Il sonno della ragione e la tecnologia
di Silvia Ribeiro - 29/05/2016
Fonte: Comune info
Si possono dare molte interpretazioni su quanto trasmette l’incisione di Goya “Il sonno della ragione genera mostri”, comprese alcune opposte tra di loro. Senza escludere altri significati, per me la frase è una buona allegoria della tecno-scienza dominante: i suoi sogni producono mostri e, fondata com’è sulla ragione lineare e univoca che la caratterizza, cerca di costruirli, molte volte riuscendoci, a dispetto dei loro impatti. Per quanto, in questo caso, l’uso del termine “scienza” è troppo generoso. Si tratta in realtà di tecnologie che possono essere molto sofisticate, ma che vengono sviluppate con un obiettivo prestabilito: la produzione di profitti per le grandi imprese che ne dispongono e che per tale scopo non considerano i fattori di dubbio e di complessità, vale a dire, negano i principi fondamentali di ogni scienza.
Un chiaro esempio di questa logica riduttiva sono le colture transgeniche. Con venti anni di presenza sul mercato, le statistiche ufficiali degli Stati Uniti, primo e principale produttore di transgenici nel mondo, dimostrano che queste sementi sono più care, che la produttività è minore rispetto agli ibridi che già esistevano, che c’è stato un brutale aumento nell’uso di pesticidi nella semina e dei loro residui negli alimenti, nelle acque e nella terra, con gravi ripercussioni sulla salute e sull’ambiente. Tutte le sementi transgeniche sono brevettate, per cui la contaminazione con questi geni è un delitto nei confronti delle vittime – e un affare per le imprese. La ricerca e lo sviluppo dell’inserimento di un gene transgenico (attraverso l’ingegneria genetica) costa in media 136 milioni di dollari statunitensi, mentre la produzione di una semente ibrida costa in media 1 milione di dollari.
Anche se ogni semente prodotta in laboratorio, si basa sulle varietà sviluppate dai contadini e dalle popolazioni indigene da migliaia di anni, questi processi industriali rimpiazzano, intaccano e contaminano le migliaia di varietà che contadine e contadini producono ogni anno, che sono adatte alle migliaia di microclimi, situazioni geografiche, variazioni dovute al cambiamento climatico, esigenze e gusti locali e che continuano a circolare liberamente tra coloro che le hanno create e molti altri ancora e che costituiscono la base dell’alimentazione della maggioranza della popolazione mondiale.
Nel mondo, le imprese che controllano tutte le colture transgeniche coltivate commercialmente sono pochissime (Monsanto, Syngenta, DuPont-Pioneer, Dow, Bayer, Basf) e poiché sono in fase di fusione, saranno ancora meno. Sono le stesse che controllano più dei due terzi del mercato globale delle sementi ibride e degli agrotossici. Pertanto, sebbene i transgenici siano peggiori degli ibridi già esistenti, le multinazionali insistono nell’imporli poiché sono più costosi e generano maggiore dipendenza e più vendite di agrotossici.
Affinché una tecnologia giunga sul mercato, non è necessario che sia buona e nemmeno che sia utile, basta semplicemente che quelli che la controllano detengano potere economico, politico e al bisogno, di corruzione. Tuttavia, malgrado le enormi quantità di denaro che l’industria biotecnologica ha speso in propaganda, marketing, lobbying o corruzione per fare leggi a suo favore, non ha ottenuto che la maggioranza delle persone la supporti e neppure che sia indifferente. In tutto il mondo, la maggioranza delle persone replicano che preferiscono non mangiare cibi transgenici. È un fatto molto importante: hanno invaso i mercati ma non sono riusciti a colonizzare la nostra mente.
I transgenici sono una tecnologia imprecisa e già obsoleta, anche se le imprese insistono nel coltivarli nei nostri paesi, con il fine di continuare a trarre profitto dai prodotti che già possiedono. Tuttavia, negli ultimi anni, l’industria biotecnologica e i laboratori da essa finanziati, hanno sviluppato altre tecnologie, che cercano di staccarsi pubblicamente dai transgenici, con il fine di eludere sia i regolamenti che la resistenza delle persone.
