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Le due facce dello stato moderno

di Francesco Lamendola - 05/04/2016

Fonte: Il Corriere delle regioni


 


 

Se in un certo mese dell’anno la busta paga della bandante di vostra mamma superava i 1.000 euro, anche di una sciocchezza, non potevate dare all’interessata i soldi in mano: bisognava andare in banca e fare un bonifico a suo nome. Lo stato voleva sapere perché avevate pagato quella cifra e voleva che ne rimanesse documentazione scritta. Ora i limite è salito a 3.000 euro; ma è evidente che, al giorno d’oggi, non ci vuol molto per superare quella cifra, pur restando nell’ambito delle spese di ordinaria amministrazione. Non diciamo un’automobile nuova, ma anche solo una riparazione dell’automobile, supera facilmente tale cifra: ed ecco che lo stato vuol sapere che cosa avete fatto dei vostri, poniamo, 3.500 euro; vuole tenervi d’occhio. Da un lato, non gradisce l’eccessivo ricorso al contante, dall’altro vuole immagazzinare ogni informazione a vostro riguardo nella sua banca-dati, evidentemente ad uso controllo fiscale. Anche se è chiaro che chi spende e spande in yacht di lusso o, addirittura, nell’acquisto di supermercati e blocchi di case d’abitazione, non ha bisogno di staccare un assegno, ma possiede infinite maniera per eludere i controlli e non far sapere allo stato quel che sta facendo; mentre a dover rendere conto di qualche spesa anche solo un po’ superiore al normale sono e saranno sempre i soliti noti, gli onesti cittadini che hanno un modesto tenore di vita e la cui busta paga, se lavoratori dipendenti, o le cui entrate, se artigiani, commercianti o liberi professionisti con un modesto giro d’affari, non è certo un mistero per l’agenzia delle entrate. E, infatti, sono proprio quelli percentualmente più tartassati, fino ai limiti (e anche oltre i limiti) del latrocinio istituzionalizzato: perché non si può chiamare in altro modo un prelievo fiscale che si aggira sul 70% dei guadagni di un piccoli imprenditore, oltretutto in assenza di servizi pubblici anche solo lontanamente proporzionati ad esso.

Al tempo stesso, un cittadino può prendere l’aereo, andare in un altro Paese, farsi fare un bambino da una donna compiacente e tornare a casa col bebè da accudire amorevolmente insieme al proprio “compagno”. In uno Stato come l’Italia, la pratica della maternità surrogata non è legale, però è legale andare all’estero e usufruirne, poi tornare in Italia col bambino e con un certificato di paternità perfettamente in regola. La vicenda dell’ex governatore della Puglia, Nichi Vendola, appena tornato dalla California con Tobia Antonio, figlio del suo compagno Ed, ricorda a tutti che lo stato moderno consente, o, comunque, non ostacola in alcun modo, pratiche siffatte: come dire che lascia ai cittadini una libertà pressoché totale in materia di paternità, maternità e adozione di bambini. L’unico limite non è di natura legislativa – ormai si può fare tutto o, nella peggiore delle ipotesi, aggirare facilmente qualsiasi ostacolo giuridico – ma, come sempre è stato, e come sempre sarà, economico: dipende, cioè, dal portafogli dei cittadini interessati. Chi ha un portafogli ben fornito può concedersi qualsiasi cosa e realizzare qualunque “sogno”; chi non ce l’ha, deve rassegnarsi. Fra parentesi, è interessante che a difendere a spada tratta questo tipo di “diritti” siano proprio i seguaci delle ideologie di sinistra, progressiste, libertarie, neo-illuministe e neo-marxiste: è interessante perché ci era sempre stato detto che tali ideologie sono sorte per la difesa dei soggetti più deboli, più trascurati, più sfruttati. Si vede che chiedere a una donna donare il suo ovulo, e a un’altra donna di cedere in affitto il suo utero per fabbricare un figlio a qualcun altro, che poi se lo porterà via dietro pagamento in contanti, non è considerata una forma di sfruttamento. Ne prendiamo buona nota – sperando che facciano altrettanto tutte le persone che ancora sanno pensare con la loro testa - e proseguiamo nel nostro ragionamento.

Dunque, assistiamo ad una stridente contraddizione, almeno in apparenza: quello stesso stato che vuol sapere tutto di noi, che vuole controllare i nostri movimenti, che vuol sapere, ad esempio, come spendiamo i nostri soldi (e meno male che non sono di qualcun altro…), in altri ambiti è divenuto di manica larghissima: non ci proibisce quasi più nulla, o, se per caso ci proibisce qualcosa, ci fa sapere di essere più che disposto a chiudere occhi e orecchi se noi decideremo di aggirare tale proibizione spostandoci in uno stato più compiacente, e che poi, quando torneremo a caso, non dovremo render conto di nulla: occhio non vede, cuore non duole. Come mai? Eppure, lo stato moderno nasce da una esigenza di razionalizzazione, di controllo, di accentramento: nasce da una idea contrattualistica, nella quale i singoli soggetti cedono di buona voglia una quota della loro autonomia per ricevere, in cambio, assistenza e sicurezza. Tale è l’idea di Hobbes, di Locke e di Rousseau: cessione di libertà in cambio di protezione.

