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Fritjof Capra: il lato oscuro della crescita e la ecoalfabetizzazione

di Paolo Scroccaro - 14/09/2006

 

 

Introduzione

 

 

“…la sopravvivenza dell’umanità dipenderà dalla nostra capacità di comprendere i principi dell’ecologia e di vivere in base ad essi. Questa è un’impresa che trascende tutte le nostre differenze di razza, cultura o classe. La Terra è la nostra dimora comune, e creare un modello sostenibile per i nostri figli e per le generazioni future è il nostro obiettivo comune”.

 

Con queste parole, per altro ripetute in molte occasioni, F. Capra concludeva il suo intervento alla “Conferenza Schumacher” a Liverpool, nel marzo 1999[1]. Scopo evidente dell’esortazione, era quello di mettere in primo piano l’emergenza ecologica, considerata un’emergenza prioritaria su cui concentrare l’attenzione e le energie, in vista di un modello di sostenibilità, alternativo alla logica antiecologica dominante incentrata sulla crescita economica, sul saccheggio delle risorse, sulla devastazione ambientale, sul potere della tecnoscienza…

F. Capra è anche direttore del Center for Ecoliteracy, con sede a Berkeley (California): la finalità principale del Centro è rivolta all’ecoalfabetizzazione, cioè alla promozione di una cultura ecologica (nelle scuole, nella società civile) adeguata alla gravità del contesto attuale, e in grado di stimolare il senso di responsabilità verso la Terra e verso tutti gli esseri che la abitano.

Arrivati al punto critico in cui ci troviamo, ecoalfabetizzare il mondo contemporaneo è un imperativo assolutamente necessario per la sopravvivenza: si tratta di far maturare un certo grado di consapevolezza eco-filosofica, requisito indispensabile per attivare la correzione radicale dei comportamenti umani, troppo spesso affetti da irresponsabilità e distruttività…e non c’è dubbio sul fatto che queste caratterizzazioni negative e disdicevoli, lungi dall’essere occasionali, sono intimamente correlate alle tendenze culturali, economiche, scientifiche, filosofiche predominanti nell’età moderna e contemporanea[2].

A più riprese, F. Capra si è soffermato su alcune di queste tendenze, mettendone in rilievo il risvolto antiecologico ed evidenziando i limiti e le responsabilità dei maggiori esponenti di esse. In questa prospettiva vanno lette le pagine dedicate a F. Bacone[3], a Cartesio[4], a Galilei[5], a Newton[6] e ai sostenitori del paradigma meccanicistico in generale[7].

In vista di un nuovo pensiero, di un nuovo paradigma, “l’ecoalfabetizzazione è una dote essenziale per i politici, gli uomini d’affari e i professionisti in tutti i campi. Di più, l’ecoalfabetizzazione sarà fondamentale per la sopravvivenza dell’umanità nel suo insieme, quindi costituirà la parte più importante dell’educazione a ogni livello: dalle scuole ai college, dalle Università ai corsi di specializzazione per professionisti”[8].

 

   

Dalla crescita alla responsabilità ecologica

 

         “Una fra le caratteristiche più vistose delle economie di oggi, tanto capitalistiche quanto comuniste, è l’ossessione per la crescita. Crescita economica e tecnologica, sono viste come essenziali praticamente da tutti gli economisti e politici, anche se oggi dovrebbe essere abbondantemente chiaro che un’espansione illimitata in un ambiente finito può condurre solo al disastro”[9]

Tra i fattori di irresponsabilità che angustiano il nostro tempo, uno dei principali (se non il principale) è l’ossessione per la crescita, diventata nella nostra età un’ideologia trasversale e superpotente, in grado di inglobare le altre ideologie: “…per prendere a prestito l’espressione di Marx, è diventata l’oppio dei popoli”[10].

