Il valore dell'ascolto
di Lorenzo Merlo - 28/05/2016
Fonte: Il giornale del Ribelle
Sicurezza nella relazione esprime una modalità di frequentazione dell’ambiente naturale, ma non solo, da integrare con la diffusa prassi di avvalersi di strumenti, studio, esperienza e normative. Premessa. La sicurezza sussiste solo in quella modalità bidimensionale, algebrica, euclidea di concepire il mondo e la vita, ove tutti gli elementi sono immobili come in una fotografia. In modalità volumetrica, fluttuante, quantica nella realtà innumerevoli elementi, diversi da loro stessi in ogni istante, anelano al loro scopo costringendo anche a modificare il nostro, la sicurezza non è più concepibile. Queste righe dedicate alla sicurezza vorrebbero scongiurare il rischio di creare fazioni in contrasto; vorrebbero essere semplicemente propositive; vorrebbero solo invitare riflessioni personali, le sole che hanno il potere di provocare evoluzioni individuali. Sono considerazioni dedicate a chi non ha avuto il tempo per qualche riflessione sulla sicurezza, né sul linguaggio ordinariamente impiegato per parlarne e alla conseguente realtà deterministica che ne scaturisce, ove oltre a credere di poter vendere, si può anche credere di poter comprare sicurezza. Con le Guide in sicurezza; Professionisti della sicurezza; In totale sicurezza e divertimento sono formule tanto frequentemente impiegate per vendere sicurezza quanto inopportune in quanto fuorvianti. Ciò che a mio parere dovrebbe essere venduto e comprato è una specie di opposto, la garanzia dell’ineludibile rischio d’imprevisto. La cultura analitica, esclusivamente bidimensionale, che ci ha cresciuti induce a concepire il problema della sicurezza nella sola dimensione tecnico-fisica, ci spinge a coltivare espedienti tecnologici (strumenti e equipaggiamento) e regolamentativi (leggi, restrizioni) come modalità unica per creare sicurezza. […] Un processo legittimabile e funzionale a produrre automi irreggimentati, deprecabile e sconveniente se ci poniamo l’autonomia e la responsabilità di noi stessi e della realtà come scopo. Nel primo caso avremo persone che si muoveranno a misura di altro, nel secondo a propria misura.
Ma allora come la realizza il camoscio? Il camoscio non fa esclusivamente riferimento a quanto ha già visto e esperito, resta in ascolto, stima permanentemente, come l‘esploratore, non fa altro. Senza saperi, senza tecnologia, senza affidarsi ciecamente all’esperienza, senza rispettare divieti, il camoscio realizza la miglior sicurezza disponibile, eventualmente rinunciando. Serve esperienza per lasciare da parte l’esperienza, per sentirne l’invasività e la prevaricazione in occasione delle scelte. L’atteggiamento sportivo/competitivo che la comunicazione mainstream ci induce a condividere, a considerarlo un valore assoluto quindi irrinunciabile, comporta concepire la montagna, e ogni ambiente aperto, alla stregua di un campo sportivo ove esercitare la nostra passione. Ma è accettabile ridurre la natura a campo da gioco? Abbiamo mai osservato le implicazioni che comporta? È forse per questa inopportuna concezione che tendiamo a produrre, condividere, promuovere e accettare regolamentazioni anche per i terreni aperti o nonché forse per pigrizia e inconsapevolezza? Creare una regola è meno impegnativo che promuovere una cultura dell’ambiente, della relazione; una cultura non più solo codificata e codificabile, dedita a sancire il diritto al tempo libero e al libero edonismo. Il campo da gioco è un dominio che implica la regola. Il campo da gioco è un ambito che induce, contempla e permette la replica di situazioni simili e limitate. Trasferire la mentalità idonea al campo da gioco al contesto naturale, dove non ci sono righe immaginarie a delimitare alcun campo, regole a limitare l’influenza delle variabili della natura, è la condizione di origine di molte nostre scelte... fondate sugli elementi dogmaticamente prescritti e considerati sufficienti a gestire la sicurezza in natura. Tuttavia è opportuno considerare che nella natura viva, ciò diviene sconveniente, perché lì non ci sono campi delimitati, e