In effetti, la contraddizione è meno grave di quel che può sembrare: oseremmo anzi affermare che non vi contraddizione alcuna nel rapporto che si instaura fra lo stato moderno ed il singolo cittadino. Proviamo a spiegare perché.

Lo stato moderno nasce fra il XIV e il XVII secolo, ad opera delle monarchie nazionali che lottano, vittoriosamente, contro quel che restava degli antichi poteri feudali. Lo stato moderno, per trionfare della nobiltà e del clero, si allea, fin dall’inizio, con la classe nascente della borghesia, la quale non sembra avere delle proprie ambizioni in ambito politico, ma è solo desiderosa di libertà per i suoi commerci e per le sue operazioni finanziarie, invero sempre più spregiudicate e sempre più slegate dall’andamento dell’economia “reale”. Ma ecco che la borghesia incomincia a rendersi conto che la libertà economica non è sufficiente, se non si accompagna ad un ampio grado di libertà politica: nascono da ciò la Glorious Revolution inglese del 1688, indi la Rivoluzione americana e infine la Rivoluzione francese. In questo modo nascono le tre nazioni democratiche che si pongono quali “fari” e “guide” nei confronti dell’umanità, quali simboli del progresso e della stessa civiltà umana. Nelle prime due si riconosce l’impronta del pensiero di Locke e del liberalismo; nella terza, l’impronta di Rousseau e della sovranità popolare.

Dopo il 1789, è sembrato che a prevalere fosse il modello democratico, il modello giacobino e robespierrista, dominato dall’idea di “Virtù”, vale a dire dall’idea dello stato etico, che decide cosa è bene e cosa è male e lo impone ai cittadini (nel caso dei giacobini, “virtù” diventa un binomio inseparabile con “terrore”: perché i nemici della Virtù devono essere spazzati via mediante la politica del Terrore). Ma questa è stata solo l’apparenza delle rivoluzioni democratiche del XIX secolo, di cui possiamo considerare la Rivoluzione russa e quella cinese del XX secolo come un tardivo prolungamento, adattato a circostanze storiche locali molto specifiche, cioè molto diverse da quelle esistenti nel resto del mondo industrializzato. La verità è che lo stato etico si è via, via, sbarazzato della sua pesante armatura ideologica e ha finito per capovolgere la propria prospettiva, facendosi un vanto di eliminare il concetto stesso di etica pubblica e di instaurare l’etica soggettiva, ossia l’etica dei “diritti” (senza corrispondente doveri). In pratica, lo stato giacobino ha abdicato e si è fuso con l’altro modello, quello liberale, che, partito più in sordina, e, comunque, sviluppatosi in forme meno clamorose e meno cruente (ad esempio, senza ricorso alla ghigliottina), assai più si accordava alla filosofia di vita della classe che ne aveva reso possibile la marcia trionfale: la ricca borghesia dell’alta finanza e degli affari, non la borghesia in generale; non la piccola e media borghesia, le quali, tutto sommato, lo hanno più subito che voluto, e ne hanno ricavato- facendo un bilancio – forse più oneri che vantaggi.

Così, fra XIX e XX secolo si è instaurato lo stato moderno nella forma attuale: ossia pensato e strutturato in modo da consentire il massimo vantaggio all’alta finanza e alla grande impresa (anche quest’ultima sempre più impostata sul modello speculativo e non su quello produttivo), proprio come, fra XIV e XVII secolo, esso era stato pensato e strutturato in modo da assicurare il massimo potere alla monarchia assoluta. Ora, il problema dello stato moderno è che esso non serve più a quelle forze egoistiche che l’hanno creato e incrementato - l’alta finanza e la grande impresa - per il semplice fatto che l’una e l’altra si sono sempre più sviluppate su scala internazionale, e, pertanto, vedono nello stato nazionale, con le sue frontiere (laddove ancora sussistono) e con le sue “antiquate” legislazioni, un ostacolo alla totale libertà di speculazione e d’impresa, cui esse aspirano e della quale hanno bisogno per poter realizzare ulteriori profitti. Ed è per questo che stanno nascendo organismi super-nazionali, per ora soprattutto di natura economica e legislativa, ma che un domani saranno, secondo le loro intenzioni, anche di natura politica, nei quali l’alta finanza e la grande impresa avranno totale libertà di movimenti e potranno instaurare un governo planetario fatto su misura per loro, nonché un Nuovo Ordine Mondiale.