In realtà, precisa Capra, la crescita economica e tecnologica di per sé non migliora la qualità della vita delle persone e delle comunità: tutt’al più, aumenta i livelli quantitativi della produzione e dei consumi, che è tutt’altra cosa. Il sistema della crescita, per riprodursi, è obbligato a investire somme enormi nella pubblicità, al fine di condizionare i consumatori verso abitudini di vita capricciose e dissipatrici, incentrate sullo spreco metodico, sull’usa e getta e sul consumo di beni tutt’altro che necessari.

Gli economisti asserviti al sistema della crescita tentano di giustificare questa folle corsa, sostenendo che essa sarebbe indispensabile per far arrivare una frazione della ricchezza prodotta anche ai poveri del mondo: ma “questo modello della crescita per filtrazione è stato dimostrato irrealistico già da molto tempo. Alti tassi di crescita non solo non danno un grande contributo alla soluzione di problemi sociali e umani pressanti, ma in molti paesi sono andati di pari passo con una crescente disoccupazione e con un generale deterioramento delle condizioni sociali”, ripete Capra citando Hezel Henderson[11].

In definitiva, la crescita illimitata non solo non può mantenere quanto di buono aveva promesso: in più, comporta gravi effetti collaterali sempre più devastanti.

“La conseguenza più grave di una crescita economica continua è l’esaurimento delle risorse economiche del pianeta”: continuando così, a pericolo di esaurimento non è solo il petrolio, ma anche il gas naturale, il carbone, i metalli, le foreste, l’ossigeno, l’ozono…[12]

Il fosco quadro della crescita economica[13] è poi complicato da altri fenomeni significativi, quali l’esplosione demografica su scala mondiale e la fede nelle soluzioni tecnologiche. In entrambi i casi, siamo di fronte a processi di espansione (demografica, tecnologica…) che appartengono alla medesima super-ideologia della crescita, la quale trova applicazioni in campi diversi, che spesso si rafforzano a vicenda. Questa sinergia è ben evidente per quanto riguarda il versante economico e quello tecnologico della crescita: la fede nella crescita tecnologica cerca di compensare gli squilibri dovuti alla crescita economica. In quest’ottica fideistica, si cerca di rimediare alla crisi energetica sviluppando tecnologie e centrali nucleari; si cerca di compensare l’incapacità politica, sviluppando tecnologie belliche più potenti per risolvere i problemi con la forza; si cerca di arginare la diffusione delle malattie correlate all’inquinamento ambientale, sviluppando tecnologie medicali e farmaceutiche sempre più aggressive…

“ La crescita economica, nella nostra cultura, è inestricabilmente connessa con la crescita tecnologica. Individui e istituzioni sono affascinati dai miracoli della tecnologia moderna e si sono convinti che ogni problema abbia una soluzione tecnologica”[14].

Così facendo, cioè “ricercando soluzioni tecnologiche a tutti i problemi, non facciamo altro che spostarli un po’ più in là nell’ecosistema globale, e molto spesso gli effetti collaterali della soluzione sono più dannosi del problema originario”[15].

Tutta questa ossessione per lo sviluppismo economico e tecnologico, costi quel che costi, finisce per incrementare una tecnologia unilaterale, invasiva e prepotente, “incline alla manipolazione e al controllo, anziché alla cooperazione, autoassertiva anziché integrativa, e adatta a un’organizzazione centralizzata più che a un’applicazione regionale per opera di individui e di piccoli gruppi. Di conseguenza questa tecnologia è diventata profondamente antiecologica, antisociale, malsana e disumana”[16].

Di fronte al fallimento delle soluzioni affidate alla prepotenza economica e tecnologica, a maggior ragione Capra ritiene che sia necessario tentare un’opera capillare di ecoalfabetizzazione, per uscire dalla crisi globale che attraversa la nostra civiltà.

 

 

Per una consapevolezza ecofilosofica: i cicli naturali quali modelli di sostenibilità

 

 “…gli ecosistemi si sono organizzati in modo da sviluppare al massimo la sostenibilità. Questa saggezza della natura è l’essenza della formazione ecologica”

                     (F. Capra, Conferenza di Liverpool, 20-3-1999)[17].

