L’agricoltura italiana muore di Liberismo (e di Europa)
di Michele Rallo - 27/05/2016
Fonte: Il Discrimine
Sono andato a ripescare un mio vecchio intervento parlamentare. Correva l’anno 1999: l’euro non era ancora in circolazione, ma già la globalizzazione impostaci dai poteri forti aveva cominciato a fare gravi danni. Da tempo ero in rotta di collisione con la linea del mio partito, sebbene non fossi ancora giunto alla completa rottura. Percepivo confusamente che l’Unione Europea ci stava portando a sbattere, ma tante cose non mi erano ancora chiare, non potevo immaginare la vastità e la complessità del piano che era stato messo in atto per distruggere l’economia dei paesi europei.
L’intervento in questione era, una volta tanto, in linea con l’indirizzo del partito; anzi, era una dichiarazione ufficiale di voto a nome del gruppo di Alleanza Nazionale. L’oggetto della votazione era la ratifica (cui AN era contraria) di un accordo internazionale con cui il governo italiano s’era impegnato ad importare enormi quantità di prodotti agricoli (fra cui 410.000 tonnellate di agrumi) dal Marocco.
Il quadro generale – ripeto – non appariva ancora nitido, ma qualcosa di pur vago iniziava a delinearsi. Riporto un passo del mio intervento: «Ormai c’è un disegno, ci sono date ben precise per la creazione di una zona di libero scambio nel Mediterraneo, da qui a pochi anni. Allora io mi domando (e domando al collega Prestamburgo che poco fa ha affermato che non ratificando quest’accordo si perderebbe una
buona occasione per sottoporre l’agricoltura siciliana alla sferza del mercato e della concorrenza) quale concorrenza si possa immaginare tra operatori economici che ai propri operai corrispondono 120.000 lire al giorno, ed altri che, come quelli marocchini, pagano un operaio agricolo sì e no 120.000 lire al mese? Quale concorrenza potrà mai sostenere l’agricoltura italiana nei confronti di questi numeri?» (Camera dei Deputati, resoconto stenografico n. 578 del 28/07/1999).
Certo, c’è anche un pizzico di umano autocompiacimento, per avere avuto la vista lunga… Ma non è per questo che a quel trattato ho spesso ripensato in questi giorni, man mano che giungevano – una dopo l’altra – le notizie dei tanti accordi commerciali che l’Unione Europea è andata stipulando con i vari paesi arabi: con l’Egitto per le arance, con la Tunisia per l’olio, con il Marocco per i pomodori, e speriamo che si fermino qui.
La motivazione ufficiale è che bisogna aiutare l’economia dei paesi arabi, disastrata dai contraccolpi del terrorismo. Ma i motivi veri sono altri, sono i dettami del liberismo che impongono di cancellare ogni tutela per gli interessi generali e di sottomettere i processi economici all’unica regola del “mercato”, quella della domanda e dell’offerta. Regola che, di per sé, non tiene in grande considerazione l’interesse generale; ma che – in un’epoca che tende a fare del mondo intero un unico grande “mercato” – si traduce in una sentenza di morte per numerose economie nazionali. Per quelle europee, in particolare, destinate ad essere schiacciate – tutte, anche la tedesca – fra la potenza straripante dell’economia americana e delle multinazionali, e la concorrenza delle economie dei paesi poveri, che producono a costi risibili.
Ma non è tutto, perché dal 1999 ad oggi sono cambiate alcune cose, e non certamente in meglio. Allora, accordi del genere si stipulavano fra Stato e Stato, fra l’Italia e il Marocco. E il governo italiano non poteva spingersi oltre certi limiti, dovendo pur rispondere in qualche modo all’opinione pubblica nazionale. Oggi, invece, questi accordi li stipulano gli organismi europei, che se ne fregano allegramente degli interessi del comparto agricolo italiano (o di quello greco, o di quello spagnolo…).
Certo, meraviglia che di tali manovre si facciano complici anche elementi italiani. Apprendo, per esempio, che la Commissione Commercio Internazionale del Parlamento Europeo ha dato il via libera all’accordo per l’olio tunisino anche con il voto favorevole degli europarlamentari italiani del Partito Democratico.
Ma forse non è il caso di meravigliarsi. Sono cose che succedono quando si perde la bussola. Magari i poveretti credevano di andare in direzione degli interessi italiani, e invece seguivano soltanto le indicazioni dei mercati.