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Le vere forze dittatoriali del mondo

di Helena Norberg-Hodge e Antonello Cresti - 28/02/2016

Fonte: Arianna editrice



Il suo documentario si intitola “L’Economia della felicità”: un grosso fraintendimento riguardo a idee come decrescita è che è necessario abbandonare qualcosa per cambiare stile di vita, quindi ritengo sia necessario enfatizzare il concetto di felicità. E quindi cosa possiamo guadagnare se cambiamo i nostri modi di vita?
R: C’è davvero molto da guadagnare, ma prima di tutto dobbiamo comprendere che la strada odierna, l’odierno sistema economico sta creando talmente tanti problemi che non ho dubbi a dire che dobbiamo affrancarci  da questo paradigma dominante della crescita. L’economia globale è responsabile  di un grande aumento dell’inquinamento, compreso quello che causa il riscaldamento globale, disoccupazione, insicurezza economica, distruzione delle comunità, distruzione del senso positivo di identità e rispetto di sè,  dunque ciò che possiamo guadagnare invertendo la direzione e ricostruendo un tessuto comunitario, le connessione interpersonali, può aiutarci a riguadagnare la nostra umanità, il senso più profondo della nostra reale identità. Il modo in cui ci siamo evoluti per molto e molto tempo può inoltre aiutarci a riconnetterci con la vita in ogni sua forma, avvertire un senso di connessione e comunanza con l’intero universo creato. La mia esperienza a contatto con culture differenti  mi ha insegnato che le persone che avvertono tali connessioni tra persone e tra persone e natura sono di gran lunga le più felici del mondo!
Sembra quasi una eresia giustapporre concetti come “economia” e “felicità”. L’economia è infatti un rigido sistema di numeri , mentre la felicità è qualcosa di intangibile, trascendentale, dunque la domanda è come possiamo relazionarci nella maniera migliore alla gelida logica dell’economia?
R:  Ciò che intendiamo con “Economia della felicità” è che i sistemi economici sono frutto delle culture umane e le realtà ecologiche hanno dato forma alle transazioni commerciali, è una questione di realizzare che oggi abbiamo consentito alle strutture commerciali, finanziarie di divenire così grandi, così potenti da far avvenire il contrario, ossia che sono queste entità a modellare culture, politiche e dunque l’intero pianeta è minacciato da un sistema economico che ha permesso ai valori delle mercato, ai numeri, alla loro “gelida logica” di dominare completamente e trasformare le nostre vite. Quindi “Economia della felicità” significa tenere queste strutture, queste attività di affari ad una scala che permetta di vedere il loro impatto sulla società e sull’ambiente. Una parte di ciò consiste nel riconoscere che dobbiamo urgentemente distanziarci dal modo in cui misuriamo la crescita economica, il concetto di progresso; se le attività economiche fossero riportate ad una scala più umana e le persone fossero messe nelle condizioni di valutare il loro impatto sulle loro vite e sul pianeta non assisteremmo sicuramente alla follia del nostro tempo.
Lei ha sviluppato gran parte delle sue ricerche nella regione del Ladakh, una regione dell’India settentrionale.  Lei descrive le tradizioni e i modi di vita di questa area geografica nei suoi documentari e libri, ma molte persone potrebbero obiettare che il Ladakh è una realtà molto lontana dalla nostra, culturalmente e geograficamente. Cosa possiamo dunque imparare dal Ladakh, in termini di azioni quotidiane?

