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Giugno 1946: aveva vinto la Monarchia

di Antonio Serena - 25/04/2016

Giugno 1946: aveva vinto la Monarchia

Fonte: liberaopinione

 

Tra una corona e l’altra alle Ardeatine, il presidente Mattarella nelle ricorrenze stabilite rilascia anche dichiarazioni storiche che, prive spesso di qualsivoglia documentazione, suonano unicamente come meri sostegni propagandistici ad un regime – quello importato dagli americani nel nostro Paese nel 1945 – che, anche nelle sue recenti varianti, dà parecchi segni di insostenibilità e usura.  Contraddicendo gli storici più qualificati che hanno stabilito all’unisono, pur con accentuazioni diverse, che la stragrande maggioranza degli italiani si rifugiò nel corso della guerra civile in una “zona grigia” di disimpegno e disinteresse in attesa della fine delle ostilità, il Nostro ha voluto dire la sua affermando, tra storia a propaganda, che “la Resistenza ebbe una partecipazione popolare che rese possibile la Liberazione”.

Anticipando poi la festa della Repubblica, ha anche voluto aggiungere che la “dimensione popolare” della Resistenza” partorì le scelte istituzionali successive, cosicché il referendum del 2 giugno 1946 fu “rifiuto della monarchia e scelta coerente coi valori di solidarietà su cui si basava la Resistenza”.

A prescindere dall’interpretazione che si vuol dare a queste accelerazioni antifasciste di Mattarella in un momento storico critico per le istituzioni nate dalla Resistenza, meraviglia non poco che il presidente si soffermi più del dovuto sul referendum istituzionale del giugno 1946, altresì noto come “referendum delle calcolatrici di Romita”, dal nome del Ministero dell’Interno di allora che sui risultati di quella consultazione giocò un ruolo preminente e decisivo, argomenti a tutti noti.

Il 2 e 3 giugno 1946 gli italiani furono chiamati a pronunciarsi tra Repubblica e Monarchia. Il referendum fu a suffragio universale e, se è vero che per la prima volta furono ammesse al voto le donne, è vero altresì che dal voto furono esclusi circa 3.000.000 di italiani: cittadini di dell’Alto Adige e della Venezia Giulia, della Dalmazia e della Libia, allora italiana, tutte terre “di confine” le cui popolazioni avrebbero visto maggiormente tutelata la loro italianità dalla Monarchia. Costoro, secondo il Ministero dell’Interno, sarebbero stati chiamati alle urne “con successivi provvedimenti”, ma ciò non accadde. Pure esclusi dal voto furono i prigionieri di guerra, gli italiani delle colonie, gli sfollati, 300 mila profughi, gli epurati che si erano compromessi col fascismo e i loro familiari (e chi non lo aveva fatto?), per un totale che superava abbondantemente il 10 per cento della popolazione italiana di allora.  Un’aberrazione giuridica.

C’è da dire che, anche se le elezioni si svolsero in un clima disteso, le violenze e la confusione imperavano da tempo perché l’aria tirava dalla parte dei monarchici e la sinistra, per voce di Pietro Nenni, aveva parlato chiaro: “O la Repubblica o il caos”. E non solo lui. Il ministro delle Finanze, il comunista Mauro Scoccimarro, in un comizio a Frascati prospettò un’ipotesi di rivoluzione nel caso avessero vinto i monarchici.

In quel periodo anche Sandro Pertini, il futuro amico degli infoibatori slavi (“cuor di leone e cervello di gallina”, come lo definì il suo compagno Riccardo Lombardi) insisteva per fucilare Umberto di Savoia. E il caos evocato da Nenni vi fu: nelle strade e nelle urne. Un clima di terrore che si manifestò con maggior virulenza a Napoli e a Roma, dove i partecipanti all’adunata monarchica del 10 maggio vennero assaliti dagli ex partigiani di Romita inquadrati nella polizia, ma che non risparmiò nemmeno il Nord, dove agivano ancora impuniti i killer delle tristemente famose “Volanti Rosse”.

Chiuse le urne, il 4 giugno, a metà spoglio, i Carabinieri informarono la Santa Sede (non è mai stato chiarito il motivo di tale scelta) che la Monarchia stava vincendo ed una certa apprensione si sparse nelle Questure, allora controllate dalle polizie partigiane ed in contatto con le truppe titine, ammassate al confine orientale e pronte ad intervenire nel caso di vittoria dei monarchici.

