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L'Ecosofia T di Arne Naess: tra ontologia della Gestalt e Autorealizzazione

di Francesca Sommariva - 16/05/2016

L'Ecosofia T di Arne Naess: tra ontologia della Gestalt e Autorealizzazione

Fonte: filosofiatv

L'Ecosofia T é la personale risposta di Naess alla crisi ecologica globale. Essa muove dalla constatazione di un negativo che ancor prima di essere materiale, ambientale, è esistenziale. L'inquinamento, la distruzione della biodiversità, lo sfruttamento delle risorse sono motivazioni superficiali, accettabili ad un primo livello di comunicazione del problema, ma essenzialmente antropocentriche, cioè  incentrate sull'uomo, mentre alla natura viene conferito un significato solamente strumentale, ossia in termini di uso e abuso da parte dell'essere umano. L'essenza dell'ecologia profonda, o ecosofia, consiste invece nel porsi domande più radicali, laddove l'aggettivo "radicale" indica esattamente l'atto, o meglio l'attività, di interrogarsi circa il perchè della crisi ecologica. L'ecosofia supera il livello scientifico- fattuale dell'ὃτι, del "che cosa", per approdare a quello del διότι, ossia del perchè si sia prodotto un certo stato di cose.
L'ecosofia si presenta, dunque, come una forma di saggezza (wisdom), di visione profonda (insight), la quale muove dalla gravità della situazione (ambientale ed esistenziale), proiettando la domanda di cambiamento. L'ecosofia supera il livello cosiddetto scientifico-fattuale per approdare al livello del Sé – dove Sé sta per  totalità organica – e della saggezza della Terra.
L'intuizione di fondo è, allora, quella di una “visione completa” o “totale” (total view) del mondo e delle cose. La consapevolezza ecosofica suprema consiste nell'idea “che non possiamo operare alcuna scissione ontologica netta nel campo dell'esistenza”, come afferma il filosofo Warwick Fox in The Intuition of Deep Ecology1. Si tratta della consapevolezza di una relazionalità intrinseca di ciascun ente nei confronti di ogni altro, la quale viene formulata per la prima volta da Naess nell'articolo del 1973 attraverso l'immagine del campo relazionale totale:
“Gli organismi sono come nodi in una rete di relazioni intrinseche. Una
relazione intrinseca tra due oggetti A e B è tale per cui la relazione stessa rientra nella definizione o nella stessa costituzione fondamentale dell'uno e dell'altro, cosicchè senza tale relazione A e B non sono più la stessa cosa”2
Ciò significa che ogni ente non solo si trova in ma è un campo di relazioni che lo definiscono costitutivamente, essenzialmente. In questo senso deve essere inteso l'aggettivo intrinseco – come ontologicamente fondante – distinto da un tipo di relazionalità 'estrinseca', tipica della scienza naturale e del senso comune, che tende a vedere gli oggetti come separati e ontologicamente sussistenti (e solo in un secondo tempo, eventualmente, posti sotto la categoria di relazione). L'obiettivo critico primario dell'Ecosofia T è quello di contrastare un preciso modello filosofico- scientifico di realtà affermatosi nel XVII secolo a partire da Cartesio, Galileo e Newton, per giungere fino a Kant e alla sua Ding an sich, la cosa in sé, sulla quale non è possibile fare alcuna affermazione positiva; e fondato su una radicale dicotomia tra oggettivo e soggettivo, tra cosa in sé (an sich) e cosa per me (an  mich), tra qualità primarie dei corpi e qualità secondarie e terziarie. Ovvero:
1.    qualità primarie (la struttura geometrico-matematica della natura): grandezza, figura, movimento. Erano considerate proprietà degli oggetti 'in quanto tali'.
2.    qualità secondarie: colore, calore, gusto, eccetera. Erano considerate nient'altro che nomi indicanti sensazioni sperimentate come conseguenza di processi fisici e fisiologici del mondo esterno.
