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Il clima dipende anche da noi

di Alberto Castagnola - 21/02/2016

Fonte: Comune info


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A cura di Alberto Castagnola

Una nuova raccolta di testi e di notizie (leggi anche Giocano sulla nostra pelle), una rassegna stampa specializzata sui temi ambientali, inseriti in apparente disordine, da leggere senza faticare, seguendo la propria curiosità e stimolando il nostro immaginario. In realtà un tentativo di far maturare una visione complessiva del mondo in cui viviamo e dal quale stiamo rischiando di scomparire. Ci sembra ormai essenziale – specie dopo i deludenti risultati del vertice di Parigi sul clima, dove i governi più inquinanti e le imprese più colpevoli di danni planetari sono riusciti a non assumere impegni – che tutte le persone diventino responsabili del rispettivo spazio naturale e della salute collettiva e si abituino a collegare fenomeni solo apparentemente lontani e poco temibili. Nei prossimi mesi e anni, sembra che le possibili azioni di recupero degli equilibri e delle relazioni tra le diverse aree terrestri saranno piuttosto il risultato di movimenti popolari e di massa, che sotto la moltiplicazione dei danni che ci insidiano da ogni parte, prendano finalmente coscienza della gravità della situazione attuale.

Oltre ai documenti e alle denunce relativi ai fenomeni drammatici continuamente emergenti, abbiamo inserito anche soluzioni positive ed esperienze largamente significative, in modo che alla presa di coscienza si accompagni subito una spinta all’azione, sostenuta dall’esempio delle moltissime iniziative di base già in corso in tutto il mondo. Perché tutto ciò diventi un lavoro collettivo, capace di incidere sui meccanismi dannosi in atto e in fase di accelerazione, occorre che tutte le persone già impegnate in esperienze concrete facciano conoscere il loro lavoro e formulino critiche e suggerimenti che altri possano raccogliere e diffondere ulteriormente.

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Legami pericolosi. Oggi negli Stati Uniti circolano decine di prodotti, dalle vernici ai tessuti sintetici, che contengono sostanze chimiche dannose per la salute delle persone, rivela un’inchiesta del mensile progressista In These Times: “Un problema che è il frutto della grande influenza che l’industria chimica ha sulla politica statunitense, e che ha le sue radici negli anni ottanta”. In quel periodo i laboratori che si occupavano di controllare le sostanze chimiche e valutarne gli effetti sugli esseri umani adottarono un sistema di valutazione chiamato Physiologically based pharmacokinetic modelling (Pbpk), che consiste in simulazioni realizzate al computer. Si tratta di un test alternativo rispetto a quelli condotti sugli animali o in provetta. La valutazione Pbpk è meno costosa e più veloce, ma può essere facilmente manipolata per minimizzare gli effetti negativi delle sostanze testate sugli esseri umani. Ed è quello che è successo negli ultimi trent’anni: le autorità sanitarie hanno finanziato centinaia di studi sulla tossicità di sostanze e prodotti affidandoli ad aziende che hanno usato il metodo Pbpk, mettendo in circolazione prodotti nocivi. (Internazionale n. 1127, 6 novembre 2015, pag.31)

