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Questa Terra non si Tocca

di Maria Rita D’Orsogna - 18/04/2016

Fonte: Arianna editrice

 


 


La mia storia è molto semplice. Sono nata e cresciuta negli Stati Uniti. I miei genitori, che sono qui stasera, erano emigranti dall’Abruzzo in America, dove ho fatto gli studi universitari, il dottorato e dove adesso lavoro, insegnando matematica all’Università di Los Angeles, anche se di  formazione sono fisico. La mia vita sarebbe stata normale e tranquilla, se un giorno del 2007 qualcuno non mi avesse chiamata per dirmi che l’ ENI voleva venire in Abruzzo a espiantare i vigneti del Montepulciano, in una città che si chiama Ortona, per costruirci una raffineria di petrolio. Questo ha provocato in me fastidio, dispiacere, rabbia e ho cercato di pensare che cosa si può fare. Mi veniva detto: “Lascia perdere, vivi così lontano, non si può fare niente, ormai i permessi sono stati dati, l’ ENI è potente, tu non sei nessuno, lascia perdere”. Io non sono riuscita a lasciar perdere perché non potevo sopportare che questi vigneti venissero maltrattati, trasformati in zona mineraria e soprattutto mi dispiaceva per le persone del posto, contadini, persone anche semplici; non era giusto che arrivassero questi qua, chissà da dove, a distruggere un patrimonio che dura da secoli, la tradizione storica agricola dell’Abruzzo. E così ho pensato di fare nel mio piccolo quello che potevo, informandomi e diffondendo le informazioni su questo tema in Abruzzo. Quindi a Natale del 2007 mi sono presentata in Abruzzo a fare queste conferenze, come facciamo stasera. Da allora, un passo dopo l’altro, sempre più impegnativo. Alla fine, dopo cinque anni, il famoso Centro Oli, la raffineria che si voleva fare a Ortona, non è stata più fatta, sebbene tutti i permessi fossero stati dati.

Ci avevano messo la firma Bersani, Di Pietro, Pecoraro Scanio, il Presidente della Regione Abruzzo; il Sindaco di Ortona aveva fatto i contratti con l’ENI. Insomma abbiamo fatto veramente fuoco e fiamme, proprio con l’informazione, rompendo le scatole giorno per giorno, in maniera civile. Ora, in Italia nulla è mai definitivo, lo sappiamo, però per adesso questo Centro Oli non si è fatto è pare che ci sia stata da parte dell’ENI questa sorta di promessa di non farlo neanche in futuro. Noi però siamo sempre vigili. E oltre al Centro Oli c’è stata un’altra raffineria che si voleva realizzare nel Lago di Bolla in Provincia di Chieti. La battaglia è ancora in atto, ma anche lì siamo a buon punto, nel senso che ci sono state varie bocciature a livello regionale e qualche settimana fa anche a Roma. Insomma siamo sulla buona strada. È stata bocciata anche una piattaforma in mare a 9 km dalla riva. E l’Abruzzo ha una legge, che è passata proprio grazie alla rabbia dei cittadini. Secondo questa legge, le trivellazioni di petrolio sono vietate. È una legge come tutte le leggi all’italiana, con tanti buchi, però, intanto, ce l’abbiamo. E, soprattutto, la cosa importante è che dal 2007 ad oggi non è stato realizzato un pozzo e neanche una raffineria.

Questo soltanto grazie alla tenacia dei cittadini. Ci si è attivati tutti. Anche i Vescovi hanno fatto la loro parte, schierandosi contro il petrolio; la Confcommercio ha partecipato e così tutte le aziende del vino. È stata veramente una lotta di popolo. Quello che ho cercato di divulgare in Abruzzo e in altre parti d’Italia, vengo ora a raccontarlo a Napoli.

Non ci sono al momento molte concessioni in Campania, però basta andare in Basilicata per vedere che tutta la regione Basilicata è coperta da permessi estrattivi. I vari colori significano il vario stadio di avanzamento di queste concessioni, verde vuol dire che siamo all’inizio, giallo a metà, rosso vuol dire che la concessione è stata già data, cioè le trivellazioni sono già in atto oppure possono cominciare. E questo non riguarda solamente il nostro Mezzogiorno, l’Abruzzo, la Campania, la Basilicata, ma tutta l’Italia.

Vediamo, ora, come si inizia a fare un pozzo, le varie fasi esecutive e tutte le conseguenze sul territorio, sull’ambiente e sull’agricoltura.

Innanzitutto ci si chiede se vale la pena di fare un buco o no. Quindi cominciano le cosiddette ispezioni sismiche, si manda un segnale nel sottosuolo e dal segnale riflesso si riesce a capire il tipo di giacimento, la profondità, le caratteristiche, etc.. Si usano le camionette chiamate Vibroseis, che trasmettono al sottosuolo vibrazioni fortissime. Oppure si usano esplosioni controllate, si scatenano movimenti della terra registrando il segnale riflesso per capire le caratteristiche del sottosuolo. La stessa cosa si può fare nel mare con una tecnica che si chiama airgun. In questo caso è una nave che manda il segnale. Lo hanno fatto davanti alle coste della Puglia qualche tempo fa. La cosa grave di questo airgun è che vengono eseguiti ogni 5-10 secondi spari violentissimi di aria compressa, con gravi danni alla vita marina, perché l’intensità del suono è molto elevato e ci possono essere problemi ai pesci, ai delfini, ai cetacei, in particolar modo lesioni al corpo, qualche volta anche morte e soprattutto danni al sistema uditivo e al senso di orientamento. Per questo qualche volta ci sono spiaggiamenti delle balene, come qualche tempo fa in Puglia.

