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L'accumulo del Vittoriale e l'incomprensione dannunziana della nudità* - II parte

di Marzio Siracusa - 06/03/2016

Fonte: Antologia Vieusseux


6 – Aporie della nudità della macchina
    La volontà di una tassonomia introvabile tra il gesto morto dell’impresa fiumana e il gesto rigeneratore della Cittadella utopica si trasferisce alla macchina, la suprema protagonista verso cui l’incomprensione dannunziana della nudità mostra la sua cruciale di-scrasia ideologica. Più ancora che in Francesco e Michelangelo, d’Annunzio realizza nella macchina l’erotismo onnivoro e utilitaristico dell’accumulo e ne anticipa la nostra più ampia incomprensione. La macchina dannunziana recimta l’apoteosi positivista e futurista dell’onnipotenza, ma con un approccio eroico ed erotico inadeguato a coglierne gli sviluppi come inadeguata è la dimensione sensuale che trascura la crisi michelangiolesca del gesto. Ma esclusa l’assoluta nudità di Francesco volta al corpo nuovo, il confronto illuminante a cui ci indirizza l’accumulo dannunziano può darsi solo tra la nudità di Michelangelo e della macchina, rispettivamente preludio e attuazio-ne della modernità. Se in crisi di gesto storico e politico la nudità michelangiolesca opera la geniale sintesi dei frammenti di gestualità della statuaria antica stravolti alla ricerca cristiana dell’anima, se cioè il nudo è costretto a denudarsi sempre più nel vano inseguimen-to dell’agostiniano in interiore homine, significa, senza che ne venga scandalo critico, che già nell’assemblaggio anatomico attuato da Mi-chelangelo e focalizzato dal Vittoriale, affiorano i tratti dinamici della macchina, affinità improponibile con la nudità francescana del corpo nuovo. Anche l’apologia della macchina nel suo acme di mac-china bellica mostra chiare aporie interpretative, benché in essa il principio della nudità sempre più denudata dai propri arredi concreti al massimo la sua ipotesi storica. Che uno degli attributi estetici della macchina sia la nudità e l’onnipotenza, e che ad esse l’uomo debba adeguarsi come un’appendice, il poeta lo attesta in numerosi richiami:     
Naviglio d’acciaio, diritto veloce guizzante / bello come un’arme nuda,/ vivo, palpitan-te                                              
Come se il metallo un cuore terribile chiuda; (62)
  Siamo trenta d'una sorte, /e trentuno con la morte. //EIA, l'ultima! /Alalà! /Siamo trenta su tre gusci,  /su tre tavole di  ponte: /secco fegato, cuor duro, / cuoia du-re, dura fronte, / mani macchine armi pronte, / e la morte a paro a paro. //EIA, carne del Carnaro!  (63)
Tanto più un equipaggio è forte quanto più è calmo ed esatto; tanto più un marinaio è valido quanto più si avvicina alla impeccabile precisione d’una macchina; tanto più il coraggio è ammirabile quanto più è utile. (64)
     Nell’ideologia dannunziana macchina bellica vale per macchina erotica, di cui la donna si innamora, e le analogie col corpo sono numerose in tutta l’opera, dove si qualifica il denudarsi inarrestabile del trovato per unificare la spoliazione umana e la meccanica, coe-rentemente con la citata nudità mimetica:
   Egli la rivedeva ondoleggiare intorno al grande apparecchio aereo con la pieghevo-lezza  
   quasi fluida delle malvage murene prigioniere nell’acquario. (65)
Giulio Cambiaso non aveva mai sentito così piena la concordanza tra la sua macchina e il suo scheletro, fra la sua volontà addestrata e quella forza congegnata, tra il suo moto istintivo e quel moto meccanico. (66)
   Privato dell’anima e innestato nella temporalità il denudarsi inar-restabile della macchina corrisponde all’evoluzione della sua com-plessità ed è sommariamente espresso dall’interiorizzazione e as-semblaggio dei trovati miniaturizzati e incorporati in altri trovati o arredi, per funzioni di strumenti sempre più complessi. D’Annnunzio non si pone il problema di come e perchè la nudità della macchina nel suo sviluppo storico possa essere sempre più denudata come il corpo umano, ma è proprio nella macchina che il principio si dimostra fondante. La nudità della macchina ridotta al funzionamento mec-canico è la più ingannevole e incontrollabile perché ogni strumento nasconde una catena di strumenti temporaneamente combinati e mi-niaturizzati, ogni gesto un altro gesto, ogni funzione mille altre funzioni, vero assioma della nudità