In una nuvola di smog. Il 29 novembre il comune di Pechino ha lanciato la più grave allerta inquinamento dell’anno. Lo smog ha avvolto gran parte del nord della Cina e la concentrazione di polveri sottili ha superato i 600 microgrammi per metro cubo. Oltre i 300 microgrammi è sconsigliato uscire di casa. M il governo, scrive Caixin, sta falsando i dati sulle emissioni inquinanti. Le cifre ufficiali parlano di 19 milioni di tonnellate di biossido di zolfo prodotte nel 2014. Ma per l’ong China Environment Chamber of Commerce, il dato reale è intorno ai 30 milioni. Alla conferenza sul clima di Parigi, il presidente Xi Jimping ha ribadito l’impegno a raggiungere il picco delle emissioni al massimo entro il 2030 e ridurre quelle di C02 per unità di Pil dal 60 al 65% rispetto al 2005. “La Cina sta facendo la sua parte”, scrive l’agenzia di stato Xinhua, “Spetta ai paesi ricchi smettere di tergiversare sui tecnicismi e impegnarsi per un accordo sul clima”. Anche il Primo Ministro indiano Narendra Modi ha richiamato all’ordine i paesi ricchi, scrive The Indu, chiedendo che ratifichino il secondo periodo di impegno del protocollo di Kyoto (fino al 2020). Solo allora i paesi in via di sviluppo prenderanno gli impegni che sono disposti ad assumersi. “un sistema equo di riduzione delle emissioni – ha aggiunto Modi a Parigi – dovrebbe tener conto dello spazio di carbonio che ogni paese occupa”. (Internazionale n.1131, 4 dicembre 2015, pag. 34; altri dati su Il Manifesto, 8 dicembre 2015, pag. 9)

Traslocare a Pechino. Entro il 2020 due milioni di pechinesi dovranno trasferirsi in periferia o nei distretti circostanti, in base a un piano per decongestionare la capitale cinese. Un milione di impiegati pubblici degli uffici amministrativi sarà trasferito a Tongzhou, a circa 20 chilometri da Pechino entro il 2017. L’iniziativa, scrive Caixin, sta prendendo corpo dopo anni di discorsi vuoti. Ma il piano prevede anche lo spostamento di molte piccole attività commerciali, con l’obiettivo dichiarato di liberare il centro della metropoli da traffico e smog e rendere più facile sorvegliare gli abitanti. Il progetto si adegua a una direttiva del governo per lo sviluppo coordinato della capitale, di Tianjin e di altre città della provincia dell’Hebei. Inoltre tiene conto delle preoccupazioni per l’aumento costante della popolazione di Pechino, passata dai 13,8 milioni del 2000 ai 19,6 del 2010, superando le previsioni che parlavano di 18 milioni di abitanti nel 2020. (Internazionale n. 1125, 23 ottobre 2015, pag. 36)

Il carbonio delle foreste. Le foreste boreali avranno un effetto positivo o negativo sul cambiamento climatico? Finora si pensava che, grazie all’aumento delle temperature, i boschi dell’estremo nord del pianeta potessero assorbire una quantità maggiore di anidride carbonica dall’atmosfera, diminuendo l’effetto serra. Tuttavia, scrive Nature Climate Change, la maggiore frequenza di incendi naturali, che è già stata registrata in Alaska, potrebbe portare all’emissione di una quantità di carbonio superiore a quella che le foreste possono assorbire. (Internazionale n. 1125, 23 ottobre 2015, pag. 101)

Incendi. Dall’inizio dell’anno negli Stati uniti 51.110 incendi hanno distrutto 4,55 milioni di ettari di vegetazione. È il dato più alto dal 1960. (Internazionale n.1125, 23 ottobre 2015, pag.102)

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Alberi. Nel 2014 in Colombia sono stati distrutti più di 140.000 ettari di foresta, il 16 per cento in più rispetto all’anno precedente. Lo rivela un rapporto dell’Istituto Ideam (Internazionale n.1131, 4 dicembre 2015, pag. 110)

Una flotta a impatto zero. Cento auto “full electric” per una riduzione delle emissioni di C02, di 330 tonnellate in un anno. L’idea è della Sibeg (azienda siciliana imbottigliatrice per Coca-Cola), che oltre alla nuova flotta di veicoli per la sua forza vendita, ha investito anche nell’installazione di 50 colonnine di ricarica (Cfr. Sibeg.it). (Sette n.44, 30 ottobre 2015, pag.90)