Una volta deciso che c’è il petrolio o gas, il buco si può fare in due modi diversi. Il metodo classico è di fare la trivellazione in verticale, ma di recente, con una nuova tecnica, si va giù in profondità e poi in orizzontale, quando lo consente un particolare tipo di roccia che è porosa. Spesso nelle rocce ci sono vacuità, pori, bollicine, in cui è disciolto per esempio il gas: andando in orizzontale si causano microfratture, microterremoti, si spacca la roccia, questi pori si rompono e fuoriesce il gas da catturare e commercializzare. Questa tecnica si chiama fracking, è stata utilizzata dagli anni ’70 negli Stati Uniti ed è una abbreviazione della parola hydrofracking che significa fratturazione idraulica della roccia, idraulica perché per creare queste microfratture, microterremoti, si utilizzano grandi dosi di acqua mescolate a sostanze chimiche che vengono mandate nel sottosuolo ad alta pressione.

In Italia con il fracking siamo ancora all’inizio. Stefano Saglia, che nel governo Berlusconi, era sottosegretario allo Sviluppo Economico, ha affermato che questo shale gas (gas di scisto) è una nuova strada per l’approvvigionamento, che l’Italia accoglie con favore. Ci sono stati già dei casi di fracking in Italia: per esempio a Ribolla, in provincia di Grosseto. Altre trivellazioni le vogliono fare in Toscana. E in Sardegna, nel Sulcis, vogliono - pensate che immaginazione - tirare fuori i gas dalle miniere abbandonate.

Dopo che decidono di fare questo pozzo di petrolio, sia in verticale che in orizzontale, il processo successivo è lo stesso, la trivellazione. Ma per andare a grandi profondità sotto la crosta terrestre, 3 o 4 km nel sottosuolo, c’è bisogno di tutta una serie di sostanze chimiche che aiutano il processo di scavo e che prendono il nome complessivo di fanghi e fluidi perforanti, sono sostanze che servono per lubrificare il processo di scavo, per guidare la cementificazione dei pozzi, per la possibile eliminazione di scarti rocciosi nella risalita. La composizione chimica di questi fanghi e fluidi perforanti che si iniettano in grandi quantità nel sottosuolo è ignota. I petrolieri non rivelano esattamente la composizione chimica, opponendo il segreto industriale. Si sa, però, che ci sono circa 560 sostanze che possono essere usate per la perforazione. Sono ovviamente difficili da smaltire e hanno le potenzialità di contaminare le acque e i terreni. C’è solo una lista parziale degli ingredienti, hanno nomi impronunciabili, alcuni sono molto tossici, per esempio il benzene, il metilbenzene, sostanze cancerogene, versate normalmente per lo scavo di pozzi di petrolio. Dai dati del Ministero dell’Ambiente in America risulta chiaramente che tra i fluidi di scarto delle trivellazioni di petrolio e di gas c’è anche materiale radioattivo, in particolar modo radio 226, radio 228, gas radon. Una delle frottole che l’industria petrolifera ama propagandare è che i loro pozzi sono a cementificazione perfetta, sigillati in maniera ermetica, in modo da non contaminare mai l’ambiente circostante. Invece non è così. Già il buon senso dice che in un pozzo cementificato ci sono sempre possibilità di cedimenti, fessure, perdite, crepe. Infatti questo succede in altre parti del mondo: in Ohio, per esempio, nel 2011 su 6800 ispezioni, 693, quindi il 10%, avevano creato problemi di integrità strutturale. Cioè il 10% dei pozzi esaminati aveva possibilità di contaminazioni, perdite o qualche tipo di dispersione nell’ambiente. Questo è successo anche in Canada. Secondo i dati che vengono direttamente dall’industria del petrolio, nel golfo del Messico il 45%, cioè quasi la metà dei pozzi di petrolio sono a rischio di perdite. Nel Mare del Nord, per i pozzi inglesi, la percentuale è del 34%, in Norvegia del 18%, quindi percentuali abbastanza grandi.

Non è vero che i pozzi sono sempre ermeticamente sigillati e che il terreno non può essere contaminato. È ovvio che più passa il tempo e più aumentano le possibilità di crepe, di perdite, etc.. Uno studio del governo americano dimostra che dopo 30 anni la possibilità che i pozzi avessero perdite, problemi di integrità strutturale era quasi del 60%. Quindi i pozzi possono sempre causare perdite. E la conseguenza di questo è che possono esser inquinate le falde idriche, anche perché nessuno veramente conosce l’andamento delle falde e come l’acqua nel sottosuolo è distribuita.

