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L’Ilva di Taranto e il bene comune

di Michelangelo Pacifico - 06/03/2016

Fonte: L'intellettuale dissidente


Teoria e prassi dei commons, i beni comuni, come alternativa per una più equa distribuzione della ricchezza e per un ponderato utilizzo delle risorse.

Il 17 maggio partirà il nuovo processo nei confronti dei 44 imputati nell’inchiesta “Ambiente Svenduto” per le emissioni nocive dell’Ilva di Taranto. In questi giorni l’agenzia regionale per la protezione ambientale che opera sul territorio pugliese ha dichiarato che le sostanze tossiche rilevate in valori che superano la soglia di allarme nel quartiere più vicino all’Ilva sono simili a quelle presenti nei filtri dei camini dell’impianto siderurgico. I processi e le condanne potranno forse un giorno risolvere il singolo caso dell’Ilva, ma prima o poi bisognerà capire che l’inquinamento, e più in generale l’aggiramento delle regole, non sono un’ eccezione, sono parte integrante del capitalismo, il quale si regge sulla competizione sfrenata. Tra due imprese quella che riesce ad aggirare le regole ambientali vince sul mercato, perché può proporre prezzi più bassi.

Negli ultimi anni, si sta diffondendo il concetto dei commons, i beni comuni, risorse materiali o immateriali condivise, beni di cui tutti possono godere e nessuno può esserne escluso. Risorse che tendono a essere non esclusive e non rivali e quindi sono fruite da una comunità più o meno ampia. Sono in genere prive di restrizioni nell’accesso, indispensabili alla sopravvivenza umana, e che accrescono con l’uso. E’ stata  Elinor Ostrom.  Premio Nobel per l’economia nel 2009, a scoprire che le comunità possono consolidare rapporti di fiducia reciproca e autoregolarsi grazie a interessi comuni, a pratiche comuni, alla comunicazione costante, a sperimentazioni per prove ed errori e possono sviluppare competenze elevate, il tutto in un processo realmente democratico.

I beni comuni sono suddivisi in beni naturali e sociali. Quelli naturali sono estratti dagli ecosistemi: cibo dalle piante e dagli animali selvatici, regolazione del clima, assimilazione di rifiuti, fornitura di acqua, formazione di suolo, ciclo dei nutrienti, controllo delle inondazioni, impollinazione, materie prime ecc… Tutto questo, con dati aggiornati al 2002, fa parte di una ricchezza pari a 33000 miliardi di dollari. Questa cifra però rappresenta una sottostima, in quanto ignora un aspetto singolare della natura, la sua insostituibilità, infatti se fallisce una corporation può subentrarne un’altra, mentre non si può rimpiazzare un ecosistema.

Percorrere la strada del riconoscimento dei commons, permetterebbe una più equa e giusta distribuzione della ricchezza, perché l’Ilva di Taranto e più in generale le grandi imprese, sono riuscite a crescere grazie allo sfruttamento gratuito di vari beni comuni, come l’acqua, aria, terra ecc… Ora siamo giunti a un punto di svolta e si comincia a tener conto della scarsità di questo tipo di beni, vedi anche domeniche a piedi e vari blocchi del traffico causa aria inquinata. E’ il momento di capire che c’è una ricchezza appartenente per nascita a tutti gli individui. Se si vuole usufruire di questo patrimonio, bisognerebbe pagare dei permessi i cui proventi andrebbero per una parte ad aumentare il reddito dei cittadini, tra cui i più avvantaggiati dal sistema risulterebbero i più poveri, e per un altra parte usate a sostegno degli stessi beni comuni. L’impresa che inquina poco avrebbe dei guadagni per il fatto che dovrebbe sostenere meno spese, mentre l’impresa che inquina molto dovrebbe pagare una somma che dovrà recuperare aumentando il prezzo dei suoi prodotti i quali diverranno meno convenienti.

In un sistema di contabilità, ogni prestito appare in due bilanci, quello di chi presta e quello di chi riceve. Il debito di uno rappresenta la risorsa per l’altro. Oggi però le cose non vengono fatte in questo modo, al crescere dell’economia umana aumentano le risorse delle imprese e degli individui, ma il debito nei confronti dei beni comuni non viene registrato da nessuna parte. Da una parte del libro maestro c’è solo una crescita, mentre dall’altra parte c’è solo cattiva salute e debito non calcolato. Tutto questo servirebbe a prevenire le tragedie ambientali senza arrivare ai processi palliativi.

Vi sono già degli esempi di commons attivi, come l’Alaska Permanent Found, un fondo creato nel 1976,  il quale ogni anno remunera i cittadini con i dividendi derivati dai ricavi del petrolio dello stato. Nel 2015 ogni cittadino ha ricevuto 2072 dollari. Dal 1982 a oggi, il fondo ha distribuito ai cittadini 17 miliardi e mezzo di dollari. Quando nel passato erano diffusi i beni comuni, il problema della gestione era superato grazie all’organizzazione gerarchica in cui qualcuno o pochi, erano legittimati a decidere per tutti. Oggi la volontà del re deve essere sostituita da misurazioni accurate e da leggi scaturite da reali processi democratici, il tutto accompagnato dal ruolo che deve svolgere la cultura come strumento di sviluppo per un etica condivisa.  La sfida più difficile rimane sempre quella del cambiamento dell’uomo nel tempo dell’edonismo individuale. Si dovrebbe passare da un ragionamento “meglio io che nessuno” a un ragionamento “preferisco la mia sola contribuzione al bene comune piuttosto alla situazione nella quale nessuno contribuisce al suo mantenimento”.