La fine del Racconto
di Enrico Vanzina - 13/03/2016
Fonte: Enrico Vanzina
Oggi voglio parlare di una rivoluzione che sta cambiando in maniera drammatica il mondo nel quale siamo cresciuti. Non si tratta dei telefoni cellulari, dei computer, delle staminali, delle modificazioni genetiche, ma di una cosa solo apparentemente marginale. E che invece non lo è. Sto parlando della fine del Racconto. Quella forma di comunicazione, scritta e orale, con la quale l’umanità ha tramandato il suo sapere, le sue scoperte e soprattutto la sua interpretazione dell’esistenza. Il racconto è stato alla base del pensiero antico e moderno dall’Odissea, alla Bibbia, al Corano, alla Divina Commedia, alla grande letteratura moderna. Noi siamo quello che abbiamo udito raccontare a scuola e dai nostri genitori. E siamo quello che i libri, i film, il teatro, le opere liriche ci hanno raccontato mentre crescevamo.
Il racconto, che è uno svolgimento complesso di fatti in progressione, ha retto l’estetica di tutto il patrimonio intellettuale del nostro pianeta. E per racconto considero le narrazioni tribali, le saghe religiose, le cronache storiche, così come le storie di fantasia di Mark Twain, di Borges o di Maupassant. Tutto questo, però, sta morendo. Tra qualche anno non ci saranno forse più umani capaci di usare le tecniche del racconto. Si parlerà, si leggerà e si comunicherà con abbreviazioni essenziali. Uno scenario raccapricciante.
Come mai sta accadendo tutto questo? Accade perché le nuove generazioni non sono più abituate a concentrarsi sulla struttura di una storia. Oggi i ragazzi fanno apparentemente (e molto superficialmente) cinque cose insieme: studiano, chattano, navigano, mandano messaggi (su Whatsapp, Messenger, sms…), guardano la tv (dove, magari giocano alla playstation), tutto allo stesso tempo. Sicuramente qualche fanatico teorico del modernismo dirà pure che questa attenzione “multitasking” va letta in positivo perché deriva da innovazioni tecnologiche che si stanno velocizzando la vita. Ma non è così. Questa frammentazione dell’attenzione impedisce ad una storia compiuta di essere percepita e seguita nella sua sequenzialità. Non a caso i ragazzi di oggi guardano i film partendo dai trailer e dai pochi secondi che trovano su YouTube. Giudicano un film su cortissimi spezzoni. I loro idoli sono artisti che si cimentano in scenette brevi, ripetitive, senza capo né coda. Tra qualche anno avremo intere generazioni che non saranno più in grado di leggere un vecchio (e grande romanzo) perché non ne avranno più gli strumenti né la disposizione mentale necessaria. Al limite, sapranno che cos’è solo leggendo il riassunto su Wikipedia. Che orrore.
Ma la cosa peggiore sarà quando toccherà a loro dover “raccontare” qualcosa: andranno a tentoni, iniziando sempre con il loro imbarazzante “niente”, già in uso da qualche anno, narreranno a strappi, a schegge, senza filo logico unitario, senza quei passaggi descrittivi che rendono il piacere della conversazione qualcosa di irrinunciabile.
Sono stato a vedere a teatro una commedia di grandissimo successo. La gente rideva a crepapelle. Ma non si rendeva conto che il pur bravissimo protagonista aveva rinunciato a raccontare una storia teatrale. In realtà, si limitava a monologare, come in tv, come al cabaret. Spezzoni di realtà, brevi e senza cuciture logiche. Alla fine gli ho pure battuto le mani, perché lui è un artista con grande talento comico. Ma io ero triste dentro. Per assecondare i tempi moderni anche quell’artista aveva ucciso il Racconto. E penso che il futuro sarà così. Con nulla da ricordare…