La maggioranza di queste nuove biotecnologie sono inglobate nel campo della biologia sintetica, che consiste nella costruzione in laboratorio di sequenze genetiche sintetiche per ridisegnare, “editare”, sistemi biologici oppure sintetizzare genomi completi, vale a dire costruire organismi viventi, però di sintesi. Quest’ultima parte non è andata oltre a piccoli microorganismi, come i virus. Tuttavia, industriali pionieri come Craig Venter, hanno già costruito artificialmente tutto il genoma di un batterio ed esistono diversi progetti per assemblare sinteticamente organismi molto più complessi.
A differenza dei transgenici, dove all’inizio gli investimenti provenivano da piccole imprese, nell’industria della biologia sintetica sono entrati fin da subito i pezzi grossi: le più grandi imprese a livello mondiale del settore petrolifero, chimico, farmaceutico e dell’agrobusiness. All’inizio la maggior parte dell’industria si è dedicata a cercare di modificare il metabolismo di microorganismi affinché, a partire dalla biomassa, producessero combustibili: sono riusciti a farlo in laboratorio, ma è risultato difficile svilupparlo. Perciò, usando le stesse tecniche, si dedicano attualmente alla manipolazione del metabolismo di batteri e lieviti per sintetizzare composti ad alto valore aggiunto, come principi farmaceutici, aromi, fragranze.
Tra gli altri, sono già stati prodotti o sono in fase di produzione, versioni di biologia sintetica di artemisia, vaniglia, zafferano, patchouli, vetiver, olio di cocco e di rosa, stevia, ginseng. L’industria li presenta come “naturali” perché sono prodotti in vasche per mezzo di microbi vivi modificati. Non si è indagato sugli impatti ambientali di questi microbi transgenici 2.0, né su cosa succederebbe se, fuoriuscendo dai serbatoi, si riversassero negli ecosistemi e ancora molto meno si è indagato su quali impatti i prodotti derivati avranno sulla salute. Quello che si sa è che quasi tutte le sostanze botaniche che l’industria della biologia sintetica sostituisce o progetta di sostituire, sono attualmente il risultato del lavoro di milioni di contadine e contadini in diverse parti del mondo, per i quali questo attento lavoro di raccolta e coltivazione significa la loro unica fonte di reddito.
Le imprese dell’agrobusiness e dei transgenici stanno avanzando anche nell’utilizzo della biologia sintetica per manipolare altre piante e coltivazioni. Ad esempio, esiste la tecnologia per creare erbe infestanti che siano più sensibili ai pesticidi, poiché uno dei limiti delle colture transgeniche è la comparsa, già molto diffusa, delle “erbe super infestanti”, che sono resistenti ai loro agrotossici. In questo modo, potranno usarne ancora di più.
Allo stesso modo che con i transgenici, le imprese assicurano che la biologia sintetica è una panacea per risolvere i problemi di fame, salute e ambiente. Al contrario, è evidente che quello che vogliono con queste nuove tecnologie è rinnovare i loro profitti, riciclando i loro transgenici obsoleti e cacciando le produzioni contadine.
La biologia sintetica procede molto rapidamente e praticamente senza alcun controllo, in agricoltura e anche in altri settori, con impatti economici, ambientali, di salute, potenzialmente molto gravi. La posizione del Gruppo ETC è lottare peruna moratoria immediata sulla biologia sintetica, almeno per conoscere e discutere i suoi possibili impatti. La questione è già in discussione alla Convenzione della Diversità Biologica delle Nazioni Unite (che si riunirà in Messico a dicembre 2016), ma è solamente in seguito alle proteste delle persone, dei movimenti, delle comunità e delle organizzazioni, che prenderanno in considerazione questa richiesta.
In sostanza, oltre alla messa in discussione di questa nuova tecnologia, abbiamo bisogno di costruire una critica collettiva che non sia solo verso ciascuna tecnologia presa separatamente, ma che sia nei confronti della matrice tecno-scientifica dominante.
.