla fine del
quale i buoni, che vengono a
liberare dai pericoli, hanno
sempre la bandiera a stelle e
strisce.