condannata al suo infinito denu-darsi sempre ridotto al micro di trovato in trovato per una crescen-te complessità. Ancora una volta l’ammantatura della nudità di Ele-na nel Piacere è il paradigma esplicativo che oltre la statuaria mi-chelangiolesca investe l’evoluzione tecnica della macchina dove com-plessità e nudità sono insieme sinonimi e ossimoro. Come in Miche-langelo esiste un punto critico del gesto, nella macchina la criticità sta nel tentativo di celarne la complessità rivestendola con la forma del gesto estetico mirante a bloccare la percezione della sua infini-ta nudità. Il designer industriale ha lo scopo di nascondere il pro-cesso di interiorizzazione dei trovati, di cancellarli come soggetti di una nudità interminabile di gesti e funzioni per identificarli in un gesto o corpo presunto ultimo e fruibile, pur destinato a dar luogo a processi e gesti sempre più complessi e denudati in funzioni sempre più esatte ed estese, dove però la sinonimia tra complessità e nudi-tà coesiste inspiegabilmente col loro ossimoro. Perciò appare cor-retto affermare che l’evoluzione della macchina è paragonabile a un transito di reliquia in reliquia, di gesti e strumenti all’apparenza persi in altri gesti e strumenti pur essi all’apparenza persi, per cui ogni macchina è una reliquia in attesa di superiore complessità per agganciarsi al reliquiario di appartenenza che però è in divenire, e fa di ogni macchina un’allegoria instabile dal codice condiviso ma mutevole. Se ciò conferma che la nostra storia energetica e tecno-logica è di fatto un’allegoria insistita che non riesce a sfociare in una storia altra, contro l’aporia più difficile della coesistenza tra nudità e complessità della macchina e la soluzione del loro ossimoro, si offrono indicazioni suggestive e ancora in elaborazione da parte delle discipline olistiche. Accantonato il conflitto tra organismo e organizzazione, dove le culture volkisch concepirono in dimensione olistica la nazione come organismo assoluto a giustificazione dei to-talitarismi (67), l’olismo odierno si presta a una varietà di indirizzi a seconda dell’interdisciplinarietà delle sue applicazioni (68). La ne-cessità di dare un nome al corpo del Vittoriale porta ad affrontare il fenomeno incomprensibile per cui la nudità della macchina si in-staura al crescere della sua complessità. Nell’ipotesi olistica l’inseguimento della totalità da parte della macchina si prospetta come nudità volta al dissolvimento e alla scomparsa dei propri pro-cessi intermedi che, obbedendo alle proprietà intenzionali (69), pre-vedono la retroattività dell’effetto sulla causa (70). Ciò induce a teorizzare perfino il destino terminale della macchina qualora fosse confermato che il costruire di ogni epoca sia vincolato dalla gerar-chia bio-evolutiva che il costruttore, animale o uomo, trasmette all’inorganico per ricostruirsi, e che in nessun caso il confine della ricostruzione del sé del costruttore possa mai essere oltrepassato (71). Allora nudità e complessità si spiegano anche come ossimoro, poiché nel processo olistico l’effetto è accompagnato dal suo risalire alla causa in virtù della nozione di campo delle proprietà intenziona-li, e questo risalire è esattamente la nudità della complessità (72). La retroattività dell’effetto tende a non essere percepibile, miran-do a un assorbimento della causa, al suo occultamento e scomparsa attraverso la miniaturizzazione ancora appariscente nell’inorganico di un trovato, ma indistinguibile nelle mutazioni di un organismo cellula-re (73), e comunque sempre conseguente alla totale assunzione del-la causa nell’effetto (74). Se la retroattività dell’effetto sulla cau-sa è difficile da sostenere nelle funzioni meccaniche con un motore esterno al sistema, è però verificabile in elettrostatica, e ancor più nell’elettronica che ha interiorizzato le funzioni dell’elettromeccanica. Si chiarisce così il concetto di nudità sempre più denudata che l’unicità del Vittoriale permette di enucleare, e che dalla crisi michelangiolesca del gesto fino alla crisi permanente quale modalità della macchina più sofisticata si apre all’ipotesi della sua fisica implosione. Qua si danno i segnali della parabola storica e materiale che potrebbe attendere la tecnologia tutta, a prescinde-re dalle strategie utilitaristiche ramificate e combinate nella persi-stenza del simbolico per l’umana sopravvivenza.
