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Prima disarmi Israele

di Stefano Chiarini - 16/09/2006

 
Libano, parla Nabil Qaouk, responsabile di Hezbollah per il sud del paese

«I soldati italiani dell'Unifil benvenuti solo se ci lasceranno operare come sempre». E Israele già modifica il confine


«Volevano annientarci, volevano cacciarci dalla zona a sud del fiume Litani, disarmarci e porre fine alla resistenza. Ebbene eccoci qui di nuovo a Khiam come un anno fa, in vista del confine, con le nostre armi e la nostra determinazione a continuare la resistenza, finché non avremo liberato l'ultimo lembo di terra libanese e fino a che Israele non avrà lasciato i territori occupati. Per questo non intendiamo neppure discutere di un nostro disarmo, qualunque cosa dicano a Beirut. Certo nessuno vedrà le nostre armi nel Libano del sud ma nessuno, è bene essere chiari su questo punto, né l'esercito, né l'Unifil le dovrà cercare e toccare». Nabil Qaouk, responsabile politico-militare di Hezbollah per il sud del Libano, avvolto in un mantello grigio-marrone e con il tradizionale turbante dei religiosi sciiti, non lascia molti dubbi sul messaggio, meglio dire sul monito, che nelle ultime ore la leadership del movimento, con un intervento del segretario generale Hassan Nasrallah, ha mandato all'Onu, ai paesi che stanno inviando le truppe in Libano e allo stesso premier libanese contro l'istituzione di una sorta di mandato coloniale sul Libano e il tentativo di porre fine alla resistenza utilizzando le forze nultinazionali. Una dura presa di posizione che risponde anche alle sempre più forti pressioni della base e degli abitanti della regione, esasperati per la totale assenza del governo di Beirut durante l'aggressione israeliana e per le continue violazioni israeliane della tregua. Abitanti che nel paese di Ait al Shaab, a ridosso del confine, due notti fa hanno ripreso le armi per respingere un nuovo attacco israeliano contro il villaggio, così come nella vicina Bint Jbail, ridotta ad un cumulo di macerie ma mai conquistata, o che a Strifa, hanno bloccato la strada per Tiro contro il «disinteresse delle autorità» nella ricostruzione delle loro case devastate dai bombardamenti israeliani e che ieri notte avrebbero lanciato sassi e bottiglie, senza fari danni o feriti, contro le autoblindo del contingente italiano di stanza nella vicina collina di Jebel Maroun.