3. qualità terziarie: comprendono le qualità date da un complesso di percezioni, come la qualità di forza espressa da un potente accordo orchestrale  associato all'impressione visiva di un toro che attacca, e qualità come doloroso, bello, minaccioso, patetico. Qualità come 'aperto' e 'chiuso', riferite a un paesaggio, si possono interpretare come terziarie. Tutte queste qualità hanno un carattere di Gestalt complessa più o meno accentuato.3
La teoria oggettiva, quella che descrive l'oggetto come è 'in se stesso' a prescindere dal modo in cui esso è percepito da un apparato sensoriale individuale, non ci
restituisce né la natura né il mondo ma solo una struttura astratta di qualche tipo adatta ad una descrizione matematica. Come afferma Whitehead, “l'ipotesi paradossale di una natura senza colori, toni e odori può sussistere solo perché abbiamo confuso le nostre astrazioni con la realtà concreta”4. Ciò tuttavia non conduce in Naess alla conclusione diametralmente opposta che “tutto è soggettivo”, ma che “tutto è relazionale”:
Le scienze naturali, attraverso il loro modello oggettivo di realtà, ci offrono solamente dei punti di riferimento comuni (come nel caso della fisica le coordinate di spazio e tempo) ma questi punti non sono luoghi reali, non esistono come realtà fisiche. Essi creano una struttura pura o astratta, nel senso di priva di un contenuto materiale o di altro tipo. “La struttura appartiene alla realtà”, nel senso che ci serve per interpretare la realtà e orientarci in essa, ma “non è la realtà”5. Bisogna allora, secondo Naess, modificare la nostra percezione della realtà, distinguendo tra “strutture astratte”, o entia rationis, ovvero tutti quei concetti e parametri, scientifici o meno, che  utilizziamo per organizzare la realtà, e “contenuti concreti”, la nostra reale  esperienza spontanea del mondo. Bisogna ritornare al mondo in cui viviamo, al concreto “mondo della vita”, al Lebenswelt per utilizzare un termine della fenomenologia husserliana.
In questo senso, Naess più che ad un'etica ambientale è interessato ad una ontologia ambientale, che riguarda il modo, errato, in cui facciamo esperienza del mondo per ricondurci al modo in cui le cose autenticamente sono. In una conferenza che tenne in Australia nel 1984, Naess affermò:
“Non sono molto interessato all'etica o alla morale. Sono interessato a come percepiamo il mondo. [..] L'etica è conseguenza di come noi percepiamo il mondo”6.
Dunque, il movimento è dall'etica all'ontologia, e dall'ontologia di ritorno all'etica. L'obiettivo di Naess è quello di ragionare su una spontanea esperienza della realtà; 'spontanea' cioè non mediata dalle categorie concettuali-astratte del pensiero. La nostra esperienza  spontanea è quella  di una visione  totale (total view) in  cui    non
sussiste alcuno iato tra oggettivo e soggettivo, tra uomo e natura. Il termine centrale dell'ontologia di Naess, attraverso il quale egli concettualizza la nostra esperienza spontanea del reale e il modo in cui il reale è strutturalmente 'relazionale', è quello di Gestalt: “Il mondo dei contenuti concreti (concrete contents) ha carattere gestaltico (gestalt character), non atomico”7.
Ma che cos'è una Gestalt e che cosa significa avere “carattere gestaltico”? Anzitutto, Naess mutua il concetto di Gestalt, ovvero di 'configurazione percettiva globale ordinata', dalla psicologia della percezione o “psicologia della Gestalt” (Gestaltpsychologie), sviluppatasi in seno alla Scuola di psicologia sperimentale di Berlino tra il 1910 e il 19208. L'ipotesi di fondo della Gestalttheorie è che il mondo, come noi lo percepiamo, sia già un mondo di Gestalten, cioè di forme organizzate. Tuttavia, per Naess le Gestalten non sono semplicemente le strutture psicologiche della nostra percezione, ma, più radicalmente, esse costituiscono la struttura ontologica della realtà, “il modo in cui le cose sono” (the way things are)9.
“Il motto più celebre della psicologia gestaltica è: “L'intero è maggiore della somma delle sue parti”. E' una conclusione utile ai fini di una confutazione dei modelli meccanicistici, ma non spiega affatto in che modo l'intero infonde il suo carattere alle singole parti [..]”10
Il pensiero generale e l'ontologia della Gestalt non si possono ritrovare né nella frase “L'intero è maggiore della somma delle sue parti” (in questo modo, sembra quasi che l'intero possa esistere di per sé), né in quella “L'intero consiste delle sue parti”: Ciò che non viene spiegato è il tipo di relazione, intrinseca, che sussiste tra l'intero e le sue parti.
