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Primo: ripulire le stalle di Augias (pardon, le stalle di Augia)…

di Francesco Lamendola - 05/04/2016

Fonte: Il Corriere delle regioni


 

 


 

Come è noto, la quinta delle dodici fatiche di Eracle (Ercole per i Latini) consistette nel ripulire, in un solo giorno, le stalle del re dell’Elide, Augia,  figlio di Elio, il cui bestiame era immortale, perché di origine divina, e quindi, da moltissimo tempo, il letame vi si era accumulato, crescendo in proporzione geometrica, senza che alcuno potesse o sapesse smaltirlo per tempo. Ercole portò a termine la sua fatica deviando il corso di due fiumi, l’Alfeo e il Peneo, le cui correnti fecero irruzione nelle stalle e portarono via, in un colpo solo, l’immane sporcizia e restituendo salubrità alla zona, prima infestata dal fetore e da sciami di mosche e altri animali immondi.

Il mito, peraltro, tramanda che Ercole non ricevette da Augia il compenso pattuito, ossia un decimo del bestiame, perché il re, disonestamente, sostenne di essere stato ingannato, dal momento che non Ercole, ma i due fiumi avevano condotto a termine il lavoro; e che anche un giudizio esterno, richiesto dall’eroe per dirimere la controversia, gli fu sfavorevole. Per soprammercato, suo cugino Euristeo, re di Tirinto e Micene - il quale lo aveva mandato a compiere le dodici fatiche perché espiasse l’uccisione della moglie e dei figli, compiuta in un momento di follia – non riconobbe la validità di essa e non la volle conteggiare al pari delle altre, col pretesto che Ercole non l’aveva compiuta in spirito di servizio, ma pretendendo in cambio un compenso.

Da allora, “ripulire le stalle di Augia” è divenuta una espressione proverbiale per designare un compito immane e ai limiti dell’impossibile, almeno secondo il metro delle forze umane (ed Ercole, infatti, non era un uomo, ma un semidio, figlio di Zeus e di una donna mortale, Alcmena); e specialmente di questi tempi, tempi di magnifiche sorti e progressive della modernità, e di grande sensibilità ecologista e ambientalista, si capisce che ripulire le stalle dal letame è una cosa che appare utile e necessaria, senza bisogno di ulteriori motivazioni e spiegazioni. Ma quali sono le stalle più sozze e più urgenti da ripulire; quali sono le stalle che più puzzano e ammorbano l’aria, e dalle quali è giusto incominciare, per bonificare l’ambiente in cui viviamo?

In primo luogo, ci sembra di dover osservare che c’è un tipo di ecologia ancora più urgente e ancora più necessaria di quella relativa alla sopravvivenza dell’ambiente esterno, fisico e materiale, della nostra cara, vecchia Terra; ed è l’ecologia di una terra a noi ancor più vicina e per noi ancora più necessaria, cioè la nostra mente e la nostra anima, inquinate da innumerevoli anni, decenni e secoli di trascuratezza, sentito dire, luoghi comuni, formule preconfezionate, cattive abitudini, sistematico lavaggio del cervello da parte della scuola, dell’università, della televisione, del cinema, dei giornali, della pubblicità (cfr. il nostro vecchio articolo: «L’ecologia della mente come presupposto dell’equilibrio spirituale», pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 06/09/2007).

Le stalle di Augias, dunque (pardon, le stalle di Augia), sporche fino all’inverosimile e  letteralmente seppellite sotto immani strati di letame, e nelle quali l’aria è resa irrespirabile per l’incessante accumularsi di annosa sporcizia, sono dentro le nostre menti: sono le nostre povere menti inquinate, ammorbate, avvelenate da una lunga abitudine alla trascuratezza intellettuale, al conformismo culturale e all’azione nefasta dei “poteri forti” a tutto interessati, tranne che alla nostra autonomia e dignità di persone, i quali, controllando praticamente l’insieme dei mezzi d’informazione e di comunicazione, sono riuscite a trasformare lo strumento della consapevolezza, l’intelligenza, in un deposito di escrementi maleodoranti: perché le verità mutilate, contraffatte e sconciate dalla menzogna, puzzano insopportabilmente. E, come suole accadere in tali casi, colui che vive immerso nel sudiciume e nel fetore, è l’ultimo a percepire quanto sia malsano il proprio ambiente e il proprio modo di vivere; è l’ultimo a sentire la propria puzza, anzi, per dire meglio, non la sente affatto.