È l’ora dell’acqua alla caffeina. Si chiama Hint Kick l’acqua dei geni digitali che la Silicon Valley sta esportando nelle altre città più “promettenti” in termini di business, a partire da New York. È un’acqua un po’ particolare: è addizionata con caffeina. La bevanda è la risposta dei “computer scientist” e tecnici spesso costretti a restare svegli tutta la notte a fare “coding” alle bevande energetiche tipo “Red Bull” e “Monster” e alle bevande zuccherate e gassate come la Coca Cola. Fondata alcuni anni fa da Kara Goldin, un ex manager di America On Line (Aol), Hint Kick era stata concepita proprio come una società capace di fornire agli “executive” di società digitali come Facebook, Google e Twitter una versione “healthy” delle bevande energetiche. Aromatizzata con diversi gusti di frutta e messa in vendita a meno di due dollari in alcune categorie di supermercati “salutisti” come “Whole Foods”, Hint Kick promette di far aumentare da qui al 2017 del 50 per cento il business delle “energy drink”, fino a farlo diventare un mercato da 21 miliardi di dollari. (Sette n.41, 9 ottobre 2015, pag.53)

Energia pulita. Qinhuangdao, Cina. Una distesa di pannelli solari nella regione settentrionale dello Hebei. Nonostante il consumo di carbone in Cina sia ancora molto importante, Pechino sta investendo quanto gli Stati Uniti e l’Unione Europea nelle fonti di energia pulita. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, nel 2014 la Cina ha speso più di 80 miliardi di dollari in nuove tecnologie per la produzione delle rinnovabili, contro i 46 miliardi della Ue, i 37 miliardi del Giappone e i 34 miliardi degli Stati Uniti. Negli ultimi anni, la decisione di Pechino di rafforzare l’uso di energie rinnovabili ha contribuito ad aumentare la produzione di pannelli solari nel mondo, facendone calare il costo del 70 per cento. (Internazionale n. 1127, 6 novembre 2015, pag.13, con foto)

Ghiaccio. Dall’autunno 2012 il ghiacciaio Zachariae Isstrom, nel nord-est della Groenlandia, si sta ritirando a un ritmo superiore al passato. Viste le sue grandi dimensioni, se si sciogliesse completamente, potrebbe far aumentare il livello del mare di mezzo metro. Secondo Science, l’acqua marina ha cominciato a penetrare tra il fondo del mare e il ghiacciaio, accelerandone lo scioglimento. (Internazionale n.1129, 20 novembre 2015, pag. 104)

Il Mose dei Mangialasagna. Stando alle ultime promesse del direttore del Consorzio Venezia Nuova, Hermes Redi, riprese su La Nuova Venezia da Alberto Vitucci, i lavori del sistema di paratie per salvare Venezia dall’acqua alta dovrebbero finire “nel dicembre 2018”. Previsione ritoccata poche ore dopo (erano già partite proteste esasperate) con uno sconto: giugno 2018. Vale a dire 52 anni dopo (cinquantadue!) la disastrosa alluvione del ’66, che spinse l’allora governo di Aldo Moro a promettere interventi straordinari per evitare in futuro nuovi danni alla Città Serenissima. Costato già ufficialmente 5 miliardi e 272 milioni (ma Giorgio Barbieri e Francesco Giavazzi nel loro libro Corruzione a norma di legge parlano di 6,2 miliardi, il doppio del costo dell’Autostrada del Sole, cinque volte più del miliardo e 200 milioni delle previsioni iniziali), il Mose era stato presentato ufficialmente davanti a decine di giornalisti con sciame di barche in laguna, il 4 novembre 1988. (…) £5 arresti. Nel 2007, cioè diciannove anni dopo quella promessa e dodici dopo quella scadenza fissata e mancata, Report di Milena Gabanelli chiedeva conto dei ritardi e riportava le nuove promesse. Il sistema di paratoie “sarà pronto tra 5 anni e costerà 4 miliardi e 271 milioni”. (…) (Sette, 4 dicembre 2015, pag.8)