Un’indagine del New York Times meno di un anno fa mise in evidenza che in alcune zone tra New York e la Pennsylvania c’erano grandi inquinamenti di materiale radioattivo, in questo caso radium, dovuto proprio all’industria di estrazione del gas. Altri articoli di giornali hanno evidenziato la presenza di circa 1000 pozzi di acqua contaminata dalle trivellazioni di gas. In particolare nello stato del New Mexico, tra gas e petrolio, l’inquinamento di questi pozzi di acqua artesiana era di circa 743 casi. Quindi sicuramente percentuali consistenti. Questo accade anche in Italia, dove però la cosa un po’ strana è che non si riesce mai a capire di chi è la colpa, chi l’ha fatto, perché è successo.

Molto significativo è il caso del Pertusillo, una diga importante perché contiene l’acqua da vari fiumi della Basilicata, che viene mandata poi alla Puglia, che scarseggia di acqua. Il lago del Pertusillo è vicino a dei pozzi di petrolio. Cosa è successo? Che un bel giorno hanno deciso di fare delle analisi e hanno trovato nei sedimenti del lago forti concentrazioni di metalli pesanti, alluminio, ferro, manganese, piombo, idrocarburi, tant’è che si verificavano periodicamente morie di carpe. Adesso, addirittura, il Pertusillo è un lago eutrofizzato. Non c’è più vita, non c’è più niente. Queste erano acque destinate anche al consumo umano e a tutt’oggi non si sa chi ci ha messo gli idrocarburi. Però quello che è certo è che le concentrazioni di idrocarburi sono superiori ai limiti legali. È evidente che se nessuno fa gli studi non si può dire chi è il responsabile, però, considerato che nella zona non c’era mai stato questo problema e che ci sono i pozzi di petrolio dell’ENI a poche centinaia di metri di distanza, è evidente che quantomeno il dubbio sorge. La cosa più grave, dal mio punto di vista, in questa faccenda, è che, ad esempio, in America per i pozzi che hanno inquinato l’acqua potabile sono state pagate multe di anche 1 milione di dollari. In Basilicata, invece, non ci sono state multe, e nemmeno indagini; addirittura, la persona che ha scoperto tutto questo, un Tenente della Guardia Forestale, è stato sottoposto a processo penale perché aveva osato rendere pubbliche queste cose. Il mondo alla rovescia!

Quando fai tutti questi buchi ci sono fanghi e fluidi perforanti in grande quantità che devono essere smaltiti a norma di legge, in maniera appropriata etc. Però, per risparmiare, questi rifiuti spesso vengono smaltiti alla meno peggio. E questo accade in tutto il mondo. E abbiamo anche qui l’equivalente in Basilicata, dove tra l’altro si trivella già da circa 20 anni, c’è il paese di Corleto Perticara dove per 20 anni hanno riversato questi fanghi e fluidi perforanti in maniera illegale fra i campi. La ditta era la Total e qui hanno trovato scarti di anche 80 cm. saturi di piombo, vanadio, idrocarburi pesanti e bitume. E là per 20 anni dal 1990 al 2010 hanno eseguito pascolo delle pecore e coltivazione di ortaggi, ovviamente finiti nelle pance di qualcuno. Insomma qualcosa di abbastanza grave. In questo momento c’è un’indagine della Magistratura per accertare di chi sono le responsabilità di questo scempio. E sempre in Basilicata ci sono spesso sversamenti illegali, perdite, etc., abbastanza regolari dal 2000 al 2002: 30.000 litri, 20.000 litri etc.

Ma, le trivellazioni si fanno anche in mare, dove c’è molta meno sorveglianza e quindi tutti gettano in mare questi fanghi e fluidi perforanti, tanto è vero che, come risulta da una tabella ufficiale del governo norvegese, ogni pozzo, ogni anno riversa circa 2.500 tonnellate di materiale tossico nel mare. Anche davanti a Pozzallo, in provincia di Ragusa, ci sono stati danni pesanti all’ecosistema a causa dello sversamento in mare in maniera illecita di rifiuti speciali pericolosi, dalla piattaforma galleggiante Vega. Tutto per risparmiare decine di miliardi di euro. Lo smaltimento di queste sostanze tossiche è costoso e quanto difficoltoso; molto più facile è prenderle e buttarle allegramente a mare!

Un’altra favola che i petrolieri amano propagandare è che le piattaforme nel mare vanno bene per la pesca perché fungono da punto di aggregazione per il pescato. Questo è vero, ai pesci piacciono le piattaforme perché è un ambiente riparato etc., però nel momento in cui queste piattaforme diventano il punto di lancio di monnezza è evidente che non si guadagna niente, anche se abbiamo radunato molti pesci. E infatti uno studio del 1996 eseguito dal ministero degli affari interni americano mise in evidenza che le concentrazioni di mercurio per i pesci catturati vicino alle piattaforme erano 25 volte superiori rispetto invece ai pesci catturati più lontano. Questo è abbastanza grave, nel senso che i pesci sono delle creature particolari perché hanno quella tendenza che si chiama del bioaccumulo, cioè mangiano gli inquinanti, non sono capaci di espellerli e quindi fungono da concentrato di tutti gli inquinanti che hanno incontrato durante la loro vita. Il mercurio causa molti problemi specialmente per lo sviluppo dei bambini e dei feti. Le piattaforme a mare certamente non sono un habitat naturale e, piuttosto generano una minestra tossica alla vita marina che vi è attratta. Le statistiche dicono che una piattaforma durante tutta la sua vita di 30 – 40 anni rilascia circa 90.000 t. di sostanze tossiche a mare!