 

Gli obiettivi formativi e contenutistici dell’ecoalfabetizzazione sono molteplici, essi riguardano:

-   i principi organizzativi degli ecosistemi e delle comunità sostenibili;

-   i cicli della natura, in quanto modelli alternativi alla crescita;

-   l’interconnessione che forma la rete della vita;

-   l’approccio olistico o sistemico;

-   il superamento della scienza riduttivistica di derivazione cartesiana;

-   la rivalutazione di antiche saggezze, ecofilosoficamente orientate;

-   il superamento dell’ecologia superficiale, in direzione dell’ecologia profonda.

 

Gli ecosistemi sono entità complesse, in cui convivono popolazioni di esseri molto diversi: animali, vegetali, umani, microrganismi…Essi sono relazionati in modo da formare delle vere e proprie comunità sostenibili, che ovviamente non sono state progettate dall’uomo, ma sono il risultato della saggezza della natura, durante millenni di attività. Proprio per questo l’uomo non può pretendere di direzionare a suo arbitrio i fenomeni naturali (pretesa ben presente nella propensione antropocentrica della modernità): piuttosto, egli deve imparare la sostenibilità, ricavandola dal funzionamento dei processi naturali, come dicevano anche le antiche saggezze eco-spirituali di ogni dove. Queste saggezze, ben radicate nella vita cosmica universale, avevano piena consapevolezza della struttura ciclica della natura: il fluire degli eventi naturali, era sempre letto come un ciclo macro o microcosmico, secondo i casi.

La nozione di “ciclo”, anche a volerla considerare nel modo più semplice, permette di apprezzare l’abissale distanza che intercorre tra le antiche saggezze cosmocentriche e il punto di vista sviluppista dei fautori della crescita. Il ciclo, infatti, non esclude la crescita in quanto tale, poiché in natura è normale constatare fenomeni di crescita: solo che questi ultimi sono momenti di un processo più ampio, che nella sua completezza include anche momenti di decrescita, di declino e di morte. Ciò è constatabile nella vita delle società umane, così come nella vita vegetale e perfino in quella dei più piccoli organismi. Secondo Eraclito, i Pitagorici, i Platonici e gli Stoici (tanto per restare in Occidente), l’intera vita cosmica avrebbe andamento ciclico.

Invece l’ideologia della crescita vorrebbe annullare il carattere normale, cioè ciclico, dell’esistenza, e sostituirlo, almeno per quanto concerne le società umane, con un percorso lineare volto alla crescita illimitata: questa anomalia caratterizza la civiltà moderna e contemporanea, che proprio per questo si distingue dalle precedenti civiltà, rispetto alle quali vanta pretese di superiorità.

Abbiamo già visto, inizialmente, quali siano i contraccolpi e i rischi epocali, dovuti all’assolutizzazione della crescita: l’ecoalfabetizzazione, sostenendo che dobbiamo imparare dai cicli della natura, ammonisce circa l’impossibilità della crescita illimitata ed educa al senso del limite, in campo economico come in altri.

L’ecoalfabetizzazione insegna anche che tutto è relazionato, e che non si può separare un fattore (per esempio quello economico) da tutti gli altri, come fanno gli economisti sviluppisti, che esaltano in modo unilaterale la crescita economica, senza considerare (o comunque minimizzando) i gravi effetti negativi che essa comporta: è evidente che la formazione ecologica, o meglio ancora ecofilosofica, promuove una ampiezza di visione tesa a superare qualsiasi approccio settoriale e riduttivista.

Secondo Capra, così facendo operiamo all’interno di un pensiero post-cartesiano che pensa in termini di connessioni e contesto (e non più dunque in termini quantitativi e analitici). Lo si può anche denominare “pensiero sistemico”, proprio perché privilegia il sistema, formato dalla rete complessa delle varie relazioni, e non le singole unità costitutive. Si tratta di una tendenza a tutt’oggi minoritaria nel panorama scientifico, ma destinata a diventare sempre più importante e a mettere alle corde il vecchio paradigma scientifico ancora dominante e però in declino perché incapace di porre rimedio ai gravi squilibri (ambientali e non solo) di cui è corresponsabile.