Ripensare i corridoi africani. Le 33 infrastrutture di collegamento, come strade ferrovie, oleodotti o elettrodotti, che formeranno una rete di 53.000 chilometri di corridoi attraverso l’Africa a sud del Sahara, rischiano di danneggiare gli ecosistemi spesso in modo irreversibile. Secondo Current Biology, alcuni dei progetti dovrebbero essere abbandonati o modificati. I costi ambientali, specie nella foresta equatoriale e nelle savane, sarebbero troppo elevati e in alcuni casi non favorirebbero la produzione agricola, il cui aumento è uno degli obiettivi dei progetti. (Internazionale n. 1131, 4 dicembre 2015, pag. 109)

Clima. El Nino attuale è il più forte mai registrato. Un dato fondamentale per misurare l’intensità di questo fenomeno meteorologico è il calore dell’acqua nel Pacifico centrale. Il record passato risale al 26 novembre del 1997 quando la temperatura di questa regione dell’oceano era di 2,8 gradi sopra la media. Secondo le ultime misurazioni, il 4 novembre 2015 l’aumento ha raggiunto di nuovo i 2,8 gradi e ha continuato a salire arrivando a 3,1 gradi il 28 novembre. Si pensa che il cambiamento climatico aggraverà le conseguenze del Nino, che ha un ruolo importante nella distribuzione delle precipitazioni nel pianeta, e quindi nella siccità e nelle alluvioni. (Internazionale n. 1131, 4 dicembre 2015, pag. 110, con immagine)

Sotto un mare di fango. Due settimane dopo il cedimento di una diga che conteneva più di 40 milioni di metri cubi di scarti di lavorazione di una miniera di ferro nel Brasile sudorientale, il fango ha cominciato a riversarsi nell’Oceano Atlantico lasciandosi dietro una scia di distruzione: almeno 12 morti, più di 600 sfollati, intere zone della vicina città di Mariana spazzate via e danni ad un importante ecosistema ripario. La ministra dell’ambiente brasiliana, Izabella Teixeira, ha definito l’incidente “il più grave disastro ambientale” del paese. Il fango ha invaso tre quarti del fiume Doce verso valle. Prima di sfociare nell’oceano, il Doce scorre per 850 chilometri negli Stati di Minas Gerais ed Espiritu Santo. Non è ancora possibile quantificare i danni. La Samarco, una joint venture tra la brasiliana Vale e l’australiana Bhp Billiton che gestisce la miniera, insiste nel dire che il fango non è tossico. Tuttavia è ricco di silice, un sottoprodotto dell’estrazione del minerale di ferro, che mischiato all’argilla ed essiccato diventa simile al calcestruzzo. Sono a rischio 1500 ettari di foreste che sorgono lungo le sponde del fiume. Secondo le stime elaborate al computer il fango contaminerà dieci chilometri di litorale, ma secondo la ministra Teixeira ci vorranno quattro mesi per avere una valutazione accurata. La colata di fango sta distruggendo la vita acquatica, intasando le branchie dei pesci e uccidendo il plancton di cui si nutrono altre creature. Inoltre ha reso l’acqua troppo torbida per essere depurata, causando l’interruzione della fornitura idrica ad almeno 800,000 persone. I pesci che si sono spostati a valle stanno morendo per via dell’acqua salmastra vicino al delta: ne sono state già rimosse otto tonnellate. La Samarco dava lavoro a quasi duemila dei sessantamila abitanti di Mariana e ad altre migliaia di persone impiegate nell’indotto e al porto di Anchieta, nello stato di Espirito Santo. L’azienda istituirà un fondo per le vittime, che tuttavia non compenserà la perdita del lavoro ne tanto meno la perdita di vite umane. Ed è in dubbio lo stesso futuro della Samarco, perché l’incidente ha ridotto l’attività e ovviamente i ricavi. La società dovrà sborsare 1,7 miliardi di real (circa 417 milioni di euro) solo per pagare le multe, i costi di bonifica e i risarcimenti. Ma la cifra è destinata ad aumentare: secondo gli esperti del Congresso brasiliano, il totale si aggirerà tra i 10 e i 14 miliardi di real, senza contare le spese delle cause civili. Le autorità hanno reagito con lentezza. Anche se la stagione delle piogge è in arrivo e minaccia di far risalire i cumuli di fango a monte, non è ancora stata fissata la data per rimuoverli. I piani di riforestazione, necessari da tempo, si stanno mettendo a punto solo ora: le foreste coprono tra l’11 e il 13 per cento del bacino del fiume Doce, circa la metà di quanto stabilito dalla legge (…) (Internazionale n. 1131, 4 dicembre 2015, pag. 107, con foto del fango a Regencia; altri dati su Sette, n.49, 4 dicembre 2015, pag.52).

