Cinquanta sfumature di mercato
di Eugenio Sibona - 20/03/2016
Fonte: L'intellettuale dissidente
Dopo il crollo del muro, pensavamo che il comunismo fosse fallimentare e il capitalismo l’unica alternativa possibile. Poi, con la crisi del 2008 abbiamo cominciato a considerare la tesi opposta, cioè che anche il liberal-capitalismo fosse fallace. In realtà, la verità sta nel mezzo, per vari motivi: alcuni storici, altri dovuti alle caratteristiche dei mercati. La situazione più favorevole è dove si trova l’equilibrio maggiore (quello perfetto è quasi inesistente) tra costi, qualità e informazioni disponibili. Vediamo quindi alcuni esempi per capire il concetto di base.
Da sempre, il libero mercato per eccellenza è quello sotto casa. Puoi anche fidelizzarti a un commerciante particolare che ti tratterà in amicizia, ma la differenza la fai tu. Lui ti può dire quello che vuole, però i prezzi sono esposti e tu puoi tranquillamente esaminare i prodotti e scegliere quello che preferisci. Non ci vogliono particolari conoscenze: (col guanto) puoi toccare, guardare e persino annusare per capire se e quali sono i prodotti freschi e quali no. I quali sono generalmente genuini, almeno più di altri. Spesso ci sono anche appositi marchi di garanzia che attestano un controllo della qualità.
Una via di mezzo sta nelle telecomunicazioni. Ci sono diversi prezzi e diverse funzionalità, ma oggi non dobbiamo più essere tutti ingegneri per trovare l’articolo migliore: possiamo vedere recensioni e tutorial di Youtube, per capire quale può essere il più congeniale. Inoltre, una volta avevi per forza bisogno di un tecnico per risolvere eventuali problemi: adesso, invece, grazie ai vari forum siamo più pratici e “smanettoni”. Infine, statisticamente, le aziende di questo settore, l’ICT (Information Computer Technology), sono rinomate per essere i migliori ambienti professionali dove si lavora tanto e duramente, però in compenso vengono esaltate meritocrazia e creatività dei dipendenti.
La vera libertà del mercato consiste nel poter scegliere, per esempio, tra un programma gratuito ma limitato, come OpenOffice, oppure acquistare un programma con maggiori utilità, come il pacchetto Microsoft: devo pagare per ricompensare chi l’ha programmato, perché anche lui è gravato dalle sue spese personali. Discorso a parte il mondo Apple, che fornisce prodotti sicuramente buoni, ma in cui la metà del prezzo è solo per il logo: la famosa mela. Il mercato peggiore – e il più selvaggio – è quello bancario: per capire e stipulare coscientemente contratti e investimenti, dovremmo davvero essere tutti laureati in economia e giurisprudenza. Spesso, infatti, ci si affida – e si viene traditi – da professionisti che abusano della nostra buonafede, necessità e ignoranza tecnica per affidarci prodotti con clausole “vessatorie” lunghe e incomprensibili. Infine, inversamente al lavoro nelle ICT, è proprio il settore dove la gente è più frustrata, in quanto spesso sa di dover vendere prodotti di bassa qualità e si licenzia, perché stanca di stare col fiato sul collo del capo che controlla non solo se vendi, ma anche se vendi quanto decide lui. Purtroppo, in questi ultimi casi, c’è ovviamente il gioco dello scaricabarile, dovuto a un pregiudizio intellettuale: i liberisti difendono il mercato e sostengono che sarebbe colpa dell’inefficienza del regolatore. Ma quest’ultimo chi lo influenza, se non le lobby di professionisti e imprenditori che, per ottenere regole e norme a proprio vantaggio, finanziano o appoggiano i legislatori? Infatti, in Italia la quota di detenuti condannati per reati finanziari è lo 0,6% contro una media europea del 6 %. Inoltre, quando emergono problemi, assistiamo a conflitti tra le varie Autorità di vigilanza, Banca d’Italia e Consob, che si rimpallano le responsabilità: io te l’ho detto, tu non mi hai letto, tu non me l’hai detto bene, io te l’ho detto ma te ne sei fregato, eccetera…
Quindi è inutile fare i manichei affermando categoricamente che il libero mercato o è un bene o un male, perché si tratta di una realtà con diverse sfumature a seconda dei beni in oggetto. Per quelli fisici, c’è generalmente una concorrenza sana che è alla nostra portata di comprensione, anche sulla base della nostra sensibilità. Io non posso modificare il tempo, per variare il numero di piogge e di frutta raccolta. Inoltre, se io un giorno acquisto mille mele, ciò non andrà a discapito di un’altra persona, che potrà acquistare tranquillamente da un altro fruttivendolo. Per quelli virtuali, invece, si fa riferimento a eventi casuali e speculativi, che noi non possiamo controllare, perché non fanno riferimento a una produzione basata sulle effettive capacità di qualche individuo. Nemmeno un esperto del settore è sicuro del futuro: in base a calcoli matematici può dare suggerimenti, immaginare come il mercato potrebbe evolvere, ma basandosi sulla fiducia, perché l’azione arbitraria di un singolo può cambiare tutto. Ed è qui che, ancora, attendiamo regole che tutelino la trasparenza e la reale applicazione delle sanzioni. Alla Camera dei deputati è stato dato il primo sì al ddl sulla concorrenza. Ovviamente pieno di regole oscure e inefficaci. I politici si stanno dando da fare per correggerlo? Ovviamente ristagna da mesi al Senato: si discute, si parla, si obietta, si emenda. E poi si getta la spugna con gran dignità: e io pago! Chi ci rimette siamo sempre noi.