    Il confronto tra le macchine, Francesco e Michelangelo defini-sce così i tre gradi dell’incomprensione dannunziana. Accanto alla nudità del corpo nuovo di Francesco confusa con la povertà, sta la nudità di Michelangelo dalle forti valenze politiche, etiche e religio-se relegate però alla sensualità, e infine la nudità della macchina come pura immagine erotica e bellica che il poeta ignora possa estendere in prospettiva olistica la propria nudità alla complessità e all’accumulo del Vittoriale. Le macchine coinvolgono il Monumento nella loro dinamica, e pur non realizzandolo in un corpo organico ne tentano la liberazione dalla sensualità simbolica, come si avverte la-sciando la Cittadella.
 
Conclusione
    Alla Montemartini la bussola di Furio Jesi polarizzata sul mito ci guidava finché la morte dell’energia e dell’allegoria assicurava il ri-torno alla casa madre, al mito. Ma al Vittoriale, spenta la speranza dell’allegoria unificante l’accumulo, riaffiora la paratassi, e la si-multaneità senza ordine dove principio e fine coincidono e annullano la possibilità che un motore possa esservi acceso. L’incomprensione dannunziana della nudità vieta di rivendicarne un’energia politica che risarcisca più della sconfitta fiumana. Però la mancata assunzione della nudità dei tre attori a sintassi e parametro critico è già me-tafora per il nostro presente e scansa il rischio di avere compiuto un excursus infruttuoso. Solo nel contesto del Vittoriale la nudità della macchina può donarci la conoscenza unica della propria evolu-zione, indagata nello spazio ambiguo tra opera d’arte e strumento meccanico, tra funzione estetica e funzione energetica e produttiva cogliendone inaspettati innesti e reciprocità. La macchina come opera d’arte rientrò in tante performance futuriste e delle avan-guardie novecentesche, ma al Vittoriale accede a un più di verità spostando il baricentro del Monumento nel destino dello stesso mac-chinismo. Il Mas, il biplano e la Puglia, incassata come protesi della natura mutilata, insieme a mitraglie, obici e cannoni, sono la punta di diamante del sistema Vittoriale apparentemente poggiato su emotività solo estetiche e politiche. Invece in quel sistema le mac-chine a esemplificazione della tecnologia, offrono uno spazio cono-scitivo fin qua negato dagli altri due protagonisti del reliquiario, il quale non sintatticamente ordinato in chiarezza allegorica, è so-praffatto da una pericolosa paratassi in divenire che segna la con-danna implicita all’inseguimento del domani. L’approccio estetico e sensualistico della dannunziana nudità da denudare sposta allora la propria inadeguatezza nella temporalità e nell’apoteosi del gesto della macchina. L’incomprensione dannunziana diventa occasione per verificare che ogni nuovo trovato realizzi nella nudità un’origine in-discutibile, come tabula rasa costantemente rinnovata dalla re-troattività dell’effetto sulla causa. Ma l’ipotesi olistica sull’implosione della macchina conferma che in essa l’infinito denu-darsi della nudità può compiersi e concludersi dopo un percorso lun-ghissimo e inclusivo dell’attuale discrasia del tempo umano. L’evoluzione del macchinismo di origine in origine partorisce l’idea di una moltitudine di origini da conquistare e quindi l’idea del tempo umano occupato da infinite origini definite nuove, ossia del tempo saccheggiato e già vissuto che è chiamato futuro, un soggetto schiavo privato della libertà del tempo a venire. Il Vittoriale, in quanto reliquiario antisimbolico ma incapace anche di allegoria, rin-via al futuro il proprio corpo perduto e già sacrificato, irraggiungi-bile per assenza di allegoria energetica e di un quadro politico che garantisca un tempo umano. Insieme alla paratassi il futuro costrin-ge la modernità a nascondere la simultaneità, come appunto accade nella simultaneità dei trovati che ascendono e scompaiono dentro le macchine più complesse. La nostra modernità smarrisce il vettore tassonomico della coralità proprio perché la simultaneità si finge coralità, senza la quale invece il portato politico non sussiste e il presente si vende al futuro. Una delle armi che il mercato usa per uccidere ogni orientamento che non sia il nuovo artificiale è ad esempio la autodistruttiva simultaneità delle culture tra loro ad ar-te confrontate per avviarle alla reciproca indecisione e elisione. Grave inciampo della nostra società tecnologica è la pretesa che la politica coesista con la simultaneità. La tecnica ci sottopone a una simultaneità senza ordine e coralità, la sequenza del denudarsi infi-nito delle macchine che snodate in azzardo combinatorio si affidano alla genericità del futuro. Non a caso il voyeurismo della fanta-scienza come infinito denudarsi della macchina è il motore narcosi del futuro a noi simultaneo e della sua vecchiaia nascosta dall’accanimento con cui è tenuto in vita. Ma il futuro, nel rincorre-re il corpo perduto e ignoto ripristina il simbolico e ne fa una mistu-ra velenosa nascosta e inquadrata nella nostra storia allegorica. Armare però il simbolico di materiale energia ripropone il tasso di morte che il Novecento già sperimentò, perché questa modernità bara sfruttando l’ipotesi conoscitiva simbolica come approccio di metodo sia delle scienze esatte che umane. Allora la negazione del Vittoriale quale corpo organico e allegorico riporta al dilemma ini-ziale della visita, il conflitto tra reliquia e simbolo e i saperi incon-ciliabili che da essi si divaricano, il cui superamento è accertare il reale destino implosivo della macchina e della tecnologia.  
