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Matrimonio e omosessualità. Prof Galimberti, si legga Thomas Mann

di Osvaldo Ottaviani - 28/02/2016

Fonte: Tempi


Febbraio 28, 2016 Osvaldo Ottaviani

Al sociologo che ha accusato i cattolici di farsi portavoce di «un’idea materialista della convivenza», andrebbe riproposto un bel testo dello scrittore tedesco

Nelle discussioni degli ultimi giorni sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, è capitato di ascoltare di tutto. Compreso il professor Umberto Galimberti, che rinfaccia ai cattolici che difendono la famiglia fondata sull’unione tra uomo e donna di farsi portavoce, parole sue, di una «idea materialista della convivenza», riproponendo in tal modo una contrapposizione tra lo spirito e la carne, dove – stando al ragionamento del professore – la simpatia del cristiano dovrebbe andare al primo invece che alla seconda.

A parte la strana idea che Galimberti sembra avere del cristianesimo, è interessante notare che una secca smentita delle tesi sue (e di altri) era già stata pronunciata in un bellissimo testo del 1925 di Thomas Mann, la lettera Sul matrimonio (leggibile in una vecchia edizione Feltrinelli nella versione di Italo Alighiero Chiusano). In quel testo, lo scrittore tedesco osservava che, nel matrimonio, «si tratta non solo di fondare la carne nello spirito, ma anche, viceversa, lo spirito nella carne, e questa è anzi la cosa principale», giacché «ciò che vi è di più mirabile nel matrimonio è proprio che in esso un sogno e un’ebbrezza come l’amore col fondarsi sulla fedeltà si trasforma in azione umana, in una sorprendente avventura procreativa nell’ambito del reale».

È sorprendente osservare con quanta precisione Mann, spirito laico e (almeno stando ai biografi) non alieno da pulsioni omoerotiche, individuasse il discrimine oggettivo tra la realtà del matrimonio e la natura dell’amore omosessuale. Riconosceva che «da un punto di vista generosamente umano, emancipatorio, antiutilitario e perciò intimamente antinaturale, non c’è nulla da eccepire contro questa tendenza sentimentale», ma che nella pratica le cose stavano diversamente: «Tutto ciò che è il matrimonio, vale a dire durata, istituzione, procreazione, avvicendarsi di generazioni, responsabilità, l’amore omosessuale non lo è affatto». Alla base dello scritto di Mann c’era l’equiparazione tra il matrimonio e l’arte, entrambi espressioni eterne dello spirito umano (laddove l’amore omosessuale era equiparato all’estetismo, allo spirito dell’art pour l’art), entrambi fondati su ciò che chiamava «una coraggiosa accettazione della vita». È sconfortante notare che mentre la natura del matrimonio fosse ben chiara a un laico come Mann (che citava a suo sostegno autori quali Hegel e Hermann Cohen), mentre oggi sembra sfuggire anche a molti cattolici “adulti”.

Considerazioni di altri tempi, si dirà, legate a una visione ancora ottocentesca del matrimonio, che, se già mostrava delle crepe al tempo in cui Mann scriveva, oggi è sul punto di andare definitivamente in frantumi – anche se ancora troppo lentamente, come nota con amarezza Alberto Melloni, biasimando il persistere dell’odiosa dottrina aristotelica dei “fini naturali” del matrimonio. E invece no, protestava Mann: definire il matrimonio una «istituzione borghese» significa renderlo oggetto della «più micidiale ingiuria del nostro tempo», ossia la confusione tra ciò che è propriamente borghese e ciò che «è un dato primordiale, un fenomeno puramente umano, al di fuori del tempo e perciò incapace di invecchiare».

Perché, continuava Mann, l’istituto matrimoniale è legato a doppio filo alla natura umana, e «la messa in questione di ciò che è eternamente umano, di un’istituzione originaria, ad opera del nostro tempo, non potrà mai essere altro che una transizione, non già una vera fine». Non è un caso, allora, che l’attacco contro l’idea del matrimonio (come istituzione “patriarcale”, si direbbe oggi) giunga proprio da coloro che vogliono abolire l’idea stessa di una “natura umana” da rispettare e preservare.

All’epoca, Mann poteva chiudere il suo scritto con considerazioni tutto sommato ottimistiche: come può ciò che è “eternamente umano” finire per sempre, solo perché una determinata epoca storica si arroga la presunzione di dichiararlo oramai impossibile? Basterà questo a salvarci dalla retorica dilagante degli arcobaleni, degli appelli in nome del “diritto d’amore” e dalla cieca volontà di annullare tutte le differenze, anche quelle oggettive, col pretesto di una malintesa lotta contro le discriminazioni?