L'esponente sciita ci riceve, nell'ambito delle commemorazioni per la strage di Sabra e Chatila e per quelle di quest'ultima guerra, nella ex portineria esterna di quello che sino a poche settimane fa era l'ex carcere di Khiam e che i bombardamenti israeliani hanno ridotto ora ad una grande piazza, in cima ad una collina, ricoperta di macerie, calcinacci e tondini di ferro divelti. Qua e là qualche mezzo lasciato dagli israeliani nel 2000 incenerito o accartocciato, pezzi di ferro delle porticine delle segrete dei sotterranei, filo spinato, mattoni. Alcune decine di ragazzini del vicino omonimo paese di Khiam vagano qua e là con i cappelletti da baseball rossi distribuiti per celebrare quella che viene definita una «vittoria divina» e giocano tra le macerie facendo il segno della vittoria e gridando ridendo «Qullu Hezbollah», qui tutti Hezbollah. Auto di grossa cilindrata della sicurezza e giovani militanti in moto controllano le strade che si avvicinano al paese passando con un impercettibile cenno della mano attraverso i posti di blocco istituiti di recente dall'appena arrivato esercito libanese. Ogni tanto nelle vicinanze, più a valle dove si intravede al di là di una leggera nebbiolina il confine con Israele, passano le macchine bianche con la bandiera blu dell'Unifil con a bordo i soldati. Nel cielo blu intenso continuano a sfrecciare come sempre gli aerei da guerra israeliani che ieri hanno sorvolato non solo il sud del Libano, in particolare la città di Nabatiyeh, ma anche la valle della Beqaa con la città di Baalbeck. Sarebbero oltre cento, secondo l'Unifil, le violazioni israeliane dal «cessate il fuoco» ad oggi. Gli interventi degli esponenti Hezbollah, in questi ultimi giorni, sono tutti improntanti a celebrare «la vittoria» del Libano - il segretario Hassan Nasrallah è apparso ieri in televisione non con il mantello nero usuale ma con quello della festa marrone tutto intessuto con pregiata lana di cammello proveniente dalla città santa irachena di Najaf - e ancor più lo è quello dello sheik Nabil Qaouk, uno degli strateghi del movimento che unendo le tecniche della guerriglia a quelle della guerra convenzionale, è riuscito a fermare la macchina bellica israeliana - con la piana di Khiam cosparsa tra i campi di tabacco di grandi macchie nere oleastre, là dove sono bruciati di versi tank di Tel Aviv. «I nostri giovani combattenti con il loro sacrificio - ci dice in una grande stanza coperta di tappeti sullo sfondo di un murales sulla guerra - sono riusciti a fermare i piani di Usa e Israele sia per il Libano che per la Regione e non siamo disposti a permettere che questo successo sia svuotato da altre risoluzioni dell'Onu o da accordi presti sopra la nostra testa. Il Libano deve restare un paese arabo, libero e con una piena sovranità su tutti i suoi territori. Per questo continueremo a combattere fino alla liberazione delle fattorie di Sheba e delle colline di Kfar Shuba». In ogni caso però il movimento sembra deciso a dare un certo tempo alla diplomazia: «Se le fattorie di Sheba passassero sotto controllo dell'Onu a noi andrebbe benissimo - ci dice sorridendo - a noi non piace la guerra e abbiamo di meglio da fare». La pazienza avrebbe però un limite dal momento che «se qualcuno ha dato ad Israele assicurazioni sul fatto che continueranno ad occuparle, sappia che nessuno potrà mai garantire nulla ad un occupante e che la guerriglia continuerà fino al totale ritiro israeliano». Per quanto riguarda le forze dell'«Unifil due» l'esponente Hezbollah sostiene che non «hanno nulla da temere», purché rispettino un'interpretazione della risoluzione sul cessate il fuoco, la 1701, che non interferisca con le attività della resistenza libanese, come ha sempre fatto, dal 1978 ad oggi la vecchia la Unifil nel Libano del Sud. Un'apertura di credito anche all'Italia che, sostiene, andando via dall'Iraq «è entrata nel cuore dei libanesi ma che continuerà ad esserlo se non sarà strumento dei piani degli Usa e di Israele». Del resto essendo composte da abitanti dei villaggi del sud le forze militari degli Hezbollah, sostiene Nabil Qaouk, non sono mai andate via e non andranno mai via dai loro paesi al punto che anche le visite delle delegazioni straniere nella zona sono tutte coordinate con i rappresentanti del movimento che nottetempo continuano a pattugliare le colline mentre più a valle i bulldozer israeliani cercano di modificare il confine come hanno cercato di cancellare il ricordo dei crimini commessi nel carcere di Khiam cancellandone l'esistenza e la memoria. E con il carcere anche il paese abbarbicato su una collina con tutte le case mitragliate, bruciate, ferite dalle cannonate o annientate dalle bombe o dai missili. Nonostante ciò i profughi cominciano a tornare a bordo di vecchi camion e camioncini scoperti carichi di mobilia e di materassi, accampandosi tra le rovine o sistemandosi presso parenti. Una determinazione a riprendere a vivere e a combattere - sostiene Nabil Qaouk - per la quale «continueremo ad essere, qui a pochi chilometri dal confine, come prima della guerra, un osso nella gola di Israele e degli Usa». Poi l'esponente di Hezbollah, prima di lasciarci e dopo l'ennesima foto di gruppo, indica alcuni piccoli paesi lì alle pendici del monte Hermon, proprio davanti alla collina dove ci troviamo e sorridendo ci dice: «Il prossimo anno ci vediamo laggiù, alle fattorie di Sheba».