      Tra i sussulti del suo stento motore si esce dal Monumento con questa intuizione quale lascito migliore della sensualità dannunziana. Ma è una beffa per il libertino e voyeur che privilegiò nella sensua-lità la percezione della realtà, scoprire di non aver colto lo spazio conoscitivo celato nella fertile intuizione della nudità mimetica, solo contemplata e consumata nei corpi dei propri personaggi e amanti, le tante Muti o Duse, Leoni o Baccara, ma anche S.Francesco e S.Sebastiano o michelangioleschi Prigioni e Schiavi, e infine nella nuda docilità delle macchine. Esauriti i personalismi della vita inimi-tabile, il Vittoriale ci addita ora qualcosa di più decisivo dei tor-menti estetici ed erotici del suo inquilino. La nudità, per abito cul-turale abbinata d’istinto al corporeo, rivela in chiave olistica il po-tere di semplificare la complessità. Studiata nei suoi significati dai primati alla macchina, può assurgere a sorprendente categoria evo-lutiva avente un approccio critico a priori e capace di intrecciare e unificare vasti ambiti di ricerca dalla storia delle idee all’antropologia, ma soprattutto di rimarginare la ferita del futuro che dalla stessa nudità fu innescato. La spinta della sensualità dan-nunziana alla nudità infinita ha tradotto l’accumulo del Monumento nella summa del fare umano pur senza risolverlo, ma ci apre anche alle ipotesi liberatorie del suo compimento grazie al confronto delle tre nudità a prima vista inaccostabili, eppure incamminate nello stesso destino della tecnologia. Forse nell’agonico rantolio del Vitto-riale ansima un futuro invecchiato ma riportato a ragione dagli esiti implosivi della nudità della macchina. E alla domanda iniziale sulla qualità del corpo del Monumento, pur in tante contraddizioni si può rispondere che la Cittadella del Garda è osservatorio prezioso per riconoscere dove siamo e tentare con minor rischio politico il dopo la nostra storia allegorica, depredata d’energia e omeostasi dagli as-salti del simbolico calamitato al futuro.
Note

(1) L’inventario del Vittoriale è possibile solo per singoli ambiti estetici e di uso poiché le classificazioni definitive sono interdette dalle molteplici appartenenze di uno stesso oggetto a ambiti diversi. Alla Prioria e a Schifamondo sarebbero comunque raccolti circa diecimila pezzi, ristretti al loro portato estetico e simbolico quando si afferma che “ colloquiano tra di loro “, cfr. V.Terraroli,  Il Vittoriale. Percorsi simbolici e collezioni d’arte di G.d’Annunzio, cap. « Intra me maneo », Milano, Skira, 2001, p. 101.
(2) Per le biblioteche contenenti le raccolte di H. Thode, cfr. I libri segreti. Le bi-blioteche di G.d’Annunzio, a cura di A. Andreoli, catalogo mostra, Roma, De Luca, 1993.    
(3) Sul Vittoriale come opera aperta cfr. G.B. Guerri, La mia vita carnale, amori e passioni di G.d’Annunzio, Milano, Mondadori, 2013, p. 212.
(4) Thode aveva acquistato la dimora nel 1911, ma la frequentava fin dal 1894. cfr. M.Mozzo,  La raccolta di fotografie d’arte di H.Thode e G.d’Annunzio: un progetto di riordino, « Quaderni del Vittoriale », nuova serie, n. 5, 2009, pp. 91 – 103.
