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Ecco perchè essere comunisti dopo il '68 è un dovere

di Gianfranco Costanzo - 07/06/2016

Ecco perchè essere comunisti dopo il '68 è un dovere

Fonte: Il Talebano

ECCO PERCHÈ ESSERE COMUNISTI DOPO IL ’68 È UN DOVERE

Parola di Michel Clouscard

Come i nostri lettori sanno un ruolo particolare nell’ elaborazione del pensiero comunitarista è svolto dalla collana Circolo Proudhon sempre attenta a proporre testi il cui contenuto si ponga in dissidenza rispetto al pensiero unico.  Tra le connesse iniziative culturali di cui il Talebano e l’Intellettuale dissidente si sono fatti promotori – all’interno di un percorso di laboratorio culturale al di là degli schieramenti tradizionali di destra e di sinistra – è stata la presentazione del nuovo lavoro di Lorenzo Vitelli: Un comunista a Parigi nel’ 68 – Metamorfosi del capitalismo nel  pensiero di Michel Clouscard, ed. Prudhon, 2016.

Protagonisti della serata, ospitata all’interno della biblioteca del Liceo Manzoni di Milano, oltre all’autore, il moderatore Ippolito Pingitore, il filosofo Diego Fusaro e l’ormai noto Vincenzo Sofo. Il testo in questione è particolarmente interessante per comprendere l’evoluzione, a partire dal ‘68, del liberal-progressimo. Con questo termine si intende quello che Plinio Correa de Oliveira indicava come il risultato del passaggio della passione ugualitaria dalla terza alla quarta rivoluzione. Quella che realizza, secondo Fusaro, un capitalismo post-borghese  e post-proletario. Un post-industrialismo che supera il concetto di classi, tipico dell’industrialismo, e che vive una nuova fase.

Il capitalismo aveva infatti avuto fino ad allora il freno dei valori tradizionali e comunitari che, seppur in maniera inconsapevole e depotenziata erano presenti nelle mentalità borghese e proletaria: senso del risparmio, morigeratezza, morale sessuale, senso familiare e identitario.  A partire dal ‘68, è la rivoluzione culturale che spazza via queste ultime resistenze, inaugurando una cultura individualista e libertaria. È “il colpo di genio dell’ideologia neocapitalista che propone il fenomeno dell’integrazione, della partecipazione al disordine voluto dai mercanti delle nuove libidinalità liberatrici come una rottura con la società dei consumi”. Interessante sotto questo aspetto è il fenomeno, analizzato dal libro di Vitelli, del Marx-Freudismo, ovvero quello sviluppo della scuola marxista che si avvicina alla controcultura dell’epoca.  È una sinistra che si sposta dalla lotta di classe alla liberazione sessuale  partendo dalle teorie di Freud e di Reich secondo i quali il capitalismo aveva bisogno, per perpetrarsi, delle energie della repressione sessuale tipiche del mondo borghese.

Con il senno di poi, è evidente una certa eterogenesi dei fini, già notata ai tempi da Augusto del Noce. La liberazione del desiderio diventa, infatti, un elemento portante dell’ ultracapitalismo, in un processo che di fatto accelera l’americanismo già entrato nella cultura europea dal 1945. Il libro di Vitelli è importante anche per capire l’evoluzione delle sinistre post-moderne come le conosciamo oggi nella loro proposta libertaria e liberal-progressista  totalmente dominanti sulle vecchie istanze classiste (aka i finocchi, NdR). Per ultimo è anche interessante notare la correlazione tra l’immenso mercato del desiderio liberalizzato e l’attuale colonizzazione dell’immaginario simbolico mercificato. Un esempio è nel libro di Fabrizio Fratus e Paolo Cioni “L’ideologia del godimento”ed. Proudhon che analizza  il fenomeno della pornografia come paradigma di distruzione di un’antropologia personale integrale, ma anche comunitaria, nella sua dimensione sociale.