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Osservando il mondo attraverso un mirino

di Noam Chomsky - 15/09/2006


Il conflitto israelo-palestinese può essere risolto attraverso una soluzione diplomatica se Israele e gli Stati Uniti abbandoneranno le proprie attuali politiche. Altri rilevanti problemi dell'area possono essere risolti attraverso le negoziazioni e, in generale, l'uso della diplomazia. Il successo non può essere garantito. Ma possiamo stare certi che osservare il mondo attraverso un mirino non porterà altro che ulteriori miseria e sofferenza

Oggi il Libano si trova di fronte a una piccola tregua, l’ennesima in un decennio contraddistinto da innumerevoli tentativi di cessate il fuoco tra Israele e i suoi avversari – protagonisti, ormai, di un ciclo che inevitabilmente torna sempre alla guerra, alla carneficina e alla miseria umana. Ma descriviamo la crisi attuale per quella che è: un’invasione israelo-statunitense del Libano, sotto il falso pretesto della legittimità. Tra tutte le responsabilità e le contro-responsabilità, l’elemento fondamentale dietro l’assalto è il conflitto tra Israele e Palestina.

È difficile dire che questa è la prima volta che Israele invade il Libano per rispondere a una minaccia dichiarata. La principale tra le invasioni israeliane del Libano sostenute dagli Stati Uniti, quella del 1982, è stata definita più volte dallo stesso Israele come una guerra per la West Bank, intrapresa perché l’Organizzazione per Liberalizzazione della Palestina ponesse fine alle fastidiose richieste di una risoluzione diplomatica. Nonostante alcune differenze, l’invasione di due mesi fa è avvenuta secondo lo stesso schema.

Cosa avrebbe potuto fermarla? I punti cardine della soluzione al conflitto israelo-palestinese sono stati sostenuti per 30 anni dal consenso internazionale: un accordo globale per l’istituzione di due stati, con la possibilità di modifiche reciproche. Formalmente, gli stati arabi accettarono questa proposta nel 2002, come avevano già fatto i palestinesi molto tempo prima.

Il leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ha reso noto che sebbene questa soluzione non sia la preferita dell’organizzazione sciita, non l’avrebbero comunque rifiutata. Il leader supremo iraniano Ayatollah Khamenei ha recentemente affermato che l’Iran sostiene questo compromesso, e anche Hamas ha chiaramente fatto sapere di essere pronto a negoziare per un accordo del genere. Israele e Stati Uniti invece continuano a bloccare questa soluzione, così come hanno fatto per 30 anni, a parte brevi e irrilevanti eccezioni. Negare può essere preferibile in casa propria, ma le vittime di certo non apprezzano.

Il rifiuto di Israele e Stati Uniti non si manifesta solo con le parole, ma con i fatti. Con il decisivo appoggio statunitense, Israele ha formalizzato il suo programma di annessione e smembramento degli esigui territori palestinesi rimasti, e l’appropriazione di ciò che rimane dopo l’occupazione della valle del Giordano. Si tratta di un programma “di convergenza”, visto dagli Stati Uniti addirittura come un “ritiro coraggioso”.

Di conseguenza, i palestinesi si trovano ad affrontare una sorta di distruzione nazionale. Di supporto fondamentale per la Palestina è Hezbollah, movimento formatosi in reazione all’invasione del 1982, che nel tempo è diventato considerevolmente influente, tanto da costringere Israele al ritiro dal Libano nel 2000. Come altri movimenti islamici tra i quali Hamas, anche Hezbollah si è guadagnato il consenso popolare grazie ai servizi sociali forniti ai poveri.

Per Israele e Stati Uniti, è necessario che Hezbollah venga duramente indebolito oppure distrutto – proprio come successe all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina quando fu espulsa dal Libano nel 1982. Ma l’organizzazione è talmente radicata nella società da non poter essere messa fuori gioco senza la distruzione di buona parte del Libano. Quindi, ecco gli attacchi alla popolazione e alle infrastrutture del paese.