Ed ecco la prima difficoltà veramente seria che si presenta ad un Ercole dei nostri giorni, il quale voglia provarsi a bonificare le moderne stalle di Augia: la totale mancanza di consapevolezza di coloro i quali vivono sprofondati nella sozzura, e, naturalmente, la loro pronta e sdegnata suscettibilità, se, per caso, qualcuno osasse anche solo sussurrare quel che loro soltanto non vedono e non sentono: che avrebbero bisogno di un bel bagno, e che i loro vestiti, i loro oggetti e le loro abitazioni andrebbero ripuliti e disinfestati in maniera radicale. Sporchi, loro? Puzzolenti, loro? Il minimo che possa accadere ad un tale Ercole contemporaneo, sarà di vedersi preso a coltellate dagli sdegnatissimi abitanti delle stalle di Augia: i quali, come è evidente, si credono i più belli, i più puliti, i più nobili e paludati esseri umani che mai siano vissuti al mondo, degni, semmai, non che di imparare, di insegnare agli altri che cosa siano la pulizia, l’igiene, il decoro, il buon odore e le buone maniere.

Ecco: questa è la difficoltà veramente immane e quasi insormontabile. Pazienza doversi sobbarcare un ciclopico lavoro di ripulitura, in perfetta solitudine, senza poter contare sull’aiuto di nessuno; ma, soprattutto, il doverlo fare non con il consenso e la (sperata) gratitudine di Augia, ossia del proprietario delle stalle, ma contro la sua volontà, o, come minimo, davanti alla sua diffidenza, al suo malvolere, alla sua suscettibilità tesa all’estremo e sempre pronta a scattare. Come aiutare qualcuno a ripulirsi, se costui ignora d’essere sporco? Come fargli capire che ha assolutamente bisogno di un bagno purificatore, se è convinto di profumare e di meritare, semmai, lodi e complimenti per la sua meravigliosa pulizia e per il suo smagliante lindore? Fuor di metafora: in una società di zombie, di rinoceronti, di bestioni puzzolenti, da dove incominciare, e come farlo, se ciascuno di essi si crede un Apollo, un Narciso, un Adone? E se, per giunta, anche l’ultimo di costoro, il più sciocco e volgare, il più stupido e presuntuoso, è convinto, fermamente convinto, di essere un Aristotele, una mente sopraffina, un giudice impareggiabile del vero e del falso, del giusto e dell’ingiusto, del bene e del male?

E nondimeno, bisogna che qualcuno lo faccia: qualcuno deve almeno provarci. Perché la puzza delle stalle di Augia è divenuta tale che, ormai, ne va della salute e della sopravvivenza stessa non solo degli abitanti dell’Elide, ma dell’intero pianeta nel quale ci è stato dato in sorte di vivere. Non esistono più luoghi puri e incontaminati; non esistono più luoghi nei quali la volgarità, l’imbecillità e la solerte (e solenne) asineria di quanti si ritengono desti e consapevoli, sapienti e intelligenti, giudici esperti del bello e del brutto, non arrivi a far sentire i suoi pestilenziali effluvi e a provocare le sue grottesche conseguenze. I miasmi e le potenziali epidemie che regnano nelle odierne stalle di Augias (scusate di nuovo, era stato un lapsus per “Augia”) hanno invaso l’orbe terracqueo e né al Polo Sud, né in fondo agli oceani o alla grotta più abissale che si possa immaginare, è ormai possibile sottrarsi ai loro effluvi micidiali.

Ad esempio: qualcuno riesce a farsi un’idea del danno immenso, sistematico, che uno di codesti dormienti che si credono svegli, di codesti conformisti che si credono liberi, di codesti polli di allevamento che si credono aquile o falconi, è in grado di fare, se il destino ha voluto che giungesse a sedere su una cattedra di liceo o di università, e metterlo, pertanto, in condizioni di influire disastrosamente sulla mente (e sul cuore) di centinaia o migliaia di studenti: tanti se ne possono rovinare, forse in maniera irreparabile, in quarant’anni di “onorato” insegnamento e di “stimata” carriera? Magari senza mai più aver preso in mano, non diciamo un libro, ma neppure un giornale (a parte, forse, la Gazzetta dello Sport, oppure, se si tratta di una insegnante di sesso femminile, Io Donna o Cosmopolitan, privilegiando l’oroscopo e la posta dei lettori), dopo il fatidico giorno della laurea o, al massimo, dell’esame di abilitazione – ammesso e non concesso che codesti professori siano passati in ruolo per concorso, e non per semplice forza d’inerzia?

