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L'Islam è una minaccia. Falso!

di Franco Cardini - 06/03/2016

Fonte: Laterza


dettaglio dalla copertina con l'immagine di Franco Cardini


 

“L'Islam è una minaccia”

C’è chi pensa che il Califfato sia alle porte e su Roma sventolerà la bandiera nera degli integralisti. Da anni la nostra paura e i nostri sensi di colpa trovano nell’Islam la loro causa prima. Ma davvero siamo condannati, Musulmani e Occidentali, tutti e senza distinzioni, a combatterci senza mai comprenderci? In L'Islam è una minaccia. Falso! Franco Cardini esplora il mondo musulmano con occhio sgombro da pregiudizi: una realtà complessa, polimorfa e contraddittoria che appare oggi sospesa tra jihad e Coca-Cola, tra Corano e business, tra richiami alla potenza califfale e suggestioni informatico-telematiche, tra niqab e Gucci. E smonta, uno a uno, gli stereotipi dell'islamofobia. 

 

 

L’Islam è una minaccia, si dice. Ciò sta diventando un dogma: e, come i suoi predicatori e adepti – e ancor più i suoi Gran Sacerdoti, che ad esso magari debbono fortuna mediatica, posti in parlamento, opulente prebende e interviste televisive – ben sanno, i dogmi non hanno per loro natura bisogno di esser provati. D’altronde, l’impresentabile vizio islamofobico è ormai divenuto una redditizia professione. Tuttavia quella “civiltà occidentale”, di esser figli della quale molti si sentono fieri (e anch’io, a modo mio, mi sento tale), è notoriamente razionale: rifugge dal dogma oppure lo accetta abbastanza obtorto collo come parte di quella stessa religione cattolica dalla quale la Modernità si è progressivamente allontanata ma di cui alcuni occidentali moderni si ostinano a dirsi accesi sostenitori (oh, la pura luce di eventi quali Poitiers 732 e Lepanto 1571, che ci hanno salvati due volte dall’invasione dei cani circoncisi!...).

Difatti sono ormai tanti coloro che non provano affatto il bisogno di appendere il crocifisso a una parete di casa propria, ma con ardore ne difendono in cambio l’esposizione obbligatoria nei luoghi pubblici, dovunque la sua vista possa offendere e ferire la canaglia islamica. Si può anche essere atei, ma si è magari “devoti”: e la croce, della quale come simbolo di amore, di fratellanza e di sacrificio non si sa che farsi, diventa sacrosanta quando svetta sulla cima dei “nostri bei campanili” dai quali scende il caro vecchio squillo delle “nostre campane”. E non fa niente se esse invitano alla messa e noi non ci andiamo affatto: ma è importante che diano fastidio a quegli altri, che li umilino e li offendano, che ricordino loro che stanno a casa nostra e non vi sono i benvenuti se non quando accettano docili lavori “al nero” e salari da fame, cioè di far quello che noi non vogliamo fare.

Quanto poi a conceder loro il diritto di pregare in un ambiente adatto – noialtri, che in quelli nostri non ci andiamo –, non glielo daremo mai, alla faccia della Costituzione e delle leggi internazionali; li obbligheremo a eseguire le loro prostrazioni rituali nel mezzo delle strade e delle piazze, salvo poi lamentarci in quanto disturbano il traffico e la quiete pubblica con il ridicolo, lubrico spettacolo dei loro culi per aria. Evviva gli svizzeri, che con un baldo referendum (sono proprio un “popolo gagliardo”, come cantavamo ai tempi di Addio Lugano bella) hanno impedito che un giorno un qualche minareto possa rovinare con la sua sgraziata silhouette i bei pascoli di montagna e la nenia monotona del muezzin spaventare le buone vacche pezzate.

Ebbene, lasciatevelo dire, cattolici-duri-epuri, neocrociati come vi vorrebbe il califfo alBaghdadi, o “cristianisti” che vi definiate o “atei devoti” che vi vantiate di essere: quello che concepite e proponete, a proposito di crocifissi e di campane, è un uso improprio bello e buono per non dire un infame pretesto. Chissà: diciotto-diciassette secoli fa i bravi contadini pagani (paganus deriva appunto da pagus,“villaggio”) pensavano probabilmente le stesse cose: che peccato, e che pena, il nostro bel paesaggio punteggiato di graziosi templi marmorei e di gloriose edicole sacre agli dei e agli eroi, deturpato ora da quelle ineleganti casupole nelle quali i galilei celebrano i loro impuri misteri; e che noia, il rumore di quegli arnesi di bronzo d’origine orientale che fanno vibrar tanto spiacevolmente l’aria!