 

Allora. Abbiamo fatto l’ispezione sismica, abbiamo fatto il buco, abbiamo smaltito questi fanghi e fluidi perforanti. Che cosa abbiamo tirato fuori? Purtroppo il petrolio che c’è in Italia è di qualità scadente e l’ENI stessa l’ha definito il “fondo del barile” in una conferenza del gennaio 2008. Il petrolio italiano è di tipo amaro - pesante; amaro vuol dire che è ricco di impurità a base di zolfo, pesante, che le molecole sono molto più lunghe rispetto a quelle usate per fare la benzina, quindi c’è bisogno di trattamenti speciali per realizzare il prodotto principe delle estrazioni petrolifere, che è appunto la benzina. Il petrolio migliore del mondo è dolce e leggero e in più, secondo le stime, le classifiche internazionali, dove c’è un numero che viene dato al petrolio per accertarne la bontà, chiamato grado API (American Petroleum Institute), si parte da un livello minimo di 8, che è il prodotto peggiore del mondo, a uno di 50, che è il petrolio migliore, 8 in Canada, 50 in Texas, e le stime ENI per l’Abruzzo e la Basilicata parlano di un indice che oscilla intorno al grado 15, quindi verso il livello minore della scala. Inoltre non dobbiamo pensare che in Italia ci sia quello che si vede nei cartoni animati, cioè lo zampillo nero, profumato, bello, così energetico: quello che abbiamo in Italia è piuttosto una fanghiglia corrosiva, melmosa, densa e maleodorante. La qualità corrosiva è causata dalle impurità sulfuree. In realtà, anche se abbiamo il più grande giacimento di tutta Europa, che è la Basilicata, oggi soddisfa solo il 6% del fabbisogno nazionale. Quindi saremo sempre e comunque dipendenti dall’estero: il rimanente 90 e rotti per cento continuiamo ad importarlo.

Che cosa si deve fare a questo petrolio estratto, così ricco di impurità sulfuree? La prima cosa è togliere lo zolfo, altrimenti la benzina viene di bassa qualità. Il cosiddetto processo di desolforazione si fa nei Centri Oli, uno dei quali sorge a Viggiano in Lucania. Un altro lo volevano costruire in Abruzzo. Lo zolfo si deve togliere il più vicino possibile ai punti di estrazione, perché siccome lo zolfo rende il petrolio molto corrosivo non è possibile trasportarlo così come viene estratto a lunghe distanze. In questi Centri Oli si fa un processo catalitico chimico, abbastanza delicato. Si lavora ad alta temperatura, ad alta pressione, si usa molta acqua nei processi di raffreddamento, si usano gas volatili altamente infiammabili, processi termici e catalitici molto delicati. Il risultato di tutto questo è che alla fine ci sono sempre percentuali di zolfo immesse nell’atmosfera. Nel centro di Viaggiano c’è una fiamma che arde 24 ore su 24 e viene immesso nell’atmosfera uno scarto sulfureo, il famoso idrogeno solforato. A volte viene disperso in mare. La desolforazione si può fare direttamente sulle piattaforme, oppure su una nave apposita, il Centro Oli a mare, e anche questa cosa l’avevano proposta per l’Abruzzo. La volevano fare a 9 km. da una riserva naturale, poi grazie al Cielo è stato bocciato. Però questo qui era l’intento per i nostri mari. Quindi adesso abbiamo fatto questa desolforazione, abbiamo immesso nell’atmosfera idrogeno solforato. L’idrogeno solforato è un gas incolore, facilmente infiammabile, la cui tossicità è paragonabile al cianuro, perché il funzionamento è esattamente lo stesso, cioè si attacca alle cellule, impedisce all’ossigeno di arrivare a destinazione e provoca la morte istantanea se le dosi sono sufficientemente alte. Ha una puzza caratteristica di uova marce; che infatti, in Basilicata, si sente costantemente vicino al centro. Questo idrogeno solforato si assorbe innanzitutto con la respirazione. Gli effetti vanno dal semplice fastidio per la puzza fino alla morte immediata. E noi in Italia di casi di morte per idrogeno solforato ne abbiamo già avuti, se ricordate qualche anno a Molfetta ci sono stati diverse vittime, per taniche che trasportavano zolfo; c’è stata una qualche reazione e chi c’era è morto stecchito all’istante. Qualche anno fa ci fu un episodio simile in una raffineria dei fratelli Moratti in Sardegna. E il Corriere della Sera scrisse: “La tragedia si poteva evitare, se solo il Paese avesse investito di più in conoscenza e nella diffusione di questa conoscenza”.