“Anzichè affermare che “L'intero è maggiore della somma delle  sue parti”, un'altra massima è più rilevante – e cioè che “La parte è  qualcosa
di più di una parte”. Ciò significa che se la melodia è ben conosciuta la parte è parte-della-melodia; il carattere dell'intera melodia colora l'esperienza della parte. Non c'è alcuna esperienza spontanea della parte concepita meramente come una parte. La parte è  internamente connessa alla melodia come un'unità [..]”11
Ciò che sperimentiamo nella nostra esperienza spontanea della realtà è più o meno vasto e complesso12 (comprehensive and complex), e complesso significa 'avente carattere gestaltico'. La realtà, il “contenuto concreto” dell'esperienza, è formato da un complesso insieme di Gestalten, ordinate gerarchicamente in Gestalten di ordine inferiore o subordinate (subordinate gestalts) e Gestalten di ordine superiore (superordinate gestalts). Rispetto ai termini “intero” o “olismo”, questa terminologia risulta essere più utile in quanto rafforza la tendenza a mettere a fuoco le relazioni  tra gli interi e le loro parti. Per spiegare il modo in cui le varie Gestalten, di ordine superiore e inferiore, interagiscono fra loro Naess si rifà in diversi luoghi, come ad esempio negli articoli Creativity and Gestalt Thinking e Ecosophy and Gestalt Ontology e nella stessa opera fondamentale Ecology, Community and Lifestyle, alla metafora dell'ascolto musicale. Quando ascoltiamo l'attacco di un complesso pezzo musicale o di una melodia conosciuta, l'esperienza che abbiamo di quelle poche  note è già inserita in una Gestalt, nella nostra comprensione del pezzo nel suo insieme (as a whole). E' come se l'appercezione gestaltica dell'intero (della melodia nel suo complesso) 'colorasse' la nostra esperienza di ciascuna nota. Tuttavia l'idea di fondo è che noi non abbiamo a che fare con un'unica Gestalt, un'unica totalità complessa, ma con una molteplicità (manifold) di Gestalten subordinate:
“Prendete ad esempio la Sonata Patetica di Beethoven, che ha tre movimenti: Allegro, Adagio e Allegro. Molte persone conoscono solo il secondo movimento. [..] I movimenti sono interi subordinati, Gestalt subordinate di una realtà musicale. All'interno del movimento poi ci sono gruppi   di   note   che  formano   unità   contrastanti.  Abbiamo  quindi un
complesso insieme di Gestalt, ordinate secondo una vasta gerarchia”.13
D'altra parte, anche la melodia – la quale è rispetto alle parti una Gestalt superiore (superordinate gestalt) – risulterà subordinata come Gestalt sotto altre più onnicomprensive. Infatti:
“La Gestalt di un complesso pezzo musicale è subordinata all'esperienza di quel pezzo in una particolare situazione. Il pezzo infatti può essere eseguito all'aperto, oppure in un edificio bello o in uno brutto. Se siamo insieme con un'altra persona, il nostro rapporto con quella persona in quella situazione influisce sulla nostra esperienza della musica. Nessun aspetto dell'esperienza può essere preso isolatamente”.14
Per Naess, anche un elemento piccolo come un granello di sabbia può avere carattere di Gestalt. Tutto all'interno della natura ha questa grande potenzialità. Un'ontologia di questo tipo, che trova connessioni sempre più inclusive fino a giungere alla Gestalt di ordine supremo, la Natura con la N maiuscola, spazza via ogni separazione, ogni dicotomia tra soggetto e oggetto, fatti e valori (la distinzione humeana tra is e ought), “cosa in sé” (Ding an sich) e “cosa per me” (Ding an mich). Tali distinzioni sono utili solo quando si ragiona in termini di strutture astratte e di pensiero speculativo, “ma non quando l'obiettivo è descrivere il mondo immediato in cui viviamo, il mondo delle Gestalt, la realtà vivente, la sola realtà  che conosciamo”15. In questo senso, l'ecosofia è innanzitutto il tentativo di offrire un'ontologia più 'vera', più autentica, rispetto a quella offerta dalle concezioni atomistiche e meccanicistiche dominanti.
