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Francia: Hollande e la guerra al lavoro

di Michele Paris - 05/06/2016

Francia: Hollande e la guerra al lavoro

Fonte: Altrenotizie

 

Davanti all’ondata di scioperi e proteste che continuano ad attraversare la Francia, il governo Socialista del presidente, François Hollande, e del primo ministro, Manuel Valls, sembra deciso a proseguire nell’implementazione dell’odiata legge di “riforma” del mercato del lavoro (“legge Khomri” o “loi travail”) in fase di discussione al Parlamento di Parigi.

Martedì ha preso il via un nuovo sciopero in Francia, con i lavoratori delle ferrovie che hanno incrociato le braccia a partire dalle ore 19. La protesta, promossa dalla Confederazione Generale del Lavoro (CGT), ovvero il secondo sindacato francese per numero di iscritti, dovrebbe creare disagi non indifferenti. Secondo la società ferroviaria francese (SNCF), il 40% dei treni ad alta velocità (TGV) e i due terzi del normale trasporto nazionale su rotaia dovrebbero essere interessati dall’agitazione.

La più moderata Confederazione Francese Democratica del Lavoro (CFDT) ha però annullato lo sciopero dei propri membri in seguito alla promessa di concessioni da parte del governo, attenuando parzialmente l’impatto della protesta. I ferrovieri francesi sono infatti in sciopero non solo contro la “riforma” Khomri, ma anche contro un piano di riorganizzazione interna che prevede un netto peggioramento delle condizioni di lavoro.

Il calendario degli scioperi annunciato dai sindacati d’oltralpe è comunque ricco. Giovedì toccherà ai lavoratori della metropolitana parigina, mentre il settore aereo non ha ancora fissato una data precisa per uno sciopero dettato anche da previsti tagli delle retribuzioni. Altre categorie avevano già manifestato nelle scorse settimane, tra cui quella petrolifera, causando forti disagi. Il blocco di raffinerie e depositi di carburante aveva spinto il governo in alcuni casi a impiegare le forze dell’ordine per rompere la resistenza dei lavoratori e garantire le forniture nel paese.

La legge in questione prende il nome dal ministro del Lavoro, Myriam El Khomri, e minaccia di stravolgere il codice che ha garantito per decenni diritti e una certa sicurezza ai lavoratori francesi. La resistenza al provvedimento è tale da avere costretto il governo ad adottare una manovra profondamente anti-democratica per favorirne l’approvazione in Parlamento.

Tre settimane fa, cioè, il gabinetto Valls era ricorso all’articolo 49, paragrafo 3, della Costituzione francese, per forzare il passaggio della legge all’Assemblea Nazionale senza un voto dei suoi membri. Questo espediente manda la legge direttamente al Senato e la Camera bassa ha la possibilità di ostacolarne l’approvazione solo sfiduciando il governo. Vista la necessità dei voti di un numero consistente di deputati Socialisti, tutt’altro che disposti a far cadere l’esecutivo, le mozioni di sfiducia dell’opposizione erano prevedibilmente fallite.

Ad ogni modo, le proteste e l’ondata di scioperi nel paese erano iniziate subito dopo il colpo di mano in Parlamento di Hollande e Valls. Alla guida della mobilitazione si è messa appunto la CGT e il suo leader, Philippe Martinez, ben intenzionato a rilanciare la sua immagine di sindacalista radicale di fronte a un sentimento di ostilità irrefrenabile verso il governo tra i lavoratori francesi.

Fino a pochi giorni fa, i vertici della CGT chiedevano il ritiro senza condizioni della “legge Khomri”, focalizzando il proprio malcontento in particolare sull’articolo 2 del testo, quello cioè che prevede per le aziende la possibilità di negoziare direttamente le condizioni di lavoro con i propri dipendenti, aggirando i contratti e le regolamentazioni nazionali per sfruttare la posizione di debolezza dei lavoratori.

Secondo i sondaggi pubblicati in Francia, d’altra parte, non solo i lavoratori iscritti ai sindacati ma anche la maggioranza della popolazione è favorevole al ritiro della legge, nonostante la campagna di discredito nei confronti degli scioperanti portata avanti da politici e media ufficiali.