Ed ecco spiegata l’apparente contraddizione fra uno stato moderno che vuol controllare come spendono dieci o venti euro i propri cittadini, o, magari, come seppelliscono i loro morti (l’editto di Saint-Cloud pretendeva di disciplinare perfino le iscrizioni sulle lapidi tombali), e quello stesso stato che lascia libertà assoluta su questioni come la paternità, la maternità e l’adozione di bambini, con l’unico limite – come si è detto – della personale disponibilità finanziaria. È nella natura dello stato moderno quella di vedere il cittadino sotto due angolature diverse, ma complementari: il produttore-contribuente e il padrone assoluto di se stesso e della propria vita, purché rispetti le regole stabilite dallo stato medesimo, mediante la trasparente finzione della “volontà generale”, che è, puramente e semplicemente, la ratifica ipocrita della volontà della oligarchia al potere: alta finanza e grande impresa. E qui si saldano le due esigenze – quella del controllo sui cittadini e quella della libertà dei cittadini – in una forma tale da assicurare all’oligarchia plutocratica il massimo vantaggio sostanziale, e da lasciare alla massa dei cittadini il massimo della illusione di esercitare una propria libertà, anzi, addirittura una serie di libertà e tutta una casistica di diritti garantiti dallo stato medesimo, per “tutelarlo” contro qualsiasi terzo incomodo (per esempio, un ripensamento della madre surrogata che volesse far valere il suo diritto naturale di madre, cui ha rinunciato, nei confronti dei genitori adottivi, equiparati, nel frattempo, a genitori “naturali”).

Insomma: al cittadino dello stato moderno è stata tolta ogni cosa, tranne la libertà di fare tutto quel che vuole a livello personale, specialmente sessuale, e questo dopo averlo convinto, mediante una propaganda sottile e martellante, portata avanti praticamente da tutto l’apparato dell’informazione e della cultura “che conta”, che la libertà è la libertà da qualcosa e contro qualcosa (e non per qualcosa e per realizzare qualcosa), e che la libertà sessuale, essendo la libertà delle libertà, rappresenta la massima espressione di benessere, felicità e progresso per chiunque. Anche la libertà sessuale, peraltro, viene presentata, sì, come il massimo bene cui un individuo può aspirare, ma solo nelle forme stabilire dai poteri forti della finanza e dalla grande impresa. In questo momento, l’omosessualità viene reclamizzata al massimo grado e istituzionalizzata, sia mediante il matrimonio, sia mediante l’accesso alla genitorialità, perché ad essa si collegano una serie di pratiche (come, appunto, quella del’utero in affitto, o, nel caso di un coppia lesbica, quella della fecondazione eterologa) che sono molto costose e che, pertanto, rientrano nell’interesse di quei poteri forti, che saranno i primi a trarne un profitto. A questo proposito, le persone che militano nel campo dei “diritti” a tutto campo (come quello di due persone omosessuali di sposarsi formalmente e diventare genitori a pieno titolo), se sono in buona fede, dovrebbero farsi qualche domandina scomoda, a cominciare da questa: come mai il potere, lo stato, la finanza e l’industria, da sempre indicati da quell’area culturale come i nemici di classe, gli sfruttatori, il male che va combattuto e rimosso, sono tutti schierati dalla loro parte? E come mai la cultura progressista e di sinistra, storica protettrice dei deboli e dei poveri, riconosce la priorità al diritto di Nichi Vendola di essere padre, e non al diritto di una donna di non dover affittare il proprio utero per necessità economiche? Possiamo tuttavia essere certi che, se la prospettiva del profitto soffierà in una diversa direzione, il cinema, la televisione, la stampa e la cultura politically correct cominceranno a suonare una musica ben diversa e, invece di reclamizzare l’omosessualità come la migliore delle opzioni possibili, ritorneranno a magnificare la bellezza e il romanticismo dell’amore fra uomo e donna, magari con tanti bei bambini nati proprio da loro, e non ottenuti per via surrogata.

Del resto, lo stato, come lo abbiamo sinora conosciuto, sta per estinguersi. Le frontiere sono cadute o stanno cadendo; la cittadinanza diventa sempre più elastica; il senso di appartenenza si volatilizza; le monete nazionali scompaiono e la Borsa mondiale detta e riscrive le regole a suo piacere. Le persone, non le singole persone, ma le decine e le centinaia di  milioni, si spostano liberamente, senza trovare ostacoli: oltrepassano i “confini” ormai virtuali, si installano dove vogliono e come vogliono. Esse, però, non provengono da stati simili ai nostri, con culture simili alla nostra: hanno un’altra idea di cultura e un’altra idea di stato. Nei loro Paesi, uno come Nichi Vendola non fa una bella vita. E le femministe radical-chic dovranno rassegnarsi a non poter guidare l’automobile…