Tale tendenza scientifica post-cartesiana non è per altro una novità assoluta: essa si ispira al principio secondo cui “la natura del tutto è sempre diversa dalla pura e semplice somma delle sue parti”, che è un vecchio principio olistico tipico di molte saggezze tradizionali, d’Occidente, d’Oriente e di ogni dove; in tali saggezze, l’olismo è sempre combinato con ciò che Capra chiama “pensiero sistemico”: infatti esse vedono il cosmo intero e gli esseri che vi sono ospitati come un grandioso intreccio di enti ed eventi, i quali sono tutti correlati tramite un legame unitivo universale, tramite la potenza attrattiva della simpatia cosmica: immagini che sono frequenti nella filosofia greca e specialmente nel Platonismo il cui punto di vista è ben delineato da Proclo quando scrive che “nel cosmo si contempla un intreccio indissolubile, una comunione universale fra tutti gli esseri”[18].

Sono facilmente intuibili le analogie con la “rete della vita” di F. Capra[19].

Si tratta perciò di rivisitare, ed eventualmente rimodellare, tali saggezze, nella misura in cui presentano contenuti e insegnamenti direzionati verso un paradigma spirituale, ecologico, scientifico, etico valido per il contesto problematico dei nostri tempi.

 

 

Dall’ecologia superficiale all’ecologia profonda

 

A questo riguardo, Capra fornisce un’ulteriore precisazione che merita un approfondimento: egli esclude che il paradigma adatto alla crisi attuale possa seguire i criteri dell’ambientalismo superficiale, poiché quest’ultimo “è interessato a un controllo e a una gestione più efficienti dell’ambiente naturale a beneficio dell’uomo”[20], e quindi è pienamente funzionale alla logica antropocentrica, efficientistica e produttivistica che oggi imperversa.

La formazione ecofilosofica deve direzionarsi invece verso l’ampia prospettiva dell’ecologia profonda[21], perché essa “riconosce che l’equilibrio ecologico esige mutamenti profondi nella nostra percezione del ruolo degli esseri umani nell’ecosistema planetario…L’ecologia profonda è sostenuta dalla scienza moderna e in particolare dal nuovo approccio sistemico, ma è radicata in una percezione della realtà che va al di là della cornice scientifica per attingere a una consapevolezza intuitiva dell’unità di ogni forma di vita, dell’interdipendenza delle sue molteplici manifestazioni”[22].

Di seguito Capra aggiunge che l’ecologia profonda (benché l’espressione sia stata coniata nel corso del XX secolo) “non è qualcosa di completamente nuovo ma è stata esposta molte volte nel corso della storia umana”[23]. Molte saggezze premoderne infatti hanno proposto insegnamenti che oggi possiamo inventariare come “ecologia profonda”: Capra manifesta particolare simpatia per il Taoismo (“una fra le espressioni più profonde e più belle di saggezza ecologica”), per altre correnti orientali[24], per Eraclito, per S. Francesco, per Spinoza, per M. Heidegger, per la cultura nativa americana, per i poeti Walt Whitman e Gary Snyder….

Egli ne ricava che “il movimento dell’ecologia profonda non sta quindi proponendo una filosofia interamente nuova, ma si limita a richiamare in vita una consapevolezza che è parte della nostra eredità culturale”[25].

Si tratta di una conclusione pienamente condivisibile; per quanto riguarda l’eredità culturale occidentale (cosa di cui abbiamo già fatto cenno), si potrebbero coinvolgere varie altre tendenze filosofiche ad orientamento cosmocentrico (quanto meno Pitagora, Parmenide, Platone e il Neoplatonismo…), così da arricchire il quadro riguardante la nostra eredità.