“La gioia diventa non la mia gioia, ma un qualcosa di gioioso di cui l'Io e qualcos'altro sono frammenti interdipendenti, non separabili. [..] Questa Gestalt è una creazione che risulterebbe mutilata se si tentasse di dividerla per dare spazio a un Io che proietta il suo riso su un albero di betulla incapace di ridere. [..] La glorificazione del pensiero scientifico
convenzionale porta a ridicolizzare tali creazioni. Le Gestalt, in questo modo, vengono fatte a pezzi”16
In conclusione, la maniera dominante di concepire la realtà è grossomodo quella di un contenitore massimamente capiente, fornito di cose individuali (cose in sé, singoli atomi) connesse estrinsecamente tra loro. Il tipo di esperienza cui si ispira il movimento della deep ecology e l'ecosofia di Naess cozza con tale visione dominante. Tale visione impoverisce la vita: “The more people are adapted to the supermarket conception, the more dangerous is the appeal to the right of majority opinion”, avverte Naess nell'articolo Ecosophy and Gestalt Ontology17. Bisogna pensare in termini di interi, invece che di frammenti. Ma questo imperativo – ad una visione 'olistica' della realtà – non basta. La nostra argomentazione si deve riferire all'esperienza e all'esperienza spontanea in particolare, afferma Naess; le stesse nozioni di “campo relazionale totale” o di “Gestalt” infatti sono pur sempre degli entia rationis, delle strutture astratte, le quali appartengono sì alla realtà ma non devono essere confuse con essa. La funzione precipua di tali strutture categoriali rimane quella di rendere “meglio visibile” il concreto: esse sono costituite dalle interpretazioni, dalle interrelazioni, che stabiliamo fra le esperienze spontanee per poterle spiegare a noi stessi e a chi ci circonda. Sempre nell'articolo sovra citato18, Naess fa questo esempio: Hallingskarvet è una montagna in Norvegia, una piccola parte della quale può essere vista dal treno che collega Oslo a Bergen. Molte persone conoscono bene questa montagna ed essa gioca un ruolo nelle loro vite. Un vasto set di esperienze spontanee potrebbe essere chiamato giustamente 'esperienze di Hallingskarvet'. Strutturalmente (e astrattamente) essa è definita attraverso mappe; quando le persone concordano sul fatto che sono state a Hallingskarvet esse si riferiscono a mappe. Le mappe catturano la struttura visibile del reale, ma l'esperienza spontanea è molto di più (riguarda una consapevolezza più profonda della montagna e dei suoi pericoli, ad esempio).
Naess propone un'ontologia che aiuta a scalzare qualsiasi separazione – nonché la stessa distinzione – tra oggettivo e soggettivo, entrambi riassorbiti sotto l'unica categoria di relazionale.
Il mondo in cui viviamo (Lebenswelt) è costituito da un sistema di relazioni  intrinseche (campo relazionale totale) che si manifesta alla nostra esperienza immediata sotto forma di totalità organiche (Gestalten) di cui lo stesso soggetto conoscente è parte integrante e inscindibile.
La norma etica fondamentale dell'ecosofia di Naess segue naturalmente dalla particolare ontologia (ambientale o relazionale o gestaltica) appena delineata. Si tratta del principio supremo – assieme a quello dell'egualitarismo biosferico – dell'Autorealizzazione (Self-Realization), il quale fa un tutt'uno con il concetto del Sé ecologico (ecological self). Segue “naturalmente” nel senso che non si tratta meramente di una norma etica inserita in una deontologia, ma della naturale conseguenza dell'aver interiorizzato, assimilato, una certa visione del mondo (total view o “visione totale”). L'etica quindi, nell'ottica di Naess, procede dall'ontologia ambientale e da una forma di realismo “più profondo” (deepened realism) rispetto a quello del pensiero atomistico. Il pensiero gestaltico ha un'esigenza sistemica, la quale significa che: “Le parti non possono essere isolate, né si può isolare alcuna relazione causale”19. Da quest'idea, per cui non esiste alcuna realtà frazionabile autosussistente ma soltanto un sistema relazionale in cui ciascun essere vivente è nodo di raccordo con altri esseri, deriva anche il concetto di un Sé più ampio e profondo (wider and deeper) – rispetto al ristretto io personale o sé con la lettera minuscola (narrow ego) – la cui realizzazione dipende dalla capacità di trascendere l'isolamento egoico verso forme via via più estese di interrelazione e identificazione. L'Autorealizzazione (self-realization) implica quindi un'espansione e un approfondimento del sé, al fine di porlo in contatto con il più ampio Sé ecologico. Un esempio di ecosofia simile a quella di Naess – basata cioè sull'idea di apertura ad un senso espanso del Sé – è la cosiddetta “ecologia transpersonale” di Warwick Fox, sorta dall'incontro tra l'Ecosofia T e la psicologia transpersonale; la quale evidenzia come al fine di giungere ad una piena autorealizzazione personale sia necessario estendere (tramite un processo di identificazione) il proprio sé individuale al Sé planetario20.
