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Arnold Gehlen anticipa Bauman: intuì il trionfo dell’incertezza

di Carlo Bordoni - 27/04/2016

Arnold Gehlen anticipa Bauman: intuì il trionfo dell’incertezza

Fonte: La Lettura


I guasti dell’individualismo esasperato rendono attuali le idee del filosofo tedesco sul valore delle istituzioni

L’incertezza ha un’origine antica. Per questo l’uomo si è dotato delle «istituzioni», entità sociali autonome a sua difesa. È la tesi di , studioso tedesco autore di una «antropologia filosofica» di cui Mimesis ristampa ora, a cura di Vallori Rasini, il testo più ambizioso del 1956, L’uomo delle origini e la tarda cultura che, assieme al successivo L’uomo nell’era della tecnica (1957), tenta di «condurre la sociologia entro il territorio della filosofia», utilizzando la chiave dell’antropologia. Lo scopo è realizzare una «teoria delle istituzioni», le sole capaci di mantenere la tradizione dei saperi e porre un freno alla disgregazione che sconvolge l’umanità.
Dopo una rapida carriera accademica, agevolata dalla sua adesione al partito nazista nel 1933, e la nomina a ordinario di Filosofia a Lipsia, a Königsberg e a Vienna, al termine del conflitto Gehlen viene privato della cattedra e successivamente incaricato di sociologia ad Aquisgrana, dove resterà fino al pensionamento nel 1969. Malgrado la fedeltà al regime, Gehlen non può essere considerato nazista: spento l’iniziale entusiasmo, si era presto defilato e il suo lavoro del 1940 L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, era stato accolto con freddezza, proprio perché esente da ogni riferimento razziale.
Personalità discussa, si riscatta per la coerenza dei suoi studi, ma resta tuttavia profondamente conservatore anche nel dopoguerra, quando scrive le opere più note. Esprime un’idea dell’uomo che si discosta dagli studi dell’antropologia contemporanea, rifiuta la teoria evoluzionista di Darwin e si pone piuttosto nel solco della Kulturkritik di gran moda negli anni fra le due guerre, affascinato da Oswald Spengler, l’autore del Tramonto dell’Occidente (1918) e dal suo pessimistico affresco della decadenza della civiltà moderna.
Influenzato da Max Weber, di cui utilizza gli studi sulle religioni primitive, Gehlen si rifà alle forme arcaiche della cultura e della comunità, perché risalire alle origini aiuta a comprendere il presente. Riprende da Nietzsche l’idea dell’incompiutezza dell’uomo e ne fa il paradigma del suo progetto di riappropriazione della naturalità umana. «L’uomo non è conformato per un ambiente naturale peculiare della sua specie — scrive — e di conseguenza non ha altra risorsa che trasformare con la sua intelligenza qualsivoglia stato di cose da lui incontrato nella natura». La sua debolezza e la sua inadeguatezza a sopravvivere in un mondo inospitale ne fanno un «animale carente». Ma è grazie alla sua capacità di adattamento ai diversi climi che riesce a superare le sue carenze e a diversificarsi dagli animali. Nella sua azione prepara il domani e si volge a costruirlo secondo i propri bisogni. Modifica la natura e dà forma al mondo: è l’unico essere che modifichi l’ambiente, proprio perché non lo avverte adatto a sé, mentre l’animale si accontenta di sopravvivere.
Se l’uomo non è il prodotto di un’evoluzione naturale, ma frutto di un adattamento all’ambiente, è anche autore della propria evoluzione, spinto dall’istinto: una sorta di «eccesso pulsionale» — spiega Ubaldo Fadini, uno dei massimi studiosi di Gehlen — quale risorsa decisiva per la realizzazione del tessuto istituzionale. L’esonero è il processo che porta a controllare l’istinto, la distanza che si frappone tra questo e il comportamento. Ed è proprio l’inibizione delle pulsioni a originare la civiltà: la comunità è il suo destino naturale. Ma la vita pulsionale, se non controllata, può degenerare.
Le istituzioni, prodotto dei legami so- ciali che l’uomo si è costruito attorno nel tempo (la comunità, la famiglia, lo Stato, le autorità giuridiche ed economiche), non solo sono utili alla sua difesa, ma assumono un’autonomia propria e producono una forza capace di imporre e conservare le idee guida. Ma la modernità è cresciuta sotto il segno del soggettivismo e dell’individualismo, aspetti che fanno presagire un minaccioso «smantellamento delle istituzioni», invece indispensabili a fornire le certezze della convivenza civile. Il loro degrado, provocato da un eccesso di individualismo, produce insicurezza. Solo restando all’interno delle istituzioni l’uomo può salvarsi e progredire, sviluppando correttamente la sua naturale tendenza all’azione.
In uno stimolante confronto radiofonico del 1965 («La sociologia è una scienza dell’uomo?», in Desiderio di vita, a cura di Fadini, Mimesis, 1995), Theodor W. Adorno respinge la tesi di Gehlen dell’umano come «essere carente», sostenendo che la naturalità dell’uomo non è innata, bensì conseguenza dello sviluppo storico e delle condizioni storico-sociali. E, come tale, può essere modificata. Gehlen gli oppone l’immutabilità della conformazione umana, affermando che la sua forza risiede nell’aggregazione all’interno delle istituzioni, a formare una massa uniforme, unita e solidale.
Nei confronti della massa Gehlen presenta una certa ambiguità. La vede positivamente rispetto alla pericolosa tendenza all’individualismo, ma è «infastidito dalle pretese democratiche delle masse — nota Vallori Rasini nell’introduzione — e preoccupato da un moralismo che sempre più intacca la solidità di antichi valori forti», col distacco (e forse il disprezzo) proprio dell’élite. Un atteggiamento che richiama le teorie sociali di Pareto, Mosca e Michels, per i quali la storia è prodotta dalla lotta tra le élite dirigenti per ottenere il potere. Resta infatti ferma in lui la distinzione tra una minoranza qualificata, capace di pensare, agire e farsi carico dei problemi, e una maggioranza che si consuma in un lavoro ripetitivo e si dedica allo svago.
Le sue ultime osservazioni, nel volume postumo Einblicke («Intuito») del 1978, sono assai critiche nei confronti della cultura di massa (e in particolare della televisione), capace di esercitare una forte coercizione sociale; né sfugge a Gehlen il suo carattere formativo/informativo, teso al diffondersi di un «pensiero unico» omologante, senza capacità critica. Di quella omologazione necessaria ai fini di una stretta adesione alle istituzioni non coglie però il fatto che le stesse istituzioni sono soggette a una gestione che potrebbe risultare arbitraria, se non retta da regole democratiche.
Anche sulla democrazia in generale ha ampie riserve. Ma se politicamente non appare attuale, Gehlen ha il merito di aver anticipato «antropologicamente» il rischio di una crescente incertezza esistenziale che mezzo secolo più tardi la sociologia (Bauman, Touraine, Beck) avrebbe indicato come la caratteristica più evidente del nostro tempo. Un tempo di incertezze dove la perdita di valori di riferimento, più che allo sfaldamento delle ideologie, è dovuta in buona parte alla sfiducia nelle istituzioni rassicuranti di cui l’uomo si era dotato fin dall’antichità. Ma neppure Gehlen, nel suo radicale conservatorismo, sarebbe d’accordo per tornare al passato.