Ambiente. Negli ultimi due anni l’aumento delle emissioni di anidride carbonica dovute ai combustibili fossili e all’industria è rallentato, anche se l’economia globale è in crescita. Secondo Earth System Science Data, il fenomeno dipende soprattutto dalla riduzione dell’uso del carbone in Cina ( i cui dati però sono incerti), dal maggior uso di fonti rinnovabili e dalle difficoltà dell’industria petrolifera. Nel 2014 le emissioni sarebbero aumentate dello 0,6 per cento e nel 2015 ci potrebbe essere un piccolo calo. (Internazionale n.1132, 11 dicembre 2015, pag. 116)

Le rifugiate rischiano di più. Il 2014 ha contato 59,5 milioni di rifugiati, il numero più alto dalla seconda guerra mondiale; di questi solo 1,8 milioni sono stati i richiedenti asilo. L’Unfpa segnala che cento milioni di persone vivono in stato di emergenza umanitaria. Di queste, 26 milioni sono donne, particolarmente vulnerabili perché soggette a discriminazione ed esposte a rischi legati alla maternità, a gravidanze precoci o indesiderate, stupri e malattie a trasmissione sessuale. (Internazionale n.1132, 11dicembre 2015, pag. 116)

Ghana, tartarughe a rischio estinzione. La loro “condanna” è essere troppo forti. “Quando una tartaruga marina finisce nelle reti, non importa quanto siano resistenti, le distruggeranno”, dicono i pescatori della costa del Ghana. È per questo che molti di loro (la pesca è una delle principali voci di bilancio del Paese) le uccidono. Solo che così i rettili della regione stanno rischiando l’estinzione. E non è un allarme esagerato. I gruppi protezionisti come Andrew Agyekume-Hene, dell’organizzazione Muni-Pomadze Ramsar, lo dicono esplicitamente: “la loro popolazione è crollata in pochi anni. Tra cacciatori di frodo e pescatori, solo un cucciolo su mille ce la fa a sopravvivere”. Purtroppo, ne le campagne di sensibilizzazione, ne la creazione di zone protette, in cui sono coinvolti volontari e intere scolaresche, sembrano essere sufficienti a frenare la carneficina. (Sette n.50, 11 dicembre 2015, pag.82)

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Pinguini. Il ministero dell’ambiente sudafricano ha lanciato l’allarme per il crollo della popolazione di pinguini del Capo. Dal 2004 al 2014 il numero delle coppie riproduttrici si è ridotto del 90%, passando da 32mila a tremila, a causa del trasferimento verso sudest dei banchi di sardine, la loro principale fonte di nutrimento ((Internazionale n. 1133, 18 dicembre 2015, pag.116)

Otarie. I casi di disorientamento tra le otarie, o leoni marini, della California potrebbero essere dovuti a un’alga, la Pseudonitsczhia. Sembra che il cervello degli animali possa essere danneggiato da una tossina prodotta dall’alga, l’acido domoico, che confonde l’animale e ne distrugge la memoria spaziale. La fioritura delle alghe e la produzione della neurotossina è favorita dai cambiamenti ambientali e dalle attività umane, scrive Science. Anche gli spiaggiamenti dei cetacei potrebbero essere dovuti alla tossina. (Internazionale n.1133, 18 dicembre 2015, pag.116, con foto)