Ritornando al nesso, centrale per Naess, tra autorealizzazione e identificazione, tra sé (con la s minuscola) e Sé (con la S maiuscola), il filosofo norvegese introduce il concetto di “ecological self” a partire da un fraintendimento di fondo: noi sottostimiamo noi stessi (We underestimate ourselves) nel momento in cui tendiamo a confondere il vero 'sé' con il più ristretto 'io' (o ego). E' quindi fondamentale (e preliminare) tenere ferma la distinzione – nonché la relazione intesa come  Aufhebung qualitativo – tra ego e Self (o ecological self), laddove il primo può essere definito attraverso:
“la concezione occidentale moderna dell'io definito come ego isolato che si batte in primo luogo per una gratificazione edonistica o per un limitato senso di salvezza individuale in questa vita o in quella futura”21
Di contro, al 'sé universale', l''assoluto', l''atman', eccetera22, il quale è  massimamente solidale con ogni altra forma di vita (in senso ampio, non strettamente biologico).
Naess utilizza l'espressione “maturità onnicomprensiva”23  (comprehensive  maturity)
ad indicare il processo di attivazione della solidarietà (qualsiasi forma autentica e duratura di solidarietà implica un movimento di identificazione) non solo tra simili, come in una sorta di fil-antropia universale:
“il senso di sé dell'ecologia profonda richiede ulteriore maturità e crescita, un'identificazione che oltrepassa l'umanità per comprendervi il mondo non umano”24.
L'egotismo, l'eccessiva cura del proprio sé individuale, non coincide con l'autorealizzazione.  Equiparare  la  realizzazione  del  Sé  a  forme  di     esaltazione
individualistica (ego trips) significa seriamente sottostimare noi stessi. Non dobbiamo coltivare il nostro io e fare di noi dei 'vincenti' (to get to be somebody) per realizzare le nostre potenzialità; ma neppure dobbiamo ignorarlo o sopprimerlo: si tratta piuttosto del tentativo di armonizzazione continua tra sé e Sé, o meglio, del sé-nel- Sé, dove “Sé” sta per totalità organica. Si tratta, in sostanza, di una espansione della vita, di riconoscere il valore intrinseco (inherent value) di ogni essere; quel principio riassumibile come 'egualitarismo biosferico' formulato per la prima volta nell'articolo del 197325. La realizzazione del Sé implica in qualche modo un trascendimento del sé individuale – nel suo carattere egotico, nella sua autoreferenzialità, che inibiscono qualunque forma di identificazione – ma senza dissolverlo in un tutt'uno informe e indifferenziato. “Nell'unità la diversità!”, è questa una delle massime fondamentali di Naess. Il Sé ecologico è esperienza dell'unità, ovvero del carattere gestaltico e relazionale della realtà intera, nella diversità, ossia attraverso la salvaguardia del valore intrinseco di ogni vivente.
L'attuazione della norma suprema, il Sé ecologico, indica una processualità, è il continuo porre il “sé-nel-Sé”. Scrive Naess:
“Io ritengo che questo processo sia insieme di maturazione e di apprendimento [..] la norma 'realizzazione del Sé' riassume un insieme unitario di ipotesi di natura sociale, psicologica e ontologica: una maggiore maturità della personalità umana garantisce un comportamento bello”26.
Naess recupera la distinzione tra azione 'morale' (moral act) e azione 'bella' (beautiful act) da Kant27. Le azioni morali sono motivate dal rispetto incondizionato alle leggi morali, e si manifestano soprattutto per contrastare un'inclinazione patologica. Le azioni belle, invece, sono rette cioè morali in quanto scaturiscono da un'inclinazione spontanea.
“Ora, il punto per me è che nelle questioni ambientali, forse dovremmo provare anzitutto a incoraggiare le persone verso azioni belle (beautiful acts)”28
Le azioni belle espandono, naturalmente, il nostro Sé; si tratta di lavorare sulle inclinazioni positive, che ci spingono a trattare l'ambiente come qualcosa di prezioso, con gioia e rispetto, piuttosto che sugli imperativi morali. Se la realtà è esperita dal Sé ecologico il nostro comportamento naturalmente e in maniera bella (nel senso del 'beautiful act') segue le norme di un'etica e ancor prima di un'ontologia ambientale.