R:  Domanda molto buona. Il punto centrale della questione a mio avviso è che il Ladakh mi ha fornito l’opportunità di osservare una società che per molte centinaia, migliaia di anni si era evoluto attraverso il dialogo tra popolazione umana e ambiente, clima e risorse e si trattava di una realtà che non aveva subito l’invasione coloniale o l’aggressione della moderna cultura consumistica, che adesso ha una spinta globale e che impone immagini identificative in maniera transgenerazionale.  Tutto ciò in Ladakh non era accaduto, fino ad una improvvisa esposizione a tutti questi fattori : io mi trovavo là, parlavo fluentemente la loro lingua e potevo testimoniare passo dopo passo l’impatto di questo folle sistema economico che sta avendo gli stessi effetti  in Italia, America, Cina, Svezia… Dunque è stata una rara opportunità per  un area che era stata separata da questi sistemi economici. Dunque più di ogni altra cosa la lezione del Ladakh sta nella chiarezza di dim
ostrare come i sistemi economici sono capaci di influenzare gli esseri umani e il mondo naturale, creando nuove visioni politiche e da lì diviene ancora più semplice capire che è causa di questa economia se, ad esempio, esiste questo sistema economico. La disoccupazione non era mai esistita prima della modernità , e allo stesso tempo è a causa di questa economia se abbiamo da confrontarci con l’inquinamento, che a sua volta è responsabile di tumori ed ogni tipo di malattia e sofferenza, oltre che della distruzione di specie viventi e degli ecosistemi, Ciò che il Ladakh mi ha mostrato in maniera lampante è che i sistemi economici imperanti creano profonda infelicità, una competizione terrificante, individualismo, un tipo di competizione, dunque, che pare introiettata nelle nostre anime e che allontana i giovani dal percepire un senso di connessione con la comunità, come era accaduto in passato e come ho potuto personalmente testimoniare. Ho visto e vissuto con persone che avevano una straordinaria gioia di vivere… Quindi la cultura tradizionale per me è stata anche una grande ispirazione mostrandomi che che possiamo cambiare e che possiamo riconquistare molto, non solo in termini di felicità, ma anche di salute, di sopravvivenza. Sta divenendo assolutamente essenziale che cambiamo direzione di marcia…
Tornando all’Europa, finalmente assistiamo ad una esponenziale crescita come co-housing, eco villaggi, Transition Towns.  Cosa pensa di questo mondo che si sta sviluppando sull’altra sponda della vittoria definitiva del capitalismo? Inoltre ha qualche suggerimento da dare ad una o l’altra di queste esperienze?
R: Mi riempie di speranza vedere che ovunque mi trovo vedo che ci sono persone che operano a livello locale, spesso su piccola scala, cercando di ricostruire le connessioni fondamentali  per l’umanità e lavorare in armonia col mondo naturale, senza combatterlo, senza sentirsi separati da esso , realizzando la nostra interdipendenza  col resto della vita e lavorando in maniera salutare e sostenibile. Quindi ovunque si trovano persone che operano in questa maniera e ciò mi offre la convinzione che il nostro problema non è la natura umana: non siamo naturalmente aggressivi, competitivi, interessati ad imporci… Ma ciò che abbiamo è un sistema risultante dal matrimonio tra scienza, tecnologia e denaro e che ha creato delle strutture, evolvendosi similmente a una macchina che ci sta spingendo nella direzione di una crescita che nei fatti significa morte: è una crescita che sta distruggendo il mondo naturale etc… Dunque penso che queste iniziative siano ben più numerose di quanto immaginiamo, non sono solo piccole insignificanti alternative, perché non appena ci si rende conto di quante cose stanno muovendosi nella giusta direzione,  il quadro appare immediatamente più ampio. Allo stesso tempo vedo i governi che ciecamente spingono nella direzione che proviene dai bisogni delle grandi banche e multinazionali, e tutto ciò sta divenendo una vera e propria ideologia, quella del libero mercato, ma nei fatti una simile idea rappresenta sempre meno persone. Mi sembra chiaro che la maggioranza delle persone vuole qualcosa di diverso ed è per questo che stanno spuntando iniziative dal basso ovunque…  Quali che siano queste esperienze prima di tutto occorre riflettere sul tipo di strutture e principi che desideriamo; è ciò che chiamo la “Grande Transizione”, ossia  localizzazione al posto di globalizzazione. Può sembrare un po’ semplicistico, ma la localizzazione sta divenendo un cammino strutturale molto importante, atto ad abbreviare le distanze tra produzione e consumo, a creare più forti, vibranti, diversificate economie locali. Non perché ci interessi l’economia in sé, quanto perché questo è il percorso per curare ambienti che sono stati distrutti dalla monocultura planetaria: abbiamo bisogno di diversità , diversità è vita, e la economia locale è il collegamento per rivitalizzare tale diversità sulla terra.