il muoversi secondo decaloghi formulati da altri, la valorizzazione della sola esperienza e delle conoscenze e anche il solo rispetto del divieto alzano i rischi d’imprevisto. Che fare? Imparare dal camoscio è possibile disponendo della consapevolezza dell’ascolto. […] L’ascolto non è pensare, non è volere, né inseguire, è essere. Non è un’azione dell’io, delle sue intenzioni, aspirazioni e pretese, corrisponde al sé, quell’ente non vincolato dalle forme, non soggetto ai mutamenti, sempre disponibile con noi. Per arrivare al sé è necessario però ripulire il pertugio dal quale guardiamo la vita dai residui appiccicosi che l’io è maestro nel creare. […] È attraverso il canale affettivo del sentire che nessuna madre e nessun bambino può sottoscrivere di essere due, di essere separata una dall’altro. Con l’ascolto si possono riconoscere le difficoltà nascoste di qualcuno del gruppo, possiamo avvertire un cambio di direzione del vento, possiamo aggiornare le scelte appena prese, possiamo coniugare tutti gli elementi presenti in quell’ambito, non solo quelli quantificabili dalla nostra scienza e competenza, quindi stimare più opportunamente il terreno, i tempi, il pendio di neve, la colata ghiacciata. Possiamo sapere che oggi non sono concentrato, non sono adatto a stimare la situazione. Con l’ascolto possiamo essere uno. Possiamo coniugare ciò che abbiamo e sappiamo con l’istanza del momento. Senza ascolto tendiamo ad affermare quanto sappiamo e crediamo, tendiamo a montare la tigre dell’esperienza fino all’arroganza di farla valere sopra tutto, fino a renderci determinati e così, ciechi, l’affermazione è un cancello che rinchiude l’ascolto in una cella senza finestre. Ascolto, saperi e norme dovrebbero convivere in pari dignità. Con l’ascolto, diventa vero che ogni particolare contiene il tutto. L’ascolto è chiaroveggenza. Non tiene conto solo dei dati raccolti, include noi stessi, la nostra condizione, le nostre esigenze, intenzioni, aspettative, rende consapevoli le nostre pretese, illumina i nostri pregiudizi, straccia le vanità, azzera l’orgoglio, ammansisce la presunta superiorità, permette di raccogliere lo spunto buono dall’ultimo arrivato. L’ascolto implica la relazione non è affermazione brutale, è circolare non lineare, è apertura non chiusura, è evoluzione personalizzata non uniformata. L’ascolto tende alla scoperta. La storia ha spinto allo sviluppo del razionale, tralasciando di coltivare la dote dell’ascolto già in nostro possesso, già ordinariamente sebbene inconsapevolmente quotidianamente impiegato. L’ascolto è allenabile ed è soggetto alla nostra condizione di armonia. L’ascolto è una vibrazione sensibile a tutto, è disturbato dall’alimentazione, dallo stato di salute, dai farmaci, dai pensieri, dall’ambiente familiare da quello contingente, dagli inquinamenti, dalle dipendenze siano vizi ordinari siano capitali, da valori edonistici, dalle pretese, da sentimenti ed emozioni. Tanto più siamo preda di disturbi affettivi, fosse anche solo la semplice prestazione sportiva ovvero fossimo anche solo assoggettati alla nostra stessa vanità, tanto più la disponibilità a sintonizzarci sui canali dell’ascolto tenderà a ridursi. Quale morale? Non si tratta di prediligere l’ascoltare in sostituzione all’avere e al sapere. Si tratta piuttosto di recuperare la dimensione dell’ascolto in quanto permette alle conoscenze che abbiamo di combinarsi creativamente, meno dogmaticamente, cioè più opportunamente allo scopo della sicurezza. Chi condivide queste note, le può prendere in considerazione al fine di un cambio di paradigma del proprio pensare, del proprio comportamento. Se desideriamo una cultura che coltivi le doti che ha dimenticato, non sarà fatta da altri, dall’esperto, dal legislatore, dal professionista, dello specializzato, dovrà essere generata da noi. Per aggiornare quella stessa cultura che ci ha insegnato a delegare la salute, la cultura, la politica, nel bene e nel male ha bisogno di noi. E per farlo non è necessaria la laurea, ma il desiderio, l’intenzione, la ricerca, la bellezza di una visione più corrispondente a noi […]