L'autorealizzazione cui pensa Naess, intesa come “realizzazione delle potenzialità intrinseche” (fulfilment of inherent potentialities), non ha a che fare con  l'affermazione e l'autoconservazione dell'ego (isolato, alienato) ma con la natura umana: “Le azioni belle sono naturali e per definizione non sono forzate dal rispetto di una legge morale estranea ad una personalità umana matura”29. In questo senso, la definizione di “Self-realization” come realizzazione di un potenziale inerente è da intendersi in senso “oggettivista” (objectivistic), ossia nei termini di ciò che la natura umana 'obiettivamente' è e non in termini di sentimenti o interessi soggettivi. La formulazione più potente di tale processualità connaturata è l'espressione spinoziana perseverare in suo esse30: “persevere in his being”, più adatto di existence, afferma Naess, spesso associato alla mera sopravvivenza fisica e alla lotta per la sopravvivenza (physical survival and struggle for survival). Ciò che la natura umana obiettivamente è, ciò che le è proprio costitutivamente, è l'essere parte integrante di una rete di relazioni. Ciò conduce ad una dipendenza della realizzazione del Sé, di A da quella di B. Per cui la “mia” realizzazione dipende da forme via via più ampie e profonde di identificazione. Non solo:
“Più riusciamo a comprendere il legame che ci unisce agli altri esseri, più ci identifichiamo con loro, e più ci muoveremo con attenzione. In questo modo diventeremo anche capaci di godere del benessere degli altri e   di soffrire quando una disgrazia li colpisce. Noi cerchiamo il meglio per noi stessi, ma attraverso l'espansione del sé ciò che è meglio per noi è anche meglio per gli altri. La distinzione tra ciò che è nostro e ciò che  non lo è sopravvive solo nella grammatica, non nei sentimenti”31
Vi è un nesso strettissimo fra gioia e autorealizzazione crescente; un altro aspetto che Naess trae dall'Etica di Spinoza. Per Spinoza, infatti, la laetitia coincide con il movimento stesso della nostra potentia, verso forme via via crescenti di perfezione32, termine che va interpretato nel senso del verbo latino perficere, portare a compimento, realizzare se stessi come soggetti liberi, in grado di autodeterminarsi (nonostante la dimensione degli affetti-passione non possa essere eliminata in toto). Allo stesso modo per Naess la gioia, la laetitia, non è da intendersi in termini di sentimenti puramente soggettivi, non è meramente un attributo del soggetto. Essa è la caratteristica dell'indivisibile, concreta, unità di soggetto, oggetto e medium. In questo senso, la gioia è definibile solo in termini di interazione. In questo senso, la gioia è un sentimento gestaltico, la cui caratteristica primaria è la disponibilità verso forme via via più ampie di appartenenza e identificazione. Dunque, esiste una co- implicazione reciproca e intrinseca tra ampliamento del sé, realizzazione del potenziale umano, e gioia. Naess paragona la gioia al colore, il quale può essere separato solo concettualmente dall'oggetto colorato; allo stesso modo la gioia “è connessa intrinsecamente all'aumento di molte cose: perfezione, potere e virtù, libertà e razionalità, attività (activeness), il grado in cui siamo causa delle nostre azioni, e il grado in cui le nostre azioni sono comprensibili in riferimento a noi stessi”33. Ciò è quanto Spinoza definisce acquiescientia in se ipso, la quale  è: “Letizia nata dal fatto che l'uomo considera se stesso e la sua potenza d'agire”34. Quanto più noi siamo in se (opposto a in alio, che significa alienazione, essere “etero-diretti”),  quanto  più  dimoriamo  in  noi  stessi,  tanto  più  siamo  in  grado  di
provare quella gioia che deriva dalla partecipazione/interazione attiva al  campo totale (total field) della realtà (o della Natura, per utilizzare la terminologia spinoziana)35. In questo senso, approfondimento del sé, conoscenza adeguata e gioia formano un'unica triade (proprio come in Spinoza).
Naess, dunque, è profondamente influenzato da Spinoza, ma, in particolare per quanto riguarda la corretta interpretazione del “sé”, trae molto anche dalla metafisica gandhiana. Egli afferma infatti di essere stato molto colpito, fin dalla giovinezza, dalla filosofia di Gandhi36. Per Gandhi è il supremo o universale Sé – l'Atman – quello che deve essere realizzato; egli intende promuovere la realizzazione del Sé attraverso  un agire disinteressato (selfless action), ovvero attraverso la riduzione  del predominio del sé più ristretto o ego. Attraverso il Sé più ampio (wider Self) ogni essere vivente è connesso intimamente, e da tale intimità (o empatia) segue la capacità di identificazione e, come conseguenza naturale, la pratica della non- violenza. Abbiamo bisogno di coltivare la nostra conoscenza adeguata, la nostra visione profonda (insight).
“Gandhi afferma: 'Io credo nell'advaita (non dualismo), Io credo nell'essenziale unità dell'uomo e di tutto ciò che vive. Pertanto io credo che se un uomo si arricchisce spiritualmente, l'intero  mondo  si arricchisce con lui e, se un uomo fallisce, l'intero mondo fallisce in quella misura' “37
Il Sé, l'Atman, è un'attitudine a prendersi cura, sentire, e agire con compassione. Il Sé contiene già in se stesso l'esortazione morale (il conatus) a mostrare attenzione, a voler abbracciare un altro essere, senza alcuna imposizione dall'esterno (è l' “azione bella” come agire morale).
