Un realismo grottesco e surreale
di Adriano Segatori - 13/03/2016
Fonte: Italicum
<<Chi non comprende che l’elemento simbolico sorregge il tutto>> – cioè lo “spirito del tempo” – <<e magari pensa che il modello filosofico che regge la sintesi sociale dominante sia una semplice struttura ideologica secondaria derivata, assomiglia ad un medico che riduce l’intera medicina a dermatologia>>[1]. Questa è la critica che il filosofo marxista Costanzo Preve fa dell’attuale strategia nell’affrontare i complessi problemi politici e sociali della modernità. Lo supporta – in tempi non sospetti, ma con fini tattici analoghi – Ernst Jünger quando avverte: <<Il tentativo di venire a capo di un’epoca con i soli mezzi offerti da questa, si consuma nel girare a vuoto intorno ai suoi luoghi comuni: non può riuscire>>[2].
Le due segnalazioni citate avvertono in maniera chiara ed inequivocabile quale sia l’operazione messa in atto dal sistema tecnico-funzionale in cui agiamo – e dal quale molti sono agiti –, e che ancora molti continuano a considerarlo Stato. È in corso da tempo una manovra da ‘gioco di specchi’ attraverso la quale si è tanto lentamente quanto inesorabilmente depotenziata ogni capacità critica e la minima competenza di analisi della realtà. Un esempio in sé ‘banale’, ma molto istruttivo. A fronte della totale scomunica del diritto al lavoro e del diritto alla sovranità (monetaria, politica, militare e decisionale), la massa di manovra cieca, sorda e purtroppo diffusamente idiota si attiva sul diritto degli omosessuali. In pratica, le voglie del singolo organizzato vengono a prevalere sulle esigenze fondamentali della comunità. È più importante, in altre parole, sviare l’attenzione e l’attivismo sull’effimero e il marginale, piuttosto che affrontare i problemi fondamentali e centrali, che vengono sminuiti e distorti da centrali di potere e di amministrazione estranee e nemiche. Il tutto, naturalmente, grazie all’intervento servile e ipocrita di quegli apparati di distrazione di massa costituiti da pennivendoli, intellettualoidi e cascami del politicante rettificato. Del resto, <<Il sistema oligarchico ha bisogno di questi rinnegati, li paga bene, e li ripaga infatti con l’immortale triade corruttrice (potenza, ricchezza, onori)>>[3].
È il realismo – argomentazione ben più importante di come l’abbiano ridotta i relativisti dell’attualità – che prevale sul simbolico, e con esso la gestione pulsionale del quotidiano, senza alcuna visione di progetto e di destino.
Perché in essenza, il simbolico riporta al destino, ad una visione proiettata nel tempo e nello spazio, ha in sé la dimensione della trascendenza, dell’eternità, dell’Idea, mentre il realismo – soprattutto quello distorto davanti agli occhi – si aggancia al contingente, alla funzionalità immediata, al relativismo dell’opinione.
Non che in politica si possa fare a meno del realismo, del pragmatismo legato all’opportunità nelle scelte e alla praticità delle decisioni, ma questo è relegato alla programmazione di minima, alla gestione quotidiana degli affari correnti. Il danno irreversibile si ha quando tale prassi diventa governance – secondo il becero inglesismo politichese –, che rinuncia alla visione del mondo politica e diventa limitatezza alla miopia amministrativa.
E la politica, qualunque colore porti, non può che vivere di simboli e di archetipi, mentre l’amministrazione è definita da segni e da didascalie.
La questione del simbolico permea la stessa opinione che uno ha del suo contesto di appartenenza. Tanto per intenderci: la società è una organizzazione, la comunità è un organismo. La prima risponde alla logica burocratica efficientista, la seconda ad un dispositivo spirituale trascendente. Gli stessi materialisti di matrice comunista dovrebbero comprendere che quando Stalin parlava e scriveva di Santa Madre Russia, non si riferiva all’apparato sociale sovietico, ma all’anima e allo spirito comunitario del popolo russo, alla sua componente sovrumana e metapolitica.
Ormai non c’è più nulla di simbolico nella rappresentazione moderna della realtà. La politica non è più evocatrice di ideali e di destino, ma amministratrice di voglie e di interessi individualistici o, al massimo, di appetiti minoritari. La scuola ha perduto la matrice educativa nel senso etimologico di fare emergere le potenzialità di ciascuno determinando, poi, una selezione in base a competenze, volontà e carattere, e si è trasformata in un apparato omologante verso il basso e diluente ogni entusiasmo e ogni motivazione. Il lavoro non assume più si di sé la dimensione eroica e combattiva dell’operaio jüngheriano, quello dello sciopero generale alla Sorel e della mobilitazione generale, quello dell’<<operaio-massa fordista incazzato>>[4], ma è solo l’individuo-macchina snaturato o il precario-flessibile depotenziato o il disoccupato rassegnato. Il soldato non si identifica più nella simbologia dell’assalto, della trincea, della morte epica o della vittoria mitizzata, ma in quello del portatore di pace, del distributore di giocattoli e cioccolatini, del difensore di posizioni mai conquistate. La Chiesa non si fonda più sul simbolo del Sacro e sulla liturgia della verità, ma è diventata interconfessionale e secolarizzata, in un cosmopolitismo relativista che è tutto e il contrario di tutto. La stessa famiglia, di cui tanto si parla sia da parte del laicismo accattone e degenerato sia dell’altrettanto corrotta difesa ecumenica, non è più il simbolo di trasmissione di memoria, di retaggio e di stile, non è più il luogo dell’addestramento al reale e il dispositivo nel quale formare il coraggio indispensabile per quella impresa unica e irripetibile che si chiama vita, ma è un misto informe di accudimento bamboccione o di compravendita di sentimenti e di materiale da procreazione. La stessa simbologia sessuale della coppia – il maschile e il femminile – ha perso la polarità della differenza, la cui armonia è la tendenza alla perfezione dell’unità, per diventare una liquidazione della diversità ed una omogeneità diluita e informe.
In sintesi, la scomunica del simbolo è stata un’operazione concepita e perseguita da quei poteri interessati alla cosiddetta <<solidificazione del mondo>>[5], alla meccanizzazione della persona in atomo individuale, alla materializzazione dello spirito.
Possiamo ben dire, quindi, che l’unico atto rivoluzionario auspicabile, soprattutto in riferimento ad un proprio cammino interiore, parte dal sovvertire il becero invito sessantottino <<Siamo realisti, chiediamo l’impossibile>>, la cui realizzazione sono le macerie umane e morali davanti agli occhi di tutti, e farsi carico di un <<Rivendichiamo il simbolico, pretendiamo l’inattuale>>, così da ritornare alla vera essenza dell’uomo e del mondo.
[1] C. PREVE in C. PREVE / L. TEDESCHI, Dialoghi sull’Europa e su Nuovo Ordine Mondiale, i Centotalleri, Padova 2015, p. 162.
[2] E. JÜNGER, Rivarol. Massime di un conservatore, trad. it., Guanda, Parma 1992, p. 12.
[3] C. PREVE in C. PREVE / L. TEDESCHI, Dialoghi sull’Europa e su Nuovo Ordine Mondiale, cit., p. 166.
[4] Ivi, p. 90.
[5] Cfr. R. GUÉNON, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, trad. it., Adelphi, Milano 1982.