Inoltre, poiché l’ecologia profonda presuppone il rispetto per tutti gli esseri (e non solo per gli umani), ne discende un’etica compassionevole e non-antropocentrica, quale ingrediente indispensabile di quel nuovo paradigma auspicato da Capra[26].

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Riflettendo sulla necessità e sulla portata dell’ecoalfabetizzazione, sono stati raccolti e accostati una serie di fattori significativi quali l’ecologia profonda, l’etica non-antropocentrica, la decrescita, la sostenibilità, la scienza post-cartesiana, l’olismo…inoltre, è stato perorato il dialogo costruttivo tra antiche saggezze e culture non omologate del mondo contemporaneo.

La diffusione di tutti questi elementi tramite l’ecoalfabetizzazione, e la loro integrazione, saranno condizioni sufficienti per configurare una nuova civiltà, sostenibile e armoniosa?[27]

 



[1] Pubblicata in F. Capra, Ecoalfabeto, Stampa Alternativa, 2005.

[2] F. Capra ritiene, giustamente, che ogni visione del mondo sia associata ad un conseguente atteggiamento nei riguardi della natura; ciò vale, per esempio, anche per il Medio Evo e l’età moderna: “Il mutamento drastico nell’immagine della natura da organismo a macchina ebbe un forte effetto sugli atteggiamenti della gente nei confronti dell’ambiente naturale. La concezione organica del mondo propria del Medioevo aveva implicato un sistema di valori sfociante in un comportamento ecologico” (Il punto di svolta, Feltrinelli, 1990, pag. 53).

Di seguito, a sostegno di ciò, cita un brano di Carolyn Merchant: “L’immagine della Terra come organismo vivente e alma madre svolse la funzione di una limitazione culturale nel contenere entro certi confini le azioni degli esseri umani…Finché la Terra fu considerata viva e sensibile, il compimento di atti distruttivi contro di essa poteva esser riguardato come una violazione di un comportamento umano etico”.

Le considerazioni di C. Merchant si adattano in modo eminente alle concezioni antiche, se non arcaiche, della Terra vista come divinità primordiale, spesso chiamata Gaia o Gea.

[3] “Da Francesco Bacone in poi, il fine di molti scienziati è stato il dominio sulla natura e il suo sfruttamento” (F. Capra – D. Steindl-Rast: L’universo come dimora. Feltrinelli, 1993, pag. 42).

[4] “La visione cartesiana dell’universo come sistema meccanico fornì una sanzione scientifica alla manipolazione e allo sfruttamento della natura che erano diventati tipici della cultura occidentale” (Il punto di svolta, op. cit., pag. 53).

[5] “Galileo Galilei bandì la qualità dalla scienza, restringendo quest’ultima allo studio dei fenomeni che potevano essere misurati e quantificati…la nostra ossessione per la quantificazione e la misura ha anche richiesto un tributo pesante”.

A questo proposito, Capra propone una citazione dello psichiatra R. D. Laing: ”Il programma di Galileo ci offre un mondo morto: vista, udito, gusto, tatto e odorato perdono ogni attendibilità…Negli ultimi quattrocento anni non è accaduto nulla che abbia cambiato il nostro mondo più dell’audace programma di Galileo. Dovevamo distruggere il mondo in teoria prima di poterlo distruggere nella pratica” (F. Capra, La rete della vita, Sansoni, 1998, pag. 29 – 30).

[6] “L’intera elaborazione della scienza meccanicistica nei secoli XVII, XVIII e XIX, compresa la grande sintesi di Newton, non furono altro che lo sviluppo dell’idea cartesiana” (Il punto di svolta, op. cit., pag. 53).

[7] “La visione del mondo meccanicistica cartesiana ha esercitato una rigorosa influenza su tutte le nostre scienze e sul modo di pensare occidentale in generale. Il metodo della riduzione di fenomeni complessi a elementi basilari e della ricerca dei meccanismi con cui questi elementi interagiscono, è ormai così profondamente ingranato nella nostra cultura che è stato spesso identificato col metodo scientifico…In conseguenza di questo accento dominante posto sulla scienza riduzionistica, la nostra cultura è andata progressivamente frammentandosi e ha sviluppato tecnologie, istituzioni e stili di vita che sono profondamente malsani” (Il punto di svolta, op. cit., pag. 194).