In conclusione, la norma etica fondamentale dell'Ecosofia T “Realizzazione del Sé!”  è intimamente connessa all'intensificarsi dei processi di identificazione con gli altri, in una prospettiva gestaltica in cui la realizzazione del Sé di A dipende da quella di B eccetera. L'intensificarsi dei processi di identificazione non è finalizzato ad 'espropriare' il sé più ristretto della propria individualità, ma al contrario – tenendo fermo il valore intrinseco di ogni vivente – vuole restituirgli una nuova profondità. Quando una persona agisce in maniera egotistica essa non sta avendo cura di sé  ma si sta semplicemente sottovalutando: “La nostra personalità non è così angusta come si pensa”38. Dobbiamo cominciare a pensare e a pensarci in termini di campi e di relazioni; fatto salvo che il problema metafisico di fondo rimane quello sintetizzato dalla massima Nell'unità la diversità!
E' davvero possibile salvaguardare le differenze specifiche in una prospettiva in cui tutto ciò che è è innanzitutto parte di un intero? Il processo di unificazione del reale non rischia di trasformarsi in un processo di uniformazione del reale? E' un rischio questo che, a mio avviso, esiste ma che Naess riesce in qualche modo ad arginare avvertendo che l'errore è quello di considerare l'intero come una Realtà assoluta, ipostatizzata. L'ontologia della Gestalt non afferma che l'intero viene prima delle parti, ma che l'intero colora l'esperienza di ogni singola parte, proprio come in una sorta di mise en abyme vivente. Non vi è l'intero e le parti, ma un'unica realtà multiforme e unificata: l'uno in se stesso diviso di memoria eraclitea. Porre la questione di una unità nella diversità significa, in qualche modo, partecipare dell'eterno problema della filosofia – quello che Platone nel Sofista affronta commettendo il parricidio nei confronti di Parmenide – e che consiste nella dialettica dell'uno e dei molti. In questo senso, Naess non risolve il problema, ma si pone nel solco della genuina interrogazione filosofica.

1    W. Fox, The Intuition of Deep Ecology, pubblicato in “The Ecologist”, 14, 1984 sotto il titolo
Deep Ecology. A New Philosophy of Our Time?, pp. 194-200
2    A. Naess, The Shallow and the Deep, Long-Range Ecology Movements. A Summary, “Inquiry”, 16, 1973, pp. 95-100
3    A. Naess, Ecosofia, trad. it.di E. Recchia, a cura di A. Airoldi e G. Salio, red edizioni, Como 1994, p. 60
4    A.N. Whitehead, La scienza e il mondo moderno, Bollati Boringhieri, Torino, 1979
5    A. Naess, Ecosofia, trad. it.di E. Recchia, a cura di A. Airoldi e G. Salio, red edizioni, Como 1994, p. 58
6    Cfr. W. Fox, Toward a Transpersonal Ecology, Shambhala, Boston-London, 1990
7    Cfr. A. Naess, The World of Concrete Contents, in A. Naess, The Ecology of Wisdom, Writings by Arne Naess, a cura di B. Devall, A. Drengson, Counterpoint, Berkeley, 2008, pp. 70-80
8    I principali esponenti della Scuola Gestaltica berlinese furono Max Wertheimer (1880- 1943), Kurt Koffa (1886-1941), Wolfgang Köhler (1886-1967) e più tardi Kurt Lewin (1890- 1947)
9    E' in questo modo che Naess definisce l'ontologia: “La maggior parte delle nostre azioni è conseguenza di come vediamo la realtà. In tal modo, quindi, io sconfino nell'ontologia: la dottrina che concerne il modo in cui le cose sono”. In D. Rothenberg, Is it Painful to Think? Conversations with Arne Naess, University of Minnesota Press, 1993, p. 153
10    A. Naess, Ecosofia, trad. it.di E. Recchia, a cura di A. Airoldi e G. Salio, red edizioni, Como 1994, p. 69
11    A. Naess, Ecosophy and Gestalt Ontology, “The Trumpeter”, vol. 6, n. 4, 1989, p. 135 (traduzione e corsivo miei)
12    A questo proposito, vedi il punto (6) “Complexity, not complication” dell'articolo di Naess The Shallow and the Deep, Long-Range Ecology Movements. A Summary, “Inquiry”, 16, 1973, p. 97
 
13    A. Naess, Ecosofia, trad. it.di E. Recchia, a cura di A. Airoldi e G. Salio, red edizioni, Como 1994, p. 68
14    Ibidem, pp. 68-69, (corsivo mio)
15    Ivi, p. 71
 
16    Ivi, p. 72
17    A. Naess, Ecosophy and Gestalt Ontology, “The Trumpeter”, vol. 6, n. 4, 1989, p. 136 (corsivo mio)
18 Ibidem, pp. 135-136
19    A. Naess, Ecosofia, trad. it.di E. Recchia, a cura di A. Airoldi e G. Salio, red edizioni, Como 1994, p. 97
20    Cfr. W. Fox, Toward a Transpersonal Ecology. Developing New Foundations for Environmentalism, Boston, Shambhala, 1990. Per quanto riguarda il legame tra l'ecosofia di Naess e quella di Fox, rimando all'articolo “Ecophilosophy, Ecosophy and the Deep Ecology Movement: An Overview” di Alan Drengson, pubblicato sul sito http://www.ecospherics.
