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In Italia, per i giovani, non c'è futuro

di Emanuele Porcelluzz - 22/05/2016

In Italia, per i giovani, non c'è futuro

Fonte: Arianna editrice

L'Istituto nazionale di statistica, puntualmente, compie un'indagine sia sui mutamenti demografici e sociali sia sulle dinamiche del mercato del lavoro e tale opera consiste in una ponderosa raccolta di informazioni e notizie, che richiede un'attenta lettura dei dati strutturali raccolti, da cui si evincono le cause del grande disagio sofferto dai giovani e dagli adulti in età avanzata. I nuclei familiari, dal canto loro, "non stanno tutti bene", perché vivono senza redditi di lavoro e in tale difficile condizione è passato il 14,2% mentre al Sud si è all'inquietante 24,5%. Sembrerebbe, a primo acchito, che tale fenomeno negativo possa essere cancellato dalle vere occasioni di lavoro e di reddito, ma, purtroppo, a ciò si oppone l'ostacolo, costituito dalle poche risorse disponibili e che, nel Belpaese, si cresce, purtroppo, meno di quanto avviene in Europa, ove a star bene sono quelli del Nord-Europa. Diciamocelo, con la massima schiettezza, che si rischia di tornare ad assaltare il forno di manzoniana memoria e gli Hospitales, gestiti da religiosi, ove, dopo il conforto, la medicina sarebbe solo un'utopia. Si ripete, ancora una volta, che l'ascensore sociale è fermo, al piano del desiderio e della speranza, a causa della crisi economica che ha reso fragile il rapporto tra il titolo di studio e l'occupazione, demolendo, di conseguenza, lo strumento di elevazione sociale. Accade, per di più, che le professioni più esercitate siano quelle di estetista, cameriere, commesso e barista, che, tutto sommato, sono anche necessarie e utili, ma non sfugge, certamente, che sarebbero necessari posti di lavoro qualificati, ai fini di incentivare investimenti per i necessari processi di innovazione, promotori di svolte epocali strategiche per l'uscita dalla crisi, rese vane, però, dalle politiche anti crescita dell'Ue, indifferente al grido di sofferenza di tanti italiani. E' quasi inevitabile che, in una comunità ove scarseggiano proposte di lavoro e di studio, possono trovarsi fasce di ceto popolare, a cui la mobilità sociale si riduca drasticamente e, nel contempo, si accresca, anche per motivi ereditari, l'accesso alle professioni di pregio e di privilegio, mantenendo, intatte le disuguaglianze sociali. Per i giovani, infine, è parecchio difficile trovare lavoro, perché uno su quattro è precario; i laureati, di solito, trovano un lavoro, dopo tre anni, dal conseguimento delaurea. Poi sei giovani su dieci vivono con i genitori fino a 34 anni, stante l'impossibilità di trovare un reddito sufficiente e, quindi, bastevole per sostenere l'affitto. La disoccupazione per i "bamboccioni" non è una colpa, bensì un problema squisitamente di politica europea. 
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