Il Cavallo di Troia liberale
di GianMaria Vianova - 28/04/2016
Fonte: L'intellettuale dissidente
La settimana più calda per l’ipocrisia italiana. La festa a tutti i costi. La celebrazione di un qualcosa che non ha ragion d’essere celebrata nel 2016. I sette giorni che intercorrono tra la Festa della Liberazione e la Festa dei Lavoratori sono la migliore occasione possibile, in possesso dei Poteri Forti, per insinuare nella popolazione la credenza che tutto sia come prima. La Liberazione dall’occupazione nazista e dal fascismo come evento una tantum nella linea temporale, nonché la conquista di diritti da parte della classe operaia idealizzata in una sfera di progresso giunto al termine del suo percorso. Il dramma non compreso dagli italiani è precisamente la regressione complessiva che ha caratterizzato la seconda metà del novecento, nonché i primi anni del terzo millennio.
Le due festività cadono sequenzialmente e a distanza decisamente ravvicinata: in un certo senso non si tratta di una casualità. La libertà dall’occupazione straniera, nonché la libertà dal regime totalitario fascista, ha sostanzialmente sancito il trionfo della indipendente sovranità popolare sulle forze extra-nazionali, aprendo le porte ad un governo del popolo dei lavoratori per il popolo dei lavoratori, una Repubblica Democratica accompagnata da una eccezionale Costituzione. Le premesse per un progresso sia in termini di potere decisionale che di diritti sociali ineccepibili, l’occupazione lavorativa, c’erano tutte. Il subdolo dramma consumatosi proprio negli anni in cui questo sogno si doveva realizzare ha cancellato ogni speranza e conquista derivante da sanguinarie lotte del passato recente. Come Troia fu conquistata durante la notte, approfittando della sbornia collettiva post-ingresso del Cavallo, così anche la condizione dei lavoratori è stata stuprata ignobilmente e implicitamente attraverso l’affermarsi della peggiore sfumatura che la libertà potesse acquisire: il neo-liberismo. Si tratta di un germe vero e proprio, evoluto nel corso degli anni in una forma nascosta e loscamente solida che si attualizza nella burocrazia sovranazionale. Hegelianamente, attraverso la loro antitesi, la regolamentazione e i parametri si sono instaurati superando la sfera del meramente astratto e soggettivo pensiero economico, venendo inglobati dai nostri ordinamenti in favore della vita eterna.
La libertà (e la libera possibilità di attuare politiche economiche in favore dei lavoratori) è stata cancellata da una Unione Europea che nulla vuole se non l’annichilimento della libertà sovrana dei singoli Stati di emanare leggi a vantaggio di un freddo accentramento verso Bruxelles. Principi fondanti dell’UE sono la stabilità e una “economia sociale di mercato” (TUE) fortemente competitiva, lontani anni luce rispetto al diritto all’occupazione sancito dalla nostra Costituzione (che ha nel principio lavorista uno dei fondamenti, se non il fondamento, del nostro essere Stato). La libertà donataci dalle truppe americane (in modo palesemente non gratuito) si limita ad una celata subordinazione ad organismi non democraticamente eletti, a loro volta schiavi di parametri lontani dalla realtà e dalla ricerca del benessere pubblico.
L’ex presidente della Repubblica Alessandro Pertini (contrario al Patto Atlantico tra le altre cose, ndr) definiva con queste parole il concetto di libertà: “[…] La libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io”. Lo stretto legame tra la Liberazione e i lavoratori emerge qui con una strabordante forza. Non vi è concetto filosofico più pertinente alla libertà democratica del “libero arbitrio”. La libertà è stata guadagnata faticosamente e di Lei se ne può fare l’uso che si vuole: proprio tramite questo cavillo filosofico il Potere, solo apparentemente sconfitto e abbattuto, ha ripreso in mano le redini del destino collettivo. L’induzione dall’esterno di principi non funzionali al benessere dei lavoratori, recepiti attraverso le leggi (quindi in modo coerente con la libertà), ha provocato un cortocircuito micidiale all’interno del nostro sistema economico. Se è vero che i soldi non fanno la felicità, essi comunque acquistano a livello macroscopico il ruolo marxiano di struttura della nostra società, influenzando ogni componente sovrastrutturale della stessa. L’apparente liberazione del 25 aprile 1945, ogni anno festeggiata meccanicamente dagli italiani, perde di ogni qualsivoglia valore nel momento in cui la libertà economica viene a mancare. Fiscal Compact, Maastricht, Jobs Act, Bail-in (e si potrebbe continuare) hanno come conseguenza l’amputazione delle braccia dello Stato, ora in balìa del libero e spietato mercato: in sostanza ai lavoratori rimane il Concertone con Caparezza. Durante i restanti 364 giorni dell’anno vi è l’impossibilità di aumentare la spesa pubblica o di fare pressioni per incentivare l’occupazione e l’aumento delle retribuzioni (quindi dei consumi). Impossibilità di dare garanzie solide ai prestatori di lavoro, a fronte della imprescindibile necessità di riformare il mercato del lavoro in termini di maggiore flessibilità. Impossibilità di dare un reale valore alla festa del 1 maggio o a quella del 25 aprile. La propaganda mediatica della settimana non può che nascondere la cruda realtà dei fatti: lo Stato, celebrato come libero e sovrano è in realtà ridotto ad un grattacielo in dismissione cosparso di scatoloni di segretari licenziati. Un rudere. Allora ci si chiede cosa sia la Festa dei Lavoratori se non un ritrovo di giovani disoccupati che fantasticano sulla piena occupazione dell’Italia della Liretta. Allora ci si chiede cosa sia la Festa della Liberazione, se non l’affermarsi di un neo-liberismo del III millennio, ormai incastonato nel gioiello rovinato della ex Repubblica Italiana. Allora ci si chiede cosa sia ad oggi la “sovrana” Repubblica Democratica, se non una fastidiosa complicazione per il “New Italian Order”.