21    B. Devall, G. Sessions, Ecologia Profonda. Vivere come se la Natura fosse importante,Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1989, p. 75
22    A. Naess, Ecosofia, trad. it.di E. Recchia, a cura di A. Airoldi e G. Salio, red edizioni, Como 1994, p.104
23    “Human nature is such that, with sufficient comprehensive maturity, we cannot help but identify ourselves with all living beings, beautiful or ugly, big or small, sentient or not. [..] I use the qualification comprehensive to mean 'being mature in all major relationships'”, A. Naess, Self-Realization: An Ecological Approach to Being in the World, cit., p. 81, in A. Naess, The Ecology of Wisdom, Writings by Arne Naess, a cura di B. Devall, A. Drengson, Counterpoint, Berkeley, 2008
24    B. Devall, G. Sessions, Ecologia Profonda. Vivere come se la Natura fosse importante, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1989, p. 75
25    A. Naess, The Shallow and the Deep, Long-Range Ecology Movements. A Summary, “Inquiry”, 16, 1973, pp. 95-96
26    A. Naess, Ecosofia, trad. it.di E. Recchia, a cura di A. Airoldi e G. Salio, red edizioni, Como 1994, p.105
27    Kant introduce la distinzione fra “azione bella” e “azione morale” in uno scritto del periodo pre-critico, Versuch einiger Betrachtungen über den Optimismus (1759). I. Kant, Saggi di talune considerazioni sull'ottimismo, in Scritti precritici, a cura di P. Carabellese, Laterza, Bari 1923, ed. ampliata a cura di A.Pupi, Bari, 1982
28    A. Naess, Self-Realization: An Ecological Approach to Being in the World, cit., p. 93 (traduzione mia)
29    A. Naess, Ecosofia, trad. it.di E. Recchia, a cura di A. Airoldi e G. Salio, red edizioni, Como 1994, p.105
30    Il riferimento è alla Parte terza dell'Etica, e in particolare alle Proposizioni VI e VII. Cfr. B. Spinoza, Etica dimostrata secondo l'ordine geometrico, trad. it. di G. Durante, a cura di G. Gentile; G. Radetti, Bompiani Editore, Milano 2007, pp. 253 e 255
31    A. Naess, Ecosofia, trad. it.di E. Recchia, a cura di A. Airoldi e G. Salio, red edizioni, Como 1994, p. 223
32    Cfr. B. Spinoza, Etica, Parte terza, Proposizione XI, Sch. “Per Letizia quindi intenderò in seguito la passione per la quale la Mente passa ad una perfezione maggiore. Per Tristezza, invece, la passione per la quale essa passa ad una perfezione minore”, ed. Bompiani, Milano 2007, p. 261
33    A. Naess, The Place of Joy in a World of Fact, cit., p. 128, in A. Naess, The Ecology of Wisdom, Writings by Arne Naess, a cura di B. Devall, A. Drengson, Counterpoint, Berkeley, 2008
34    B. Spinoza, Etica, Parte terza, Definizione XXV: “Acquiescentia in se ipso est Laetitia, orta ex eo, quod homo se ipsum, suamque agendi potentiam contemplatur”
35    A. Naess, The Place of Joy in a World of Fact, cit., p. 130
36    A. Naess, Self-Realization: An Ecological Approach to Being in the World, cit., p. 89: “As a student and admirer since 1930 of Gandhi's nonviolent, direct actions in bloody conflicts, I am inevitably influenced by his metaphysics, which to him personally furnished tremendously powerful motivation and which contributed to keeping him going unitil his death”
37    Ivi, cit., p. 90