Scrisse anche: “l’idrogeno solforato (H2S) è considerato un veleno ad ampio spettro, ossia può danneggiare diversi sistemi del corpo. Ad alte concentrazioni uccide il nervo olfattivo rendendo impossibile la percezione del suo sgradevole odore e può causare incoscienza nell’arco di pochi minuti”. Ora, è evidente che se uno la respira tutti i santi giorni della propria vita, bene alla salute non può fare, vari studi scientifici dimostrano che l’esposizione costante e duratura a questo gas causa problemi al respiro, alla pelle, alla vista, al sistema nervoso. Uno studio fatto dall’Università del Texas ha accertato che con l’esposizione croniche a bassi livelli di idrogeno solforato aumentano notevolmente le probabilità di essere colpiti da affaticamento, depressione, equilibrio, ansietà, mal di testa, tremori, alterazioni dei sensi, problemi ai polmoni, bronchiti, anemie, problemi che possono diventare anche permanenti. Ieri sono stata al Centro Oli di Viggiano e ho incontrato chi mi ha riferito la sua esperienza di vita: “ho problemi di congiuntivite, mal di testa etc.”. Testimonianze che concordano con le indagini scientifiche.

Quindi in Italia non c’è bisogno di fare esperimenti, gli effetti nefasti delle trivellazioni e delle raffinazioni sono noti da molto tempo. Una delle domande che ci si pone spesso è se tutto questo possa anche far insorgere il tumore alle persone. I tumori vengono in vari modi, però uno dei fattori che può causarli è l’esposizione agli inquinanti, in particolar modo ai cosiddetti agenti genotossici, sostanze esterne, come la nicotina, che causano danni al DNA, che poi dà segnali sbagliati alle cellule che possono proliferare in maniera tumorale. Quindi l’agente genotossico può essere in maniera indiretta responsabile della creazione di tumori. Le ricerche evidenzano che l’idrogeno solforato è un agente genotossico, induce danni al DNA e quindi la proliferazione di cellule tumorali, cancerogene, particolarmente per il colon. Negli articoli scientifici si afferma che l’idrogeno solforato è un insulto ambientale capace, data una predisposizione genetica, di portare all’instabilità caratteristica del cancro al colon e a mutazioni genetiche. Ma questo non vale solo per l’H2S, ma per tutto l’inquinamento ambientale. E I più vulnerabili sono sicuramente le categorie più deboli, le persone predisposte, le persone anziane, quelle che hanno già problemi respiratori, le donne incinte, perché l’idrogeno solforato innalza i rischi di aborti spontanei, i bambini, perché rispetto agli adulti respirano più in fretta e scambiano maggiori volumi di aria con l’ambiente. Inoltre sono più sensibili ai danni. Non c’è ovviamente soltanto l’idrogeno solforato che è quello che puzza, che viene fuori dalla fiamma del Centro Oli; una serie di altre sostanze vengono immesse nell’atmosfera sia durante la fase dell’estrazione che durante la fase della lavorazione e sono ugualmente tossiche all’uomo: i BTEX, acronimo di benzene, toluene, etilbenzene e xilene, tutti composti cancerogeni, i composti organici volatili, gli idrocarburi policiclici aromatici, sostanze cancerogene, che portano problemi anche di fertilità, di sviluppo dei feti, al sistema nervoso centrale, etc. Lo stesso ente americano dei petrolieri dichiarò nel 1948 che la unica concentrazione assolutamente sicura di benzene nell’atmosfera è zero. Già articoli di vari anni fa dicevano le stesse cose: 1977, “Mortalità per tumore in contee americane caratterizzate dalla presenza di industrie del petrolio”; erano studi fatti su uomini esposti alle operazioni petrolifere e risultò che avevano maggior incidenza di cancro ai polmoni, alle cavità nasali, alla pelle. Un altro articolo riguarda le donne: “Mortalità che aumenta per il tumore al polmone nelle donne in prossimità di impianti di raffinazione del petrolio”. “Danni al DNA a individui esposti alla produzione di idrocarburi in Ecuador”. “Tumori ai bambini che vivevano vicino alle raffinerie nel trentennio dal 1950 al 1990”. “Mortalità per tumore vicino industrie petrolchimiche a Taiwan”. “Mortalità nell’industria del petrolio in Texas”. Addirittura hanno fatto uno studio per chi lavorava su queste piattaforme in Norvegia e anche per loro c’era una probabilità superiore di ammalarsi di malattie tumorali. Tutto questo si traduce nel fatto che per esempio in California, dove io abito, tutti quelli che inquinano sono obbligati per legge ad annunciarlo ai cittadini. I petrolieri sono obbligati a comprare una mezza pagina di giornale ogni tre mesi e mandare questo avviso. Uno è stato firmato dalla Exxon, dalla Shell, dalla Chevron, dalla BP, tutte le ditte che trivellano in California. Anche l’ENI, se volesse trivellare in California, dovrebbe sottoscriverlo. E che cosa dice questo avviso? Dice che sostanze chimiche capaci di causare tumori, danni alla nascita e altri danni riproduttivi, sono contenuti nei campi di petrolio, nelle raffinerie, negli impianti chimici, nelle operazioni di trasporto e stoccaggio inclusi oleodotti e tutte le operazioni che manifatturano, producono, distribuiscono, maneggiano, trasportano, il petrolio. Quindi viene detto chiaramente dagli stessi petrolieri che tutto questo fa male alla salute delle persone. Dice che nei campi di petrolio, nelle raffinerie, negli impianti chimici sono contenute sostanze che causano tumori, danni alla nascita e danni riproduttivi e che analoghi effetti sono provocati da tutte le operazioni di lavorazione, produzione, distribuzione, manipolazione e trasporto di petrolio. Quindi viene detto chiaramente dagli stessi petrolieri che tutto questo fa male alla salute.