Cicloni. Almeno 11 persone sono morte nel passaggio del tifone Melor sulle Filippine centrali. Settecentomila persone sono state costrette a lasciare le loro case. (Internazionale n. 1133, 18 dicembre 2015, pag. 116)

Alluvioni. Trentuno persone sono morte nelle alluvioni causate dalle forti piogge che hanno colpito Kinshasa, la capitale della repubblica Democratica del Congo. Altre 18 persone sono morte negli allagamenti a Bukavu, nella provincia orientale del Sud Kivu. (Internazionale n. 1133, 18 dicembre 2015, pag.116)

Sprechi di Natale. Il periodo natalizio è quello in cui si spreca più cibo. Negli Stati Uniti, tra halloween e capodanno ne viene buttato il triplo del solito. E in totale si stima che vadano sprecate ogni anno 34 milioni di tonnellate di alimenti. “Ma come fare?”, si chiede un padre che dopo la festa del 31 ottobre si è ritrovato in casa più di undici chili di doli e caramelle. “Non possiamo lasciare che i bambini si rovinino la salute mangiando tutti questi dolciumi!” Prima di tutto, scrive la rivista ambientalista Grist, il modo migliore per sprecare di meno è comprare di meno. Ai bambini si possono proporre giochi e attività alternative che non siano legate al cibo. Oppure, se la casa è già piena di caramelle, cioccolatini, e altre leccornie, si può provare a regalarli, per esempio a un centro anziani, o si possono portare in ufficio per condividerli con i colleghi più famelici. Sprecarli sarebbe davvero un peccato, vista la quantità d’acqua, energia e terreni che mediamente serve per produrre qualsiasi alimento. Un’altra idea è cercare di svuotare il frigorifero prima delle feste, in modo da prepararlo per i pranzi di famiglia. Certo, per quanto ci sforziamo di non cucinare troppe cose, d’immaginare quanto arrosto mangerà lo zio e se i funghi in padella piaceranno a tutti, un po’ di avanzi ci saranno: trattateli con cura, invitate a cena qualche amico il giorno dopo e poi surgelate o regalate il resto. E se proprio i vostri funghi non hanno avuto successo, buttateli nell’umido. (Internazionale n.1133, 18 dicembre 2015, pag. 116)

Consumare meno. In occasione della Conferenza sul clima di Parigi, anche il New York Times propone ai suoi lettori alcuni comportamenti da adottare per aiutare il pianeta. ”È meglio consumare verdure dell’Argentina che carne rossa da una fattoria locale“, scrive il quotidiano, ricordando che l’impronta ambientale degli alimenti non dipende tanto dal trasporto, quanto dalla produzione. Carne rossa e latticini implicano molte emissioni di gas serra: se una famiglia sostituisse il 30 per cento delle calorie derivanti da questi prodotti con pollo, pesce e uova taglierebbe le emissioni più di una famiglia che consuma solo prodotti locali. “Prendete l’autobus” è il secondo consiglio, oppure la bici. Andare ogni giorno al lavoro in auto da solo fa consumare il quantitativo annuale pro capite di emissioni sostenibili. Al terzo posto il quotidiano esorta a mangiare tutto quello che c’è in frigorifero: gli alimenti buttati finiscono in discarica ed emettono metano, senza contare l’inquinamento dovuto alla loro produzione. “Volare è male, ma guidare a volte può essere peggio”, continua il New York Times. In teoria le auto elettriche possono ridurre le emissioni, ma negli Stati Uniti l’energia elettrica è in gran parte prodotta da combustibili fossili. È meglio prendere il il treno o l’autobus, oppure optare per un videocollegamento via internet. La buona notizia è che “cani e gatti non sono un problema” perché , pur essendo carnivori, sono nutriti con scarti di produzione. Il consiglio alla fine è: comprare meno e sprecare meno. (Internazionale n. 1132, 11dicembre 2015, pag