Il mattino del 5 giugno, dopo che i rapporti dei Carabinieri presenti in tutti i seggi confermarono al Ministro degli Interni Romita la vittoria della Monarchia e lo stesso annuncio venne dato da Alcide De Gasperi a Re Umberto II, ebbero inizio una serie di oscure manovre coordinate dallo stesso Ministro degli Interni che in una notte – quella dal 5 al 6 giugno – ribaltarono il risultato dando questo esito: 10.719.284 favorevoli alla Monarchia, 12.717.923 favorevoli alla Repubblica. Il numero di votanti era decisamente alto e i successivi accertamenti statistici portarono a concludere che non potevano che essere state aggiunte delle schede all’ultimo momento.

 Scrive lo storico Giovanni Bartolone: “Il governo non comunicò in anticipo, come avviene in tute le nazioni del mondo, il numero degli aventi diritto al voto. Anzi, secondo molti studiosi, dalle urne non potevano venir fuori tutte quelle schede…I conti non tornano tra i risultati del referendum, i probabili aventi diritto al voto e la popolazione italiana del tempo. Ci sarebbero stati 2 milioni di voti in più nelle urne. Numerose persone ricevettero 2 o 3 certificati elettorali. Lo stesso accadde per molti defunti. Due operai comunisti impiegati ai Monopoli furono arrestati mentre trafugavano pacchi di schede elettorali prima del voto…”

A questo punto fioccarono i ricorsi, 21 mila circa, nei quali si denunciava, tra le altre cose, che all’ultimo momento erano pervenute al Ministero dell’Interno una gran mole di schede elettorali, e che molte schede favorevoli alla Monarchia erano state fatte sparire e in seguito distrutte. In seguito si scopriranno anche i luoghi dove sarebbero state murate: secondo alcuni persino l’Aula della Camera dei Deputati, nelle colonne delle tribune riservate al pubblico. Ebbene tutta questa gran mole di ricorsi venne esaminata e respinta in meno di 15 giorni.

Un buon apporto alla vittoria dei repubblicani fu dato anche dai servizi segreti americani, favorevoli a quella fazione, a differenza di quelli inglesi, favorevoli alla Monarchia.

Il 10 giugno, mentre ancora venivano esaminati i ricorsi, la Corte di Cassazione diede la notizia ufficiosa della vittoria della Repubblica, annunciando che la proclamazione ufficiale sarebbe stata fatta il 18 giugno. Ma nella notte fra il 10 e l’11 giugno 1946, senza attendere l’annunciata seduta ufficiale della Suprema Corte di Cassazione per la proclamazione dei risultati, il Governo prende atto della vittoria “ufficiosa” della Repubblica e nomina Alcide De Gasperi (monarchico) Capo provvisorio dello Stato.

Scoppiano nel frattempo in tutta Italia rivolte contri i brogli nel referendum, chiari ormai a tutti. Particolarmente aspre le sommosse a Napoli dove, tra l’8 e l’11 giugno reparti della polizia speciale partigiana intervengono con carri armati ed altri mezzi pesanti uccidendo 9 persone e ferendone alcune centinaia.  Intervengono allora i Reali Carabinieri e la polizia militare americana che a stento riuscirono a sottrarre celerini ed attivisti comunisti alla rabbia popolare.

Il resto è noto: al fine di evitare una nuova guerra civile Umberto II parte per l’esilio dopo aver diramato un comunicato in cui contestava i risultati elettorali e le numerose violazioni alla legge da parte del Governo e di altre istituzioni.

La storia è questa, checché ne pensi l’attuale inquilino del Quirinale. Sia relativamente al referendum monarchia-repubblica che alla supposta “partecipazione popolare” del popolo italiano alla resistenza.

Non solo. Da allora certi vizietti la repubblica non li ha ancor persi (…) e anche gli esiti dei referendum - forma di democrazia diretta sgradita a molti politici -  continuano a venir disattesi (abolizione del finanziamento pubblico dei partiti votato dal 90,30% degli italiani).

“Il lupo perde il pelo, ma non il vizio”.