(5) G. Dalla Pozza, La fabbrica del Vittoriale, « Quaderni del Vittoriale » n.22, lu-glio-agosto 1980, pp. 24 – 37; M. Bernardi, Storia del Vittoriale: come d’Annunzio comprò la villa di Cargnacco, « Quaderni del Vittoriale » n.50, marzo-aprile 1980, soprattutto pp. 5 – 18, e per la convulsa richiesta di denaro pp. 23 – 30
(6) Nel primo Atto di Donazione del 1923, mentre il secondo è del 1930, si legge « Come la morte darà la mia salma all’Italia amata, così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia amata ». in G. d’Annunzio, Premessa all’Atto di donazione del Vittoriale al popolo italiano – 22 dicembre 1923, II, cit. da A.Bruers, Guida al Vittoriale degli italiani, Il Vittoriale degli Italiani, 1942, XIX,p. 13  
(7) M. Siracusa, Cosa vegliano gli dèi nell’ex museo della nuova centrale Montemarti-ni?,  « Nuovi Argomenti » serie II, n. 20, ott.- dic. 2002, pp. 368 – 377
(8) Il legame ancora da indagare tra energia e nostra concezione dell’allegoria aiuta a comprendere perché “ la figura del moderno e quella dell’allegoria vanno riferite l’una all’altra. “ cfr. W. Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo, Torino, Einaudi, 1992, J6a,2, p.311. Oltre alle teorizzazioni sulla macchina nel Seicento, il rapporto diretto fra allegoria e energia si riscontra nell’uso degli ingegni a energia animale e idraulica per le complesse rappresentazioni allegoriche nei teatri di corte dal XVI al XVII se-colo. Cfr. E. Povoledo, Origine e aspetti della scenografia in Italia. Dalla fine del Quattrocento agli intermezzi fiorentini del 1589  in N. Pirrotta, Li due Orfei, Tori-no, Einaudi, 1975, p.405 sgg.
(9) G. d’Annunzio, Premessa all’Atto di Donazione, cit. p.13
(10) C.Cresti, Gabriele d’Annunzio architetto immaginifico, Firenze, Pontecorboli, 2005, per il quale le scene del teatro e poi del Vittoriale denunciano il « bisogno dannunziano dell’uso attivo di una moltitudine di oggetti », cfr. p.39, come ad esem-pio dimostra La Nave rappresentata l’11 gennaio 1908 a Roma col relativo varo visto di prora, cfr. p.52
(11) G. d’Annunzio, Premessa all’Atto di Donazione, cit. p.13
(12) Il ritorno insistito di « reliquia » e « reliquiario » si riscontra in particolare nel-le Faville del Maglio, e sempre in chiave religiosa. Lo stesso d’Annunzio istituisce un rapporto diretto tra reliquia e allegoria. A esempio nel Venturiero senza ventura si legge: « La più annosa delle Sibille michelangiolesche, la Persica decrepita e amman-tata, sola potrebbe assidersi davanti a quel leggìo di legno che si leva enorme in cima a uno stelo di pietra, più santo di una reliquia custodita in oro o in cristallo, testimo-nio d′un′antichità immemorabile, pregno della sapienza di tutti i libri scomparsi. » Cfr. Venturiero senza ventura, in Prose di ricerca, cit. vol. II, p.32. Per l’interpretazione anche dei resti pagani come reliquie, ad esempio l’Hermes di Prassitele nella Stanza delle Reliquie, cfr. V.Terraroli,  Il Vittoriale. Percorsi simbolici ecc., cit. p. 161.    
(13) La moderna concezione dell’allegoria, diversa dall’allegoria medievale che è quasi indistinta dal simbolo, è fatta risalire agli studi umanistici sui geroglifici, ovvero alla scrittura con le cose, o rebus, da cui deriva la necessità di decifrare l’enigma per ar-rivare al suo corpo originario e conosciuto. Cfr. W.Benjamin, Il dramma barocco te-desco, Torino, Einaudi, 1980, pp. 170 – 175. Dopo la nota definizione di J.W.Goethe, Massime e riflessioni, 2 voll. Roma-Napoli, Theoria, vol. I, 1983, mas-sime 1.112 e 1.113, pp.233-234, per cui « L’allegoria trasforma il fenomeno in un concetto (…) e il simbolo trasforma il fenomeno in un’idea (…) », la nozione di simbolo proprio alla poesia simbolista e del decadentismo coincide col simbolismo funerario elaborato da Bachofen, ossia con  « un simbolo (…) che richiede livelli diversi di com-prensione » perché il corpo originario è sconosciuto. cfr. J.J. Bachofen, Il simboli-smo funerario degli antichi, Napoli, Guida, 1989, pp.92 – 93. Proprio perché il corpo di origine è sconosciuto, afferma Benjamin, a tale concetto di simbolo « si potrebbe-ro attribuire mille significati senza mai giungere alla verità », cit. in G. Raio, Erme-neutica e teoria del simbolo, Napoli, Liguori, 1988, pp.122 – 123.