[8] F. Capra, La sfida del nostro tempo (in www ariannaeditrice.it/articolo 3067. Fonte: innernet.it).

[9] Il punto di svolta, op. cit., pag. 176.

[10] Il punto di svolta, op. cit., pag. 177. E’ il caso di sottolineare che il capitolo VIII di questo testo è intitolato Il lato oscuro della crescita (pag. 194 – 218).

[11] Vedi Il punto di svolta, op. cit., pag. 178.

[12] Vedi Il punto di svolta, pag. 178, in cui Capra mette in particolare rilievo le ipotesi formulate a suo tempo dal geologo M. King Hubbert.

[13] Il quadro complessivo offerto dalla crescita è così inquietante, da indurre Capra a rappresentarlo come una specie di crescita cancerosa: “…l’espressione crescita cancerosa è molto appropriata per definire la crescita eccessiva delle nostre città, tecnologie e istituzioni sociali…le conseguenze di questa crescita cancerosa sono patologiche per i singoli individui, oltre che per l’economia e per l’ecosistema” (Il punto di svolta, pag. 327).

[14] Vedi Il punto di svolta, pag. 180.

[15] Il punto di svolta, pag. 180-181.

[16] Il punto di svolta, pag. 181.

[17] Ora pubblicata in F. Capra, Ecoalfabeto, op. cit.

[18] Proclo, Teologia platonica, libro VI, cap. 4. Poco prima, Proclo aveva anticipato che “il Tutto è tenuto insieme per mezzo dei legami indissolubili”. Nel successivo cap. 5, ribadisce che gli dei “rendono tutte le cose simpatetiche e amiche e sodali le une con le altre”: a cercare in Proclo e in altri neoplatonici immagini che suggeriscono la “rete della vita”, non c’è che l’imbarazzo della scelta.

Giamblico, un altro neoplatonico, si esprime così: “A dire dei sapienti, ciò che tiene insieme il cielo e la terra, gli dei e gli uomini, sono le relazioni, l’amicizia, il rispetto” (Protrettico, 19). Tali sapienti potrebbero essere i Pitagorici (come sostengono E.R.Dodds e altri interpreti contemporanei), o anche rappresentanti di saggezze arcaiche: in ogni caso, la “rete della vita” era ben nota già prima di Platone!

[19] “La trama della vita è, naturalmente, un’idea antica, che è stata usata da poeti, filosofi e mistici in ogni epoca per trasmettere il senso dell’intreccio e dell’interdipendenza di tutti i fenomeni. Una delle sue espressioni più belle si trova nel celebre discorso attribuito a Capo Seattle…” (F. Capra, La rete della vita, op. cit., pag. 46).

Siamo perfettamente d’accordo. Naturalmente, espressioni equivalenti si possono rintracciare anche nelle antiche saggezze e filosofie occidentali, cui abbiamo già accennato.

[20] Il punto di svolta, op. cit., pag. 340.

[21] Nelle “conversazioni tra scienza e spiritualità” con Steindl-Rast e Matus, Capra ribadisce: “Nell’ultimo ventennio è emersa una distinzione di grande utilità, la distinzione tra ecologia profonda ed ecologia superficiale. Nell’ecologia superficiale gli esseri umani sono posti al di sopra e al di fuori della natura e, ovviamente, questa prospettiva si accorda con il dominio sulla natura. Il valore è visto come qualcosa che risiede negli esseri umani; alla natura si attribuisce esclusivamente un valore d’uso, un valore strumentale. L’ecologia profonda vede gli esseri umani come parte integrante della natura, come nient’altro che un filo speciale nel tessuto della vita” (L’universo come dimora, op. cit., pag. 94).