Il governo e il presidente sono apparsi scossi dalla resistenza emersa nel paese contro il loro tentativo di ristrutturare i rapporti di classe in Francia. Tanto più che, tutt’altro che casualmente, l’introduzione della legge era stata decisa mentre è in vigore lo stato di emergenza, deciso dopo gli attentati terroristici del novembre scorso a Parigi. Grazie ad esso, le forze di polizia hanno poteri straordinari per contrastare qualsiasi genere di “minaccia” all’ordine pubblico.

Ciononostante, pubblicamente sia Valls sia Hollande hanno continuato a sostenere che il governo non farà passi indietro sulla “loi travail”. Recentemente erano però circolate dichiarazioni che lasciavano intendere possibili modifiche alla legge, ma la sostanziale linea dura è stata ribadita proprio in questi giorni dal presidente. In un’intervista rilasciata al quotidiano Sud Ouest nel corso di una visita a Bordeaux, Hollande ha confermato che “la legge non sarà ritirata”.

Lo stesso inquilino dell’Eliseo ha concesso che gli accordi contrattuali negoziati nelle singole aziende dovranno essere approvati “dai sindacati che rappresentano la maggioranza dei lavoratori”, anche se “lo spirito e il principio” dell’articolo 2 rimarrà immutato.

L’affondo di Hollande su una legge che è un sostanziale regalo agli imprenditori francesi è giunto probabilmente dopo i segnali lanciati dal numero uno della CGT Martinez nei giorni precedenti. Lo stesso riferimento del presidente alla collaborazione dei sindacati nell’implementazione di contratti ad hoc, che rifletteranno di fatto le esigenze del management aziendale, è a sua volta un messaggio alla CGT e un invito a procedere con l’inizio della smobilitazione dei lavoratori.

Se Martinez continua a proclamare la necessità degli scioperi e a tuonare contro la “riforma”, i suoi toni sono evidentemente cambiati da qualche giorno a questa parte. Inoltre, la stessa strategia di organizzare scioperi settoriali in maniera separata è a ben vedere un modo per contenere le tensioni, visto che un’arma ben più efficace sarebbe stata la mobilitazione di massa con uno sciopero generale.

In un’intervista televisiva nel fine settimana, il leader della CGT ha lasciato intendere comunque di essere segretamente in contatto con il governo per trovare una soluzione negoziata allo scontro in atto. Inoltre, nel suo intervento non vi è stata traccia delle precedenti richieste di ritirare il provvedimento.

Lunedì, poi, il ministro Khomri ha affermato alla radio RTL di essere in attesa di una proposta della CGT ma che non ci potrà essere nessun accordo se la posizione del sindacato resterà invariata. Martinez, infine, nella serata di lunedì ha fatto sapere di essere disposto ad accettare l’invito al dialogo “senza pre-condizioni”.

Evidentemente, la CGT e il suo leader non intendono rompere i legami con il Partito Socialista e il governo Hollande-Valls. Peggio ancora, i sindacati francesi intravedono la possibilità di conservare un ruolo privilegiato nella nuova legge, malgrado gli effetti disastrosi sui loro iscritti e sui lavoratori in genere.

Se molti prevedono dunque un’attenuazione della linea dura della CGT, questa operazione non risulterà semplice vista l’attitudine dei lavoratori francesi verso il governo e la legge sul lavoro. Fondamentale risulterà la capacità di convincere manifestanti e scioperanti dell’importanza delle eventuali concessioni che farà il governo, anche se, come hanno assicurato svariati esponenti di quest’ultimo, essi saranno tutt’al più marginali.

Intanto, le pressioni del governo e di tutta la classe politica francese su lavoratori e sindacati per far rientrare la mobilitazione continua a crescere. Una delle armi che verrà utilizzata a questo scopo con sempre maggiore frequenza è il campionato europeo di calcio, ospitato appunto dalla Francia.

L’appuntamento prenderà il via il 10 giugno prossimo e già da ora si sprecano gli appelli per il ritorno alla normalità in un paese che sembra non potersi permettersi una brutta figura con gli occhi di tutta l’Europa puntati addosso.