Veniamo ad altre conseguenze sul territorio, in questi mesi si parla di attività sismica in Italia. Il pensiero oggi corre all’Emilia Romagna. La magnitudine massima registrata era 5,8 della scala Richter. Secondo un articolo dell’Università di Modena: “Nessuna attività dell’uomo, sondaggi, perforazioni, prelievi di idrocarburi, prelievi di acqua o altro, può creare o indurre terremoti di intensità pari a quelli avvenuti.”

Questa notizia è stata battuta dall’AGI - Agenzia Giornalistica Italia, che appartiene al 100% all’ENI. Non è accettabile che l’informazione di un Paese civile sia nelle mani di una ditta petrolifera, non è tollerabile. Se il New York Times fosse al 100% sotto il controllo della Chevron, si scatenerebbe una rivoluzione. Peraltro non siamo neanche consapevoli di questo.

Indagando ancora di più sulla sismicità indotta, si trova una serie di articoli, ovviamente in altre parti del mondo, in cui attività sismica anche rilevante è associata all’estrazione di idrocarburi. In un articolo del MIT – Massachusetts Institute of Technology, intitolato “Sismicità indotta dalla produzione di idrocarburi di entità medio-grande” sono elencati 70 casi in tutto il mondo in cui ci sono stati eventi sismici in qualche maniera collegati a estrazione di idrocarburi dal sottosuolo. E questo può succedere in due modi: 1) vado ad estrarre e causo in qualche maniera dei terremoti; andando a stuzzicare un equilibrio millenario ci possono essere effetti-domino; 2) durante la reiniezione di sostanze nel sottosuolo; succede infatti che pozzi esausti vengono utilizzati per rimetterci sostanze dentro e ci si reinietta nel sottosuolo ad altissime pressioni materie di scarto, tutte quelle sostanze tossiche di cui abbiamo parlato prima che non si sa dove mettere, o si può fare stoccaggio di gas o di altro tipo di materiali; in entrambi i casi ci possono essere sollecitazioni, squilibri nella crosta terrestre che possono dare origine a eventi gravi. Ed ecco degli esempi. In uno studio commissionato dalla Schlumberger, società che si occupa di fanghi e fluidi perforanti e di servizi petroliferi in genere, ad alcuni scienziati dell’Istituto della Dinamica della Geosfera dell’Accademia Russa delle Scienze, si afferma: “In alcune regioni la produzione di idrocarburi può indurre attività sismica”; ad esempio in Uzbekistan, dove in una zona non sismica in seguito a intenso sfruttamento petrolifero si è arrivati a terremoti di anche 7,0 della scala Richter. L’articolo aggiunge che è innegabile una relazione tra gli idrocarburi e l’attività sismica, anche se non esattamente quantificabile, e che in regioni in cui l’attività tettonica è già elevata potrebbero essere provocati terremoti forti. Altri esempi. In California, negli anni ’80, addirittura hanno messo in relazione i terremoti registrati, di magnitudine massima 6,5, con i volumi di idrocarburi estratti. In Olanda in 25 anni hanno misurato 688 eventi in zona non sismica. In Oman, nel 1990, 400 in due anni, anche qui si vede chiaramente che aumentando la produzione di petrolio aumentavano i microterremoti. Francia, 1990, in dieci anni di monitoraggio sismico sul campo di gas sono arrivati a 4,2 di magnitudo della scala Richter. E poi in molti altri luoghi, ad esempio in Texas, in Colorado, in Ohio, zona non sismica dove hanno registrato terremoti anche a livello 4 della scala Richter, dovute a reiniezione di sostanze tossiche nel sottosuolo. A Basilea in Svizzera, pozzo per geotermia, c’è stato un terremoto di 3,4 della scala Richter; è seguito un processo penale conclusosi con una multa per il capo della ditta. Per una proposta di stoccaggio di gas in Olanda uno studio preliminare del MIT e dell’ente olandese di ricerca ha concluso che il piano di stoccaggio del gas aumenterà il rischio sismico. In California, a Sacramento, volevano fare la stessa cosa, uno stoccaggio sotterraneo, bloccato perché il rischio non vale la candela. Questo per far capire che il buon senso e la prevenzione devono prendere il sopravvento sulle decisioni magari più speculative.