[22] Il punto di svolta, op. cit., pag. 340.

Emanuele Severino, commentando l’interdipendenza universale teorizzata da Capra, si è spinto a sostenere che lo stesso Capra e altri scienziati come lui, dovrebbero quindi appoggiarsi a Hegel, “il maggiore alleato di quegli scienziati che guardano verso l’antica saggezza dell’Oriente per il motivo che vi trovano affermato il principio dell’interdipendenza e dell’interconnessione di tutte le parti e quindi il principio dell’unità degli opposti…Il principio che proprio nella dialettica hegeliana trova la sua espressione più formidabile” (Fenomeni della fisica e pensiero orientale, in Corriere della Sera del 4-1-1983).

Severino non si accorge che Capra (e altri come lui) ha formidabili motivi per preferire l’ecologia profonda e ignorare la filosofia hegeliana; citiamone alcuni:

-la dialettica hegeliana prevede l’assolutizzazione della ragione (nel mentre Capra rivaluta facoltà come l’intuizione, notoriamente disprezzata da Hegel);

-la dialettica hegeliana conduce ad un sistema concettuale chiuso e dogmatico (non compatibile con l’approccio aperto e libertario di Capra);

-la dialettica hegeliana comporta la supremazia totale dello spirito, che per Hegel si riduce al mondo umano, e la svalutazione totale della natura (mentre Capra ritiene addirittura che dobbiamo imparare da “quei principi organizzativi che la natura stessa ha sviluppato al fine di sostenere la rete della vita” (Vedi la prefazione a La scienza della vita, Rizzoli, 2002);

-la filosofia hegeliana presuppone un’esaltazione tipicamente moderna dell’attivismo, poiché il reale non è visto essenzialmente come Essere, bensì come Attività: ne discende un’ossessione iperattivistica, in linea con l’ideologia della crescita, ma in contrasto con la simpatia di Capra per le saggezze contemplative d’Oriente e d’Occidente. 

[23] Giustamente, Capra intravede un legame significativo con la philosophia perennis: “Perciò non sorprende che la nuova visione della realtà che sta emergendo, basata su una consapevolezza ecologica profonda, sia coerente con la cosiddetta filosofia perenne delle tradizioni spirituali” (La rete della vita, op. cit., pag. 18).

[24] “Penso che l’ecologia, più esattamente l’ecologia profonda, sia un po’ la versione occidentale del misticismo orientale. Non è altro che il raccordo diretto con la natura, la consapevolezza che facciamo tutti parte di una realtà più grande comune, il riconoscimento di una interdipendenza tra tutti gli esseri senzienti e non del pianeta” (Intervista a F. Capra presso l’Università di Siena, ora nella rivista Aam Terra Nuova, settembre 2005).

[25] Il punto di svolta, op. cit., pag. 340.

[26] “…sottolineai come la scuola filosofica dell’ecologia profonda – che vede gli esseri umani nella loro inscindibile unione con la natura, e riconosce il valore intrinseco di ogni forma di vita – fosse in grado di fornire al nuovo paradigma scientifico un contesto filosofico (ma potremmo anche dire spirituale) ideale” (Prefazione di F. Capra a La scienza della vita, op. cit.).

En passant, ricordiamo anche che il I capitolo de La rete della vita è significativamente intitolato Ecologia profonda-un nuovo paradigma.

[27] Attendendo e auspicando un grande mutamento paradigmatico a livello globale, nell’immediato Capra valorizza quelle esperienze, sia pur locali, che possono anticipare o far presagire trasformazioni di maggiore ampiezza: “Credo che il movimento degli ecovillaggi sia molto importante. Penso che ci sia la necessità di esperienze che diano un esempio di come possa essere una società ecosostenibile…E’ fondamentale mostrare a tutti che queste nuove soluzioni sono realistiche e realizzabili” (Intervista a F. Capra presso l’Università di Siena, ora nella rivista Aam Terra Nuova, settembre 2005).