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Popper e il jobs act

di Alberto Bagnai - 11/04/2016

Fonte: Goofynomics


Gli euristi stanno già dicendo che se il Jobs Act non è bastato, vuol dire che occorrono riforme più aggressive lato offerta (lavoro). Naturalmente danno la colpa all'"inaspettato" (da loro) raffreddamento della "ripresa" da essi annunciata l'anno scorso.

  

La verità sul Jobs Act è subito venuta a galla.

L’Istat dice:

“Il calo occupazionale è determinato dai dipendenti (-92 mila i permanenti e -22 mila quelli a termine), mentre registrano un lieve recupero gli indipendenti (+17 mila). Per i dipendenti a tempo indeterminato si tratta del primo calo dall’inizio del 2015. Dopo la forte crescita registrata a gennaio 2016 (+0,7%, pari a +98 mila), presumibilmente associata al meccanismo di incentivi introdotto dalla legge di stabilità 2015, il calo registrato nell’ultimo mese riporta la stima dei dipendenti permanenti ai livelli di dicembre 2015. Per i dipendenti a termine prosegue la tendenza negativa già osservata dal mese di agosto 2015.”

A settembre dell’anno scorso Renzi disse:

“Cresce il Pil, crescono gli occupati, meno disoccupazione. Le riforme servono.”

Il punto è molto semplice: il Jobs Act, e cioè la riforma strutturale “showpiece” della dirigenza eurista italiana, non ha aumentato l’occupazione, che continua a calare.

Pensiamo che ciò sia sufficiente a sbugiardare la retorica sulle “riforme strutturali nell’Euro e per l’Euro”? Niente affatto. Gli euristi stanno già dicendo che se il Jobs Act non è bastato, vuol dire che occorrono riforme più aggressive lato offerta (lavoro). Naturalmente danno la colpa all’”inaspettato” (da loro) raffreddamento della “ripresa” da essi annunciata l’anno scorso (ma noi sappiamo che era l’effetto doping della “divergence” già bella che rimangiata dalla genio alla Fed – minuto 3:18).

Essendo tali argomentazioni basate su assunzioni ipotetiche non verificabili e su petizioni di principio, esse sono a priori dogmaticamente corrette. E le ricette che vengono propinate funzionano sempre e comunque per il semplice fatto che nessuno può logicamente contraddire quelle argomentazioni, le quali sono e restano vere “a prescindere” in quanto “giuste”.

Qui però sta il nucleo del problema per gli euristi: se la verità dei fatti non rileva nel dibattito, allora la teoria della bontà salvifica dell’Euro, secondo la quale detto Euro impone salutari riforme strutturali a paesi europei debosciati come il nostro, è una teoria a priori non falsificabile dall’osservazione dell’evidenza.

È dunque una teoria priva di ogni dignità scientifica. Un puro esercizio di propaganda, buono fintanto che la magia del Pifferaio di Hamelin funziona.

Resta da vedere se ad andare alla rovina saranno solo i topi di fogna od anche i nostri figli.