(14) Per la critica alla religiosità dannunziana cfr. P.G. Venturini, Spiritualità e reli-giosità di G.d’Annunzio, « Quaderni del Vittoriale » n.22 luglio-agosto 1980, pp. 48 – 49, il  quale parla del cattolicesimo torbido del pescarese in linea con le stesse cri-tiche di G.Manacorda, La Mistica di G. d’Annunzio, « Frontespizio », febbraio 1940, pp.59 -78    
(15) C.Cresti, Gabriele d’Annunzio, cit. p.124 – 131
(16) Sul possesso dannunziano che annulla nel godimento estetico la differenza tra originali e copie cfr. A.Andreoli, Il vivere inimitabile. Vita di Gabriele d’Annunzio, Milano, Mondadori, 2000, p. 146 sgg.
(17) A. Fortini, D’Annunzio e il francescanesimo, Assisi, Ed. Assisi, 1965, il cui giu-dizio sul Vittoriale è netto: “ Ebbi l’impressione di un opprimente affastellamento di simboli, immagini, reliquie, sculturee, calchi, le cose più diverse e più eterogenee “. p. 185.  
(18) M. Praz invece parla del Vittoriale come museo dannunziano dal singolare effetto caleidoscopio per la provenienza degli oggetti, dove “ il poeta imbalsama tutto nel miele dorato del suo stile “. Il patto col serpente, Milano, Mondadori, 1972, pp. 363 – 364.
(19) S. Caianiello, Olismo nella cultura tedesca tra scienza e filosofia, « Costruzione di un concetto », Milano-Udine, Mimesis, 2014, pp. 118 – 120, dove è chiamata in causa la teoria dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy.
(20) Per gli articoli della Carta del Carnaro e i suoi aspetti rivoluzionari, come la pa-rità tra uomo e donna, o la funzione pedagogica della musica. ecc. cfr. Scritti politi-ci di G.d’Annunzio a cura di P.Alatri, Milano, Feltrinelli, 1980, pp. 224 - 243  
(21) P.G. Venturini, Spiritualità e religiosità, cit. p. 54 sgg.
(22) Mario N. Ferrara, D’annunzio e Jung,  « Quaderni dannunziani », marzo-aprile 1981, n. 26, pp. 92 – 98, che difende il poeta dall’accusa di falso misticismo e vede un comune terreno su basi metapsichiche con lo psicanalista svizzero e i suoi interessi per filosofie e religioni orientali.
(23) Vedi nota (13) e G. Nava, per il quale a fine ottocento il senso allegorico “ è stato fortemente compromesso dallo smarrimento d’un criterio di distinzione oggettivo tra vero e falso “, determinando la prevalenza del simbolismo.  Cfr. I canti di Ca-stelvecchio: simbolo o allegoria?, in Giovanni Pascoli, poesia e poetica, Maggioli, Rimi-ni, 1982, pp. 335 – 336.
(24) G.d’Annunzio, Contemplazione della morte, « Prose di ricerca », cit. vol.III, p.205
(25) V.Terraroli,  Il Vittoriale. Percorsi simbolici e collezioni d’arte, cit. pp. 99 – 223.
(26) G. d’Annunzio, Libro segreto, « Prose di ricerca », cit. vol.II, p.716
(27) Idem, Le faville del maglio, « Prose di ricerca », cit. vol.II, p.144
(28) P.Gibellini, d’Annunzio dal gesto al testo, Milano, Mursia, 1995, p.204 – 205, per cui il Vittoriale si manifesta come gesto nella volontà di edificare il mausoleo di sé.
(29) G.d’Annunzio, Libro segreto, cit. p. 689
(30) P.G. Venturini, Spiritualità e religiosità, cit. p.48 il quale accusa il poeta di « francescanesimo da salotto di lusso ». Anche E.Mariano denuncia la retorica dannun-ziana del poverello, cfr. Il S.Francesco di G. d’Annunzio, « Quaderni del Vittoriale », n. 12 nov. – dic. 1978, pp.21 sgg. Positivo invece il giudizio di un testimone di-retto come A. Fortini, D’Annunzio e il francescanesimo, cit. che riporta parole del poeta: “ S.Francesco è l’espressione più completa e perfetta del sentimento religioso in tutti i popoli e in tutti i paesi ”, p.177. “ Umile Terziario Francescano “ così ama-va definirsi d’Annunzio, cfr. T. Antongini,  Vita segreta di G. d’A., Milano, Monda-dori, 1957, p.34
(31) Heinrich Thode, Franz von Assisi und die Anfänge der Renaissance in Italien, Zweite verbesserte Auflage, G. Grotesche Verlagsbuchhandlung, Berlin, 1912. p.68. Trad. it. H.Thode, Francesco d’Assisi e le origini dell’arte del Rinascimento in Italia, a cura di Luciano Bellosi, Roma, Donzelli, 1993, p.70.
