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L’intreccio perverso tra capitalismo e pornografia

di Francesco Latiano - 14/05/2016

L’intreccio perverso tra capitalismo e pornografia

Fonte: azioneculturale

Ad oggi è estremamente difficile esprimere una posizione critica verso il fenomeno della pornografia. Soprattutto se si è giovani e, ormai giocoforza inseriti in quella che è la società moderna, risulta assai arduo discuterne in modo critico con dei coetanei senza venire additato come “sessuofobo”, “moralista”, “bacchettone” o preso di mira da qualche altro insulto partorito direttamente dal dizionario del lessico conformista.

Tutto ciò è una diretta derivazione del modo di pensare imposto dopo l’esperienza sessantottina, che ha istituzionalizzato una visione libertaria della sessualità e di ogni aspetto ad essa correlato.

Come all’epoca le femministe berciavano contro la sessuofobia e il moralismo dei mutandoni democristiani, anche oggi qualsiasi approccio che contempli una critica anche minima alla pornografia come fenomeno di massa viene immediatamente cestinato con le etichette di cui parlavamo sopra.

Ad oggi la pornografia è a tutti gli effetti un fenomeno di massa: quasi il 50% degli utenti del web visita quotidianamente siti di natura pornografica ed il settore hard con i suoi 4 milioni di siti costituisce circa il 12%
di internet.

Nella percentuale non sono poi inclusi quelli che entrano in contatto con del materiale pornograficoinvolontariamente, ovvero tramite ricerche che miravano ad altro.

Un fenomeno di proporzioni gigantesche dunque, che prospera nel sistema capitalista odierno: il settore ha redditi superiori persino a quelli di colossi come Microsoft, Google o Amazon. Quello che c’è oggi tra pornografia e capitalismo è dunque un legame innegabile e apparentemente inscindibile.

Se l’era della globalizzazione e della libertà economica ha contribuito a renderla fruibile a tutti, è anche doveroso precisare come la pornografia esistesse anche prima dell’affermarsi del capitalismo assoluto.

Sia nell’Italia liberale prima e fascista poi de facto costituiva un fenomeno prettamente clandestino, con foto osé che circolavano tra i soldati o nelle case di tolleranza.

Solo in seguito i capitalisti hanno sfruttato l’onda in modo totalmente funzionale ai loro interessi. La trasformazione dei target della pornografia infatti coincide con la sua progressiva immissione nell’economia di mercato: da qui la glorificazione dell’eccesso, tramite la sistematica rappresentazione di situazioni via via più spinte, donne sempre più giovani e atti sempre più degradanti.

Divenendo oggetto di mercato, tutto diventa possibile: per i capitalisti il profitto viene prima di ogni cosa, quindi non deve assolutamente stupire che non abbiano alcuno scrupolo morale.

Lo stesso rapporto sessuale, che dovrebbe rappresentare la più intima unione tra due individui, viene via via declassato fino a non contare più di una Coca Cola bevuta con degli amici.

Il tutto ovviamente ha riflessi drastici anche sulla società. La dipendenza da questo tipo di materiale è una delle principali cause dell’allontanamento di molti giovani dal sesso reale. Abituati al ritmo incalzante di una pornografia esagerata e eccessiva, essi non riescono più nemmeno a concepire un’eccitazione che non derivi da materiale hard.

Di conseguenza, privati della naturale fantasia erotica ormai sostituita da filmatini preconfezionati di qualche minuto, diventa estremamente difficile per loro condurre una vita sessuale sana e normale.

L’homo novus del capitalismo, il consumatore anonimo, si manifesta quindi nel “pornofilo” così come nel banale cliente di un Apple Store: entrambi sono attratti dal consumo illimitato prima che dalla merce stessa. Sono attratti dalla legalizzazione dell’eccesso, dalla perversione del godimento illimitato, dalla possibilità di avere tutto e subito.

Il sistema si assicura così la sopravvivenza, troncando a priori con questa allucinazione collettiva qualsiasi spirito critico o coscienza oppositiva.

Un apparente vicolo cieco, da cui si può uscire solamente rifiutando in modo totale questo tipo di società, abbandonando questo individualismo feroce che ha prodotto degli individui atomizzati e completamente slegati da qualsivoglia prospettiva comunitaria.

Riprendere in mano il futuro significa in primis spezzare questa allucinazione collettiva e ritornare a pensare con la propria testa, senza cedere alle lusinghe di una realtà priva ormai di qualsivoglia valore.