In altri articoli simili si legge: “Le trivellazioni del fracking possono causare terremoti, ma anche le estrazioni normali di petrolio e di gas”. Secondo l’United States Geological Survey, ente scientifico governativo americano, certi terremoti negli Stati Uniti sono causati quasi certamente dall’uomo. Per l’Italia non sono riuscita a trovare nessuno studio sulla sismicità indotta da idrocarburi, quello che si sa è che al momento abbiamo 1.500 pozzi attivi di estrazione di gas o di petrolio e 342 pozzi di stoccaggio sparsi per la nostra Penisola. L’unica cosa che ho trovato è dell’Istituto Italiano di Geofisica e Vulcanologia, secondo cui la Val d’Agri in Basilicata, dove già trivellano da vent’anni, “è una delle aree italiane a maggior potenziale sismico genetico. Il recente sviluppo urbanistico in particolar modo nella parte alta della valle e la presenza di infrastrutture legate all’attività di estrazione e raffinazione contribuiscono ad accrescere il rischio sismico dell’area che era stata già colpita da un terremoto nel 1857”.

In Italia abbiamo anche un altro problema, credo anche qui a Napoli, che è la subsidenza. In parole semplici, accade che estraendo dal sottosuolo un volume di acqua, di metano, di petrolio, qualsiasi cosa, rimane una vacuità, un buco, il territorio si abbassa e questa è la subsidenza. È un fenomeno irreversibile e sulla terraferma, dove ci sono tutte le nostre case, fabbriche, infrastrutture, può dare origine a grandi problemi. Solo alcuni fra i molti esempi. In Texas una zona che negli anni ’50 era tutta palude, dopo 20 anni è stata sommersa dall’acqua. Una piattaforma in Norvegia si è abbassata tra il 1974 e il 1984. In Louisiana, c’è la foto di un signore in un pozzo dove 100 anni prima c’era la casa dei suoi nonni. In Italia spesso i geologi dicono che se si va molto in profondità non ci saranno mai effetti sulla superficie, mentre dice l’U.S. Geological Survey: “Per decenni i geologi hanno creduto che i depositi di petrolio fossero troppo profondi e la geologia della costa troppo complessa affinché le trivellazioni avessero impatti sulla superficie”.

Anche in Italia abbiamo casi di subsidenza indotta. In provincia di Ravenna la terra si è abbassata di oltre un metro; fino al 1950 la subsidenza era dolce, poi, con l’inizio delle estrazioni di metano, è aumentata in maniera vertiginosa. Ravenna 1 metro e 15 centimetri, Rimini un po’di meno, Riccione di meno ancora. In uno studio dello stesso ENI si dice che in un campo davanti a Ravenna più aumenta la produzione di gas, più aumenta la subsidenza che è del 57% nel 1998 e che continua anche dopo l’estrazione di petrolio e di gas. Le alluvioni del Polesine furono dovute anche all’estrazione di metano nella zona, tanto è vero che quando il fenomeno divenne molto grave si decise di smantellare le operazioni nel Delta del Po. A Trecate in provincia di Novara nel 1994 scoppiò un pozzo e per 2-3 giorni ci fu eruzione ininterrotta di petrolio nell’ambiente, aree agricole divennero totalmente impraticabili, la bonifica impiegò molto tempo per essere completata e ancora adesso le zone più vicine al pozzo sono impraticabili; era un pozzo dell’ENI. Anche le risaie si riempirono di petrolio. A Policoro in Basilicata scoppiò un pozzo di gas sempre dell’ENI 20 anni fa e quasi non se ne è parlato. Questi scoppi sono molto frequenti in tutto il mondo anche se non se ne parla molto. Quello più famoso accadde nel golfo del Messico, 11 morti, il più grande disastro ambientale americano. Adesso anche se la stampa non ne parla più, ci vorranno decenni affinché le cose ritornino come prima. Oggi nel golfo del Messico si pescano gamberetti senza occhi, pesci con petrolio sotto le squame, pesci con tumori, delfini morti. Anche in Italia successe una cosa simile nel 1965 dove ci fu lo scoppio della piattaforma Paguro dell’Agip, non sapevano come fermare il flusso di metano ed acqua, che si interruppe solo dopo due mesi e mezzo quando finì il metano. Ci furono tre morti.

Per quanto riguarda la normativa il limite europeo della diossina è di 0,4 ng/m3, ma da noi è permesso arrivare a 10 ng/m3. La stessa cosa per l’idrogeno solforato. L’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità parla di limite massimo tollerabile per la salute umana di 0,005 parti per milione, in Massachusetts si arriva a 0,006, in Italia il limite massimo di rilascio di idrogeno solforato è di 5 ppm per l’industria non petrolifera e 30 ppm per quella petrolifera. Anche qui tra 30 e 0,005 c’è veramente un abisso. Per le trivellazioni a mare, in Norvegia c’è il limite di 50 km. dalla riva, negli Stati Uniti c’è il divieto di trivellare a 160 km. da riva. In Florida dove c’è più petrolio che in Basilicata, ogni tanto ci provano, ma i progetti vengono rispediti al mittente perché “gli scarichi di sostanze chimiche come bario e arsenico introdurrebbero quantità significative di contaminante in queste acque”. Anche questo lo dico sempre: una Nazione, una Regione, una Località deve avere una vocazione, l’Italia è il giardino del mondo, tutte le città in cui sono andata sono una più bella dell’altra e noi non possiamo pensare di fare l’Arabia Saudita in questo Paese, noi abbiamo un’altra vocazione, questo è un Paese di di storia, di cultura, di turismo. Pensare quindi di tenere insieme cose completamente opposte come petrolio e ambiente è illogico. Dobbiamo migliorare, non fare buchi, che vogliono fare dappertutto, a Venezia davanti alla laguna veneta, alle Isole Tremiti, a Pantelleria, nei Parchi Nazionali. Dicevamo che la fascia di rispetto dalla costa negli Stati Uniti è di 160 km., invece in Italia, in Abruzzo nel 2008 volevano addirittura mettere una piattaforma a 2 km. dalla riva. Per fortuna era soltanto una piattaforma esplorativa, è durata 3 mesi e poi siamo riusciti farla bocciare. In questo momento c’è il nuovo limite della Prestigiacomo che è di 9 km. dalla riva per tutta l’Italia.

