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Salviamo il Duomo del materialismo

di Gianfranco Costanzo - 26/05/2016

Salviamo il Duomo del materialismo

Fonte: Il Talebano

Abbiamo visto nei precedenti articoli che la nostra epoca è contrassegnata da un economicismo integrale o per usare le parole di Diego Fusaro di “monoteismo del mercato”. Sempre seguendo il pensiero del giovane allievo di Costanzo Preve, possiamo dire che nel nostro tempo il capitalismo è pienamente realizzato in modo talmente sviluppato da diventare totalitario, distruggendo quello che rimaneva dei valori religiosi comunitari.

Un esempio è riscontrabile a Milano. I passanti in Piazza Duomo, infatti, si saranno accorti da un po’ di tempo a questa parte, che sul lato sinistro della cattedrale, nella lunghezza di tutta la sua facciata laterale,  è stato posto un mega schermo  che rimanda in continuazione i video pubblicitari della Samsung. Non crediamo che questa cosa sia casuale: piuttosto, è un vero e proprio segno dei tempi; è l’espressione di uno sviluppo ipertrofico di un principio totalizzante già presente nelle radici del capitalismo, inteso nella sua forma libertaria (si veda Mandeville). È il mercato che occupa e divora tutti gli spazi e tutte le dimensioni. È il mercato, esibizionista di se stesso che cerca la maggiore popolarità possibile; un mercato pronto ad arrampicarsi anche sulla croce di Cristo se questo gli garantisse un ritorno economico.

Di solito per giustificarsi si adduce una motivazione razionale (in questo caso, il restauro della cattedrale). Restauro sempre in itinere, tanto che la storica e unica cava di marmo, di quel particolare colore rosato, continua a lavorare in val d’Ossola ormai da secoli solo per continuare a fornire alla Benemerita Fabbrica del Duomo il materiale necessario per una minuziosa, infinita e costosissima opera di conservazione.

A noi  tale soluzione di merchandising pare piuttosto uno scempio civico e una profanazione di un luogo sacro. È immagine del disinteresse e dell’impoverimento di una comunità e di una nazione che non riescono a pensare in termini simbolici, non sapendosi astrarre dal dato puramente materiale: quel mega apparato visivo diventa così paradigma dell’umanità circolante, mercanteggiante attorno e dentro di esso, che, ignorando la dimensione Sacra, ne vive solo quella esibizionistica, rendendo il Duomo di fatto un feticcio visuale.

La questione della visualità è oltremodo interessante. La questione, infatti,  se in un primo momento appare esclusivamente mercantile, in un’analisi più profonda fa emerge la questione della sensualità coinvolta. È qui, e non tanto nella ricerca affannosa di fondi,  la grande ignoranza del gesto dello schermo gigante, che va contro lo spirito dei costruttori e quindi del Duomo stesso, poiché salvaguardare il Duomo senza salvaguardarne lo spirito, probabilmente, non avrebbe interessato  i suoi ispirati costruttori.

Ricordiamo , sulla base delle opere di Mircea Eliade, che i templi, e quindi anche le cattedrali, erano luoghi dove si manifesta l’esperienza del Sacro e che si pongono in rottura con gli spazi non consacrati. Rappresentavano piuttosto  una breccia con la dimensione profana e sensuale: a maggior ragione, oggi, essi dovrebbero rappresentare una dimensione di alterità rispetto al senso profano più dominante e totalitario (il visuale appunto). Questo perché le religioni , invece, sono basate sull’ascolto. Si pensi alle grandi orecchie del Buddha o al mettersi in ascolto, o l’incipit di tutto, all’inizio fu il Verbo, la parola.

Per concludere, per ora, diciamo che tutto ciò ci sembra una profanazione non solo di carattere religioso, ma del più autentico spirito della grande tradizione architettonica della ex Italia da parte di questi esperti del marketing, delle accademia varie, acclamatisi e acclamati da quelli del vitello d’oro, geni.