(32) M. Mozzo, La raccolta ecc., cit. p.93
(33) G.d’Annunzio, Il secondo amante di Lucrezia Buti, Le faville del maglio, cit.p.379.
(34) Su mutamenti e significati della Stanza del Lebbroso, cfr. C.Arnaudi, Dal Misel-lo al Lebbroso: storia di una stanza francescana al Vittoriale, « Quaderni del Vitto-riale », n.s. n.7, 2011, pp. 73 – 93, per la quale tutto l’ambiente è ricavato dalle indicazioni del libro caro al poeta, E.Chavin de Malan, Storia di S.Francesco d’Assisi, tradotto nel 1878 da C.Guasti e presente nella biblioteca dell’Officina.
(35) “ Quando mi vedrete ridotto all’estremo deponetemi nudo sulla terra (…) E dopo che sarò morto, lasciatemi giacere così per il tempo necessario a percorrere comoda-mente un miglio. “ Tommaso da Celano, Vita Seconda di S.Francesco d’Assisi, « Fonti Francescane », Padova, EMP, 1990, p. 727.
(36) G. d’Annunzio, Le faville del maglio, Il venturiero senza ventura, cit. p. 58.
(37) Sul significato della povertà in S.Francesco, e sulle conseguenze per l’Ordine, cfr. lo studio essenziale di M.D.Lambert, Povertà francescana, Milano, Ed. Biblioteca Francescana, 1995, p. 47, per il quale “ più è radicale la versione della povertà che ci viene presentata, più è probabile che essa rifletta le vere intenzioni di Francesco “.
(38) Per lo sconfinamento storico dell’eucaristia nell’interpretazione simbolica, nell’onnipotenza del fare e nel relativo arricchimento cfr. M. Siracusa, Il segreto viaggio di Dietrich Taufriegel, Il sogno di Abramo, Firenze, Polistampa, 2009, pp. 198 – 213.
(39) “ Chi amministra il sacramento senza rispetto consideri quanto siano vili, i calici, i corporali, le tovaglie usate per la consacrazione del corpo (…) E da molti il corpo è lasciato in luoghi indegni (…) e sia tolto di là e custodito in un luogo prezioso “. Cfr. S.Francesco, A tutti i chierici sulla riverenza del corpo del Signore,  « Fonti France-scane »35, cit. p, 159 – 160.
(40) “ Mentre i frati versavano amarissime lacrime, e si lamentavano desolati, si fece portare del pane, lo benedisse, lo spezzò e ne diede da mangiare un pezzetto a cia-scuno “ in Tommaso da Celano, Vita Seconda, cit. p.726.
(41) “ Allora chinandosi dal trono della sua nudità, madonna Povertà li accolse con dolci benedizioni. “ Sacrum Commercium, « Fonti Francescane », cit. p. 1637.
(42) Paradigmatica è ancora la Stanza del Lebbroso con i suoi nudi di peccatrici peni-tenti a imitazione della Maddalena. Cfr. R.Cerretti, Forme e motivi del collezionismo dannunziano: lo scrittoio del Monco e la Stanza del Lebbroso, « Quaderni del Vitto-riale », n.5, cit. pp.114 – 115.  
(43) G. d’Annunzio,  Il piacere, cit. « Prose di romanzi », cit. vol. I, p. 227.
(44) Ibidem, p.289
(45) Idem, L’urna inesausta, « Prose di ricerca », cit. vol. I, p. 1107.
(46) Idem, Libro ascetico, Laude della povertà, in « Prose di ricerca », cit, vol. I, pp. 662 - 663
(47) Le passioni comuni a Thode e d’Annunzio non riguardano solo Francesco ma anche Michelangelo, poiché lo storico dell’arte tedesco considerava le due figure l’alfa e l’omega, la nascita e la morte del Rinascimento italiano cfr. H.Thode, Michelangelo, Kritische Untersuchungen über seine Werke, Berlin, 4 Band, 1908 – 1913, 1 Band.