Ma le contaminazioni tra sacro e profano, imperterrite, proseguono. Quello secondo il quale l’Islam sarebbe una minaccia, in quanto un dogma “laico”, dovrebbe comunque seguire la regola di quelli della Chiesa cattolica: essere sottratto alla ragione e alla critica per venir affidato alla pura fede. Ma ciò, in termini laici, sarebbe contraddizion che nol consente: ed ecco che, al fine di farlo apparire effettivo, vero, reale, irrefutabile anche alla luce della ragione, si tende a rivestirlo di prove o di qualcosa che loro somiglia. […]

Prendere alcuni casi particolari, per drammatici o terribili che siano, strapparli dalla loro eccezionalità, sistematizzarli, enuclearli dal loro contesto specifico e presentarli come generali e consueti; usare un evento accaduto in Siria, o in Nigeria, o magari anche a Parigi e ipotizzare che esso diventerà o che sta già diventando la regola dappertutto; ingigantire il singolo e magari isolato episodio criminale e nel nome di esso finger d’ignorare le migliaia e migliaia di casi di buoni e onesti musulmani che da noi lavorano, che ci aiutano espletando mansioni che i nostri giovani si rifiutano di fare, che soccorrono i nostri anziani e i nostri disabili mentre noi discutiamo perfino – nonostante la lettera e lo spirito della nostra Costituzione siano al riguardo chiarissimi e non ci sia pertanto al riguardo un bel niente da discutere – se essi abbiano o no il diritto di riunirsi a pregare in un edificio religioso eretto o sistemato a loro spese; instillare attraverso i media il sospetto che dietro ogni pizzaiolo egiziano che ci sorride, dietro ogni fruttivendolo maghrebino che si mostra cortese, dietro ogni ragazza somala che accudisce un’anziana signora con la stessa dedizione con cui lo farebbe per sua madre, si celi un fanatico pronto a sgozzarci nel nome di Allah.

Il terrorismo musulmano, come ogni altra forma di terrorismo, più che di fatti – e magari di fatti orribili: che certo purtroppo ci sono – vive d’immagini mediatiche; e si dimostra spesso abilissimo nel produrle e diffonderle. Anche perché i manovratori del Terrore sanno bene di possedere in Occidente una formidabile “Quinta Colonna”: gli islamofobi di professione, politici oppure operatori mediatici, che non chiedono di meglio che raccogliere i messaggi più paurosi e minacciosi e sbatterli in prima pagina, fiondarli al proscenio, fare in modo che appaiano ancor più tremendi di quel che sono, seminare paura per raccogliere odio e quindi consenso. Conosciamo questa logica, sappiamo dove portano queste forme di propaganda. Le abbiamo già sperimentate altre volte, in Europa.

L’odio e la paura hanno condotto alla fine del Settecento brave popolane, fino a pochi mesi prima timorate di Dio, a sferruzzare e a chiacchierare all’ombra della ghigliottina; l’odio e la paura hanno alimentato le purghe staliniane; è certo non soltanto, ma senza dubbio anche grazie a un odio e a una paura alimentati da una sinistramente geniale propaganda che tanti bravi e onesti cittadini tedeschi hanno finito negli anni Trenta per far finta di niente mentre gli ebrei della porta accanto scomparivano nel nulla; per non parlare dei tragici, grotteschi “processi alle streghe” organizzati negli States degli anni Cinquanta dal senatore Joseph McCarthy e circondati dal consenso isterico di tanti buoni patrioti americani inorriditi dal comunismo. Attenzione, perché ci vuole poco – specie con i mezzi e gli strumenti mediatici di oggi – a creare climi e atmosfere analoghi a quelli e a quelle che credevamo ormai sepolti in un passato vergognoso.

Il ventre che ha partorito questi mostri è ancora e sempre gravido.