E c’è qualcuno che arriva a farsi un’idea del danno immenso, incalcolabile – e, in questo caso, esiziale per la salute dell’anima, oltre che per l’integrità della mente – che può fare un prete progressista e modernista, il quale si senta investiti dal fuoco dello Spirito santo e si metta a predicare ai fedeli, dal pulpito, nonché al catechismo, rivolto ai bambini e ai ragazzi, che Gesù è stato solamente un uomo un po’ speciale; che non esiste alcuna certezza su Dio e sulla vita eterna; che non si dà alcuna verità etica o speculativa; che l’uomo è immerso nel caso e va verso il nulla o, al massimo, verso una vaghissima speranza, peraltro puramente umana; che il Vangelo è una raccolta di  miti o leggende, e che i miracoli, gli angeli, i santi, appartengono al regno delle favole, come Babbo Natale o la Befana? Che l’uomo ha in mano il proprio destino; che deve smetterla di pregare la Madonna; che deve guardare in faccia la “realtà” (relativista, materialista e nichilista); e che tutto quel che si chiede ad un buon “cristiano” è di essere accogliente e incondizionatamente, illimitatamente disponibile verso i migranti/invasori, verso gli emarginati/delinquenti, verso le minoranze “discriminate”/arroganti?

Infatti, nei loro microscopici cervelli di preti di sinistra, che non hanno capito niente del Vangelo e hanno scambiato quella contraffazione della bontà che è il buonismo, ossia un vizio capitale e dalle conseguenze terribili, per una virtù, costoro forse non si rendono nemmeno conto del sacrilegio che quotidianamente perpetrano, seminando scandalo e confusione nelle anime dei “piccoli” e dei “semplici” tanto cari a Gesù, e insuperbendo della loro “maturità” e della loro abilità nel “tradurre” il messaggio evangelico nei modi e nelle forme, e persino nei significati, al fine di renderlo compatibile con la mentalità del mondo moderno. Cosa che è perfettamente contraria all’esplicito mandato del Divino Maestro, il quale ha affermato, e continuamente ribadito, fino all’ultimo giorno della Sua vita terrena, che il Suo regno non è di questo mondo (e tanto meno, evidentemente, del mondo moderno: che è dichiaratamente anticristiano e post-cristiano): «Se il mio regno fosse di questo mondo – disse a Pilato, pochi minuti prima di affrontare la via Crucis, la via della Croce – i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».Sì, cari amici del “dialogo” col giudaismo e con le altre religioni che si riduce a relativismo e sudditanza: il vangelo di Giovanni dice proprio così, capitolo versetto 18, 36: «perché non fossi consegnato ai Giudei»);

Vi è chiaro il concetto, cari preti di sinistra alla don Gallo (pace all’anima sua) e alla don Barbero (ex don Barbero, visto che la Chiesa ha dovuto cacciarlo fuori)? Il Vangelo non lo fate voi, lo ha fatto Gesù Cristo con le sue parole e le sue azioni. E niente e nessuno riusciranno a distorcerne il significato sino a trasformarlo in una specie di breviario rivoluzionario e antiborghese, come voi vorreste, ma senza neanche avere il coraggio di dirlo chiaro e tondo, perché, vili come siete, non osate confessare che quel che vi manca non è la grazia della vita divina e soprannaturale, ma un’ideologia puramente umana, che la storia ha sbugiardato e affossato, il comunismo; e allora, simili a serpenti, vi intrufolate nelle pieghe della Chiesa, nei varchi incustoditi per la scarsità di vocazioni sacerdotali, e, senza averne l’aria, mordete e spargete ovunque il veleno della vostra interpretazione secolarizzata, politicizzata e comunisteggiante della Rivelazione divina, infettando le pecorelle del gregge che dovreste custodire.

Tale è lo stato dell’arte; tali sono le condizioni delle stalle di Augia dei nostri tempi, e che sono dentro di noi, dentro le nostre menti. Dobbiamo incominciare da noi stessi, questo è ovvio: dobbiamo levarci la trave dall’occhio, prima di avere la pretesa di levare il bruscolo dall’occhio altrui. Quanto conformismo, quanta ottusità, quanta falsa coscienza si sono installate, da padrone, nelle nostre menti, e vi regnano sovrane e incontrastate! Al lavoro, dunque, uomini di buona volontà! Ed è un lavorio davvero immane: umanamente parlando, diciamolo pure, impossibile. E siccome nessuno di noi è un semidio, come lo era Ercole,  non ci resta che chiedere l’aiuto di Dio: del Dio predicato da Gesù Cristo, Dio egli stesso; e non del Dio dei Gallo e dei Barbero, inventato da loro per la confusione delle anime e per lo scandalo del gregge. Ce n’è, di sporcizia da ripulire e di fetore da disperdere! Pure, serve uno scatto di consapevolezza: vogliamo seguitare a vivere così? A farci abbindolare, manipolare, prendere in giro, continuando, per giunta, a crederci bene informati e perfettamente in grado di capire, di valutare, di giudicare su tutto e su tutti, ma, in realtà, ripetendo come pappagalli ammaestrati un ritornello insensato e vergognoso? «Fatti non foste a viver come bruti – fa dire a Ulisse il padre Dante – ma per seguir virtute e conoscenza». Solo, non dobbiamo ripetere il suo errore, ma affidare il nostro ingegno a Dio, «perché non corra, che Virtù no’l guidi»...