(48) V.Terraroli, Il Vittoriale. Percorsi simbolici ecc., cit, pp. 19 – 24
(49) cfr. nota (36)
(50) Un richiamo alla povertà michelangiolesca si riscontra nel Dialogo della convale-scenza,sempre delle Faville, cit. p. 637: « Ultimo sangue di Michelangelo, orgoglio della mia povertà! Te lo dico: non sono più con le mani trafitte su le tue ginocchia di marmo ».
(51) M.Buonarrati, Rime, Milano, Rizzoli, 1954, CLXIII, p. 162.
(52) G. d’Annunzio, Il Piacere, cit. p. 97
(53) C.Acidini Luchinat, Michelangelo scultore, Milano, 24 Ore Cultura, 2010, pp. 8 – 9
(54) G.Vasari, Le vite, Roma, Ed. It. di Cultura, p.703, che riguarda in particolare l’interruzione della Pietà Bandini.
 (55) H.Thode, Michelangelo, cit., che sulla staticità donatelliana della Modanna della  
 Scala afferma « Der Typus der sitzenden Madonna in ganzer Figur und in Seitenan -
 sicht, flach reliefirt, war von Donatello hingestellt worden….Aber er kopiert nicht, son-
 dern bringt seine originelle Anschauung auf Grund jenes Schemas zum Ausdruck. »p. 13
(56) Ibidem, pp. 11 – 12, per il quale nel bassorilievo della Battaglia dei Centauri è forte la lezione di Desiderio e Donatello. Anche C. Acidini Luchinat, Michelangelo scultore, cit. che vede nel bassorilievo la dinamica di più punti prospettici, cfr. pp.20 – 21.  
(57) B.Cellini, Due Trattati, Uno dell’oreficeria, L’altro della scultura, Opere, vol. III, Milano, 1811, dove il non finito è attribuito alla difficoltà delle troppe vedute a tutto tondo, e quindi della compiutezza del gesto: « (…) essendoché egli ( Michelan-gelo ), conduceva un ignudo (…) in termine di sette giorni (…) dove che lavorando as-siduamente sopra una statua di marmo, della medesima grandezza, per cagione della difficultà di dette vedute, e della materia ancora, non la conduceva in meno di sei mesi. », p.213.  
(58) C.Acidini Luchinat, Michelangelo scultore, cit. pp. 8 – 9 che ritiene fondamen-tale la testimonianza del Vasari sull’insoddisfazione creativa di Michelangelo.
(59) V. Terraroli, Il Vittoriale, cit. p.22.
(60) G.d’Annunzio, Il secondo amante di Lucrezia Buti, cit.p. 380. Sulla sensualità realistica dell’Aurora in contesto allegorico, cfr. H. Thode, Michelangelo, cit. p. 536 sgg.
(61) G.d’Annunzio, Contemplazione della morte, « Prose di ricerca », vol.III,cit.p. 251.
(62) Idem, A una torpediniera nell’Adriatico, Odi navali, « Versi d’amore e di gloria », vol. I, cit, pp. 742  744.  
(63) Idem, La Canzone del Quarnaro, Laudi del Cielo del Mare della Terra e degli Eroi, Canti della guerra latina, in « Versi d’amore e di gloria », cit. vol. II,pp. 1098 - 1102
(64) Idem, L’Armata d’Italia, L’Armata, in « Prose di ricerca », vol. III, cit. p. 18.
(65) Idem, Forse che sì forse che no, in « Prose di romanzi », cit. vol. II, p. 872.
)66) Ibidem, p. 924.
(67) S.Caianiello, Olismo nella cultura tedesca tra scienza e filosofia, cit., pp. 96 sgg.
(68) Ibidem, p. 97 – 98.
(69) E. Lepore, Riflessioni sull’Olismo, in « Olismo », a cura di M. Dell’Utri, Macera-ta, Quodlibet, 2002, pp. 249 – 251.
(70) S. Procacci, Alle radici dell’Olismo, Perugia, Ed. Scient. Ital., 2001, pp. 35 sgg.   
(71) Sull’ipotesi di esaurimento della techne e delle cose ultime dopo la fine della ri-costruzione e del riepilogo della struttura biologica umana nell’inorganico, cfr. M. Si-racusa, Il segreto viaggio di Dietrich Taufriegel, cit. in particolare la sintesi: « Quando le cose sapranno tutto di noi non le vedremo più. », pp. 238 – 239.
(72) S. Procacci, Alle radici dell’Olismo, cit. pp. 37 – 39.
(73) S.Caianiello, Olismo ecc., cit. anche per il dibattito tra ontogenesi e filogenesi cfr. p. 99 .
(74) S. Procacci, Alle radici dell’olismo, cit. p. 40 sgg.