Ovviamente 9 km. è meglio di 0 km., perché prima non c’era alcun limite, anche se è sempre poco e va migliorato. Appena è entrato in vigore i petrolieri hanno commentato che era troppo stringente, era un limite allo sviluppo, perché hanno questa fissa che il petrolio è lo sviluppo. Il governo italiano a noi cittadini su queste attività petrolifere non dice niente. Invece il governo norvegese: “Le attività di esplorazione e di produzione di petrolio e di gas generano grandi quantità di emissioni di inquinanti all’aria, all’acqua e al fondale marino. Gli inquinanti sono in tutti gli stadi delle operazioni petrolifere. Non è possibile operare efficientemente senza usare grandi quantità di sostanze chimiche”. Tracce di sostanze di perforazione sono state trovate dal Mare del Nord fino ad Oslo.

 

L’idea che queste attività portano ricchezza, lavoro, benessere, sviluppo è completamente falsa, basta vedere cosa succede in Basilicata dove già le trivelle sussistono da 20 anni. “Basilicata: il petrolio che non porta ricchezza”, lo scrive il Corriere della Sera, “Aumenta l’inquinamento, sono pochi gli assunti”; e infatti sono poche le persone che lavorano con il petrolio in Basilicata. “Non si sa quanto petrolio viene estratto. È mistero sul numero di barili”. “Con le royalties del petrolio sognavamo di diventare ricchi come arabi. Invece ci ritroviamo al posto d’onore nella classifica della povertà”. Nel 2011, secondo l’Istat, i più poveri d’Italia erano i Lucani, quindi se tutto questo petrolio ha portato ricchezza, non l’ha certamente portata agli abitanti, ai cittadini, ma magari all’ENI. Oltre al danno anche la beffa, perché la benzina costa più cara in Basilicata, che in altre parti d’Italia.

Altri esempi d’inquinamento. Il parco della Val d’Agri è tutto riempito da operazioni petrolifere, ogni tanto ci sono sversamenti illegali di sostanze tossiche dai pozzi nel parco e nessuno vede; siccome non ci soldi per bonificare, tutto quello che si fa è di mettere cartellini con su scritto che è un territorio con sostanze inquinanti. Qui ancora l’ENI aveva promesso monitoraggio, registrazione del punto 0, non si è verificato niente, il punto 0 non è stato mai determinato e non è possibile fare paragoni. Il monitoraggio è iniziato nel 2011, l’anno scorso. L’altro ieri ci sono andata per capire come funzionava questo centro ma non hanno un dato, non c’è nessuno.

Nella Val d’Agri ci sono sorgenti millenarie, ne avevano già parlato i Romani, e adesso sono chiuse perché inquinate, probabilmente dalle operazioni petrolifere. Il giornale di una città che si chiama Calvello dice: “Nel terreno e nell’acqua sono state rinvenute sostanze pericolose ed inquinanti con molta probabilità derivanti dall’attività petrolifera”. “L’aria puzza di petrolio”. “Inquinamento in Val d’Agri”.

Il problema dell’agricoltura. Una volta a Viggiano, questo paese dove c’è il Centro Oli, c’erano vigne che producevano uva e vino di qualità, come i frutteti e le mele della Val d’Agri.

Tutto questo avvelenare l’aria, l’acqua, le falde acquifere, alla fine è avvelenare noi. In Italia il numero di tumori dei bambini è il doppio rispetto a quello degli altri paesi d’Europa e degli Stati Uniti. “Tumori in aumento”. I tumori in età giovanile per la maggior parte vengono tutti quanti per l’esposizione agli inquinanti.

“Tutto parte dall’informazione” è una frase di 100 anni fa di un tizio che combatteva il magnate americano del petrolio Rockfeller, secondo il quale il vero capitale dei monopolisti, che in questo caso sono le multinazionali, è l’ignoranza della gente. Loro vogliono che noi pensiamo che il petrolio ci fa ricchi etc. etc., perché soltanto così possono andare avanti e fare tutto quello che fanno, arricchendosi alle nostre spalle.

Grazie per l’attenzione.

Articolo apparso su L’Alfiere n. 60, costituito dal testo della conferenza di Maria Rita D’Orsogna, fisico, docente della State University di Los Angeles, al convegno Questa Terra non si Tocca, organizzato da L’Alfiere e da Controcorrente Edizioni, tenutosi con grande successo a Napoli il 13 ottobre 2012.