Spostiamoci adesso in Italia. Il professor Noam Chomsky in una recente intervista ha dichiarato che l’Italia non è più una democrazia. Si riferiva alla nascita del governo Monti nel 2011, seguito da altre due operazioni antipopolari come il governo Letta e il governo Renzi. Lei come vede l’Italia da osservatrice esterna? E cosa pensa del M5S guidato da Grillo, una associazione di cittadini che pare interessata ai temi della decrescita?
R:  Da ciò che vedo quello che accade in Italia è ciò che sta accadendo in tutti gli altri paesi del mondo: che si parli di destra o di sinistra i leader politici stanno seguendo il medesimo percorso, con più o meno corruzione. Ossia supportare il commercio globale, le deregulations, in nome del cosiddetto libero mercato che in realtà è un monopolio. Per la limitata esperienza che ho della realtà italiana credo che ciò che Grillo sia riuscito a fare sia estremamente importante; ci sono molte critiche riguardo a lui come persona, spesso sento dire che sia troppo dittatoriale, e che sta concentrando su di sé troppi comandi. Questo forse è vero, ma ritengo sia importante per valutare che le persone provino a realizzare cosa sta accadendo nel resto del mondo, pensiamo al movimento Occupy, che ha visto coinvolte moltissime energie provando ad opporsi alle leggi di Wall Street, ebbene in quel caso sono stati in molti a capire che il loro principale problema era la mancanza di leadership… Forse qui in Italia avete un leader troppo forte, ma alla luce di quanto sta accadendo nel resto del mondo ciò che qui sta capitando è estremamente importante e per quanto sia sempre necessario tentare di migliorare vedo questo come un esempio pieno di speranza. Peraltro ho anche incontrato molti dei partecipanti al M5S e sono stata favorevolmente colpita da molti di loro, per la gran parte persone giovani, forti e intelligenti e anche questo mi ha fatto pensare che vorrei dare il mio sostegno al M5S.
Un’ultima domanda tecnica. Potrebbe descriverci quale è il reale pericolo del cosiddetto trattato TTIP (Il Partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti)?
R: Questo è uno di quei trattati che stavo descrivendo prima. E’ una serie di trattati che hanno dato a banche e multinazionali un potere sempre crescente sulle democrazie, sul mondo naturale, sulla società in genere. Gli ultimi trattai stipulati, tra i quali quello di cui stiamo parlando, stanno veramente mostrando cosa sta accadendo poiché in essi vi sono clausole che permettono alle banche e alle multinazionali di fare causa ai governi nel caso questi ultimi facciano qualcosa che possa impedire il loro guadagno negli investimenti esteri. Dunque se un governo decide di proteggere l’ambiente o proteggere le proprie forze del lavoro può venire citato in giudizio da strutture di affari estere per il fatto di non consentire loro tutto il guadagno possibile. Questa è pura follia e non posso credere  che nessun uomo politico, qualora capisca fino in fondo le conseguenze di questi trattati,  possa accettare una cosa simile. Questi trattati infatti sono la causa principale dei problemi che abbiamo oggi in termini di disoccupazione, inquinamento ed instabilità. Ma il TTIP non è l’unico trattato:  abbiamo anche il TPP (Trans-Pacific Partnership – Partenariato Trans-Pacifico) che è un ennesimo mezzo per portare il potere di banche e multinazionali su un altro livello, facendole diventare le vere forze dittatoriali del mondo. Queste istituzioni finanziare, di cui in molti casi non conosciamo neanche il nome, stanno davvero controllando il mondo con questi trattai ed è incredibilmente importante che ci destiamo e tentiamo di dare il via ad un movimento che si opponga a tutto ciò.