Le continue aggressioni, ormai all’ordine del giorno, stanno facendo salire sempre più il consenso popolare attorno a Hezbollah – non solo in generale nel mondo arabo, ma anche nello stesso Libano. Il mese scorso i sondaggi hanno rivelato che l’87% dei libanesi sosteneva la resistenza di Hezbollah contro l’invasione, così come la sostenevano l’80% dei cristiani e dei drusi. Anche il patriarca cattolico maronita libanese, il capo spirituale dell’area filo-occidentale del Libano, si è unito ai leader delle religioni sunnita e sciita per condannare l'”aggressione” e sostenere “la resistenza condotta da Hezbollah”. Il sondaggio ha rilevato anche che il 90% dei libanesi vedono gli Stati Uniti come un “complice nei crimini di guerra israeliani contro la popolazione libanese”.

Amal Saad-Ghorayeb, importante studioso accademico libanese di Hezbollah, osserva che “queste indicazioni sono diventano ancor più significative se paragonate ai risultati di un sondaggio analogo realizzato appena cinque mesi fa. L’indagine mostrava che solo il 58% di tutti i libanesi riteneva che Hezbollah avesse il diritto di armarsi e di continuare la propria lotta di resistenza”.

Rami Khouri, direttore del quotidiano libanese Daily Star, scrive che “i libanesi e i palestinesi hanno risposto ai persistenti e selvaggi attacchi contro intere popolazioni civili creando leadership alternative o parallele, in grado di proteggere la popolazione e garantire i servizi essenziali”. Queste rappresentanze popolari, se Israele sostenuto dagli Stati Uniti dovesse continuare a demolire tutte le speranze dei palestinesi e a distruggere il Libano, non potranno che rafforzarsi ed estremizzarsi.

Anche il Re saudita Abdullah, alleato storico di Washington della regione, ha voluto così intervenire: “Se l’opzione della pace non viene accettata a causa dell’arroganza israeliana, allora non rimane che l’opzione della guerra; e, quindi, gravi ripercussioni, anche su chi con la forza militare sta giocando col fuoco”.

Non è un segreto che Israele abbia contribuito a minare il patriottismo laico arabo e a creare Hezbollah e Hamas, similarmente a come gli Stati Uniti con la proprie politiche hanno favorito la crescita del fondamentalismo islamico e del terrore jihadista. Negli ultimi tempi, infatti, le file degli estremisti fanatici si sono ingrossate, proprio come successe successivamente all’invasione dell’Iraq.

Lo scrittore israeliano Uri Avnery ha affermato che il capo di stato maggiore israeliano Dan Halutz, un ex comandante delle forze aeree, “vedeva il mondo sottostante da un mirino”. Lo stesso può dirsi per Rumsfeld, Cheney, Condoleezza Rice e gli altri dell’amministrazione Bush. Come la storia ha confermato, questa visione del mondo è condivisa tra coloro che posseggono le armi più devastanti.

Saad-Ghorayeb descrive l'attuale escalation di violenza in "termini apocalittici", avvertendo che "si scatenerà l'inferno" se il risultato della campagna israelo-americana porterà ad una situazione in cui "la comunità sciita si scaglierà contro Israele, gli Stati Uniti ed il governo, e tutti verranno considerati traditori".

Il conflitto israelo-palestinese può essere risolto attraverso una soluzione diplomatica se Israele e gli Stati Uniti abbandoneranno le proprie attuali politiche. Altri rilevanti problemi dell'area possono essere risolti attraverso le negoziazioni e in generale l'uso della diplomazia. Il successo non può essere garantito. Ma possiamo stare certi che osservare il mondo attraverso un mirino non porterà altro che ulteriori miseria e sofferenza, anche in "termici apocalittici".

Noam Chomsky, definito dal 'New York Times' “probabilmente l’intellettuale più illustre dei nostri tempi", è stato eletto l’intellettuale pubblico vivente più importante nell’ambito del Global Intellectuals Poll 2005 condotto dalla rivista inglese 'Prospect'. Chomsky, professore presso il Dipartimento di Linguistica e Filosofia del Massachusetts Institute of Technology, risiede a Lexington, Massachusetts.
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Fonte: The Guardian
Tradotto da Barbara Redditi per Nuovi Mondi Media