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Terra e autodeterminazione

di Filippo Taglieri - 14/06/2016

Terra e autodeterminazione

Fonte: Comune info

 

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Nicola Photo

 

 

Nel mese di aprile le reti sarde aderenti a Genuino Clandestino si sono cimentante nella sfida di ospitare l’incontro semestrale, nonostante le distanze la cospicua presenza di cittadini e contadini ha permesso che si assistesse a un altro scambio di esperienze, soprattutto in un contesto, quello sardo, che per la prima volta chiamava a raccolta le realtà contadine dell’isola, sebbene già da circa un anno sia nato un gruppo di collettivi e associazioni che aderisce al movimento.

La tre giorni ha avuto una classica organizzazione con un’assemblea iniziale di presentazione, ampi spazi di confronto informale hanno consentito di procedere nei giorni successivi in maniera più rapida. Nel secondo giorno, durante la mattina si sono svolti sette tavoli di lavoro molto partecipati su Garanzia Partecipata,  Prodotti Genuini e Clandestini, Autonomia dei territori, Biodiversità, Cucine autogestite, Scambio mutuo aiuto e nodi.

Ogni tavolo ha fornito spunti interessanti, il tavolo più partecipato, è stato quello sull’autonomia dei territori, nel quale diverse resistenze territoriali sarde e non solo si sono confrontate su quali strategie e strumenti adottare per rendere le lotte più creative, incisive e partecipate.

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Questo tavolo identifica uno dei percorsi chiave di questa fase del movimento specie adesso che si comincia a progettare il prossimo incontro autunnale a Terni. Questa città del centro Italia che da anni è oggetto di continui attacchi alla sovranità alimentare. Qui la lotta per l’autonomia territoriale sintetizza adeguatamente l’esigenza di continuare nella difesa del territorio ma al contempo proporre un sistema alternativo o un’alternativa dentro o fuori del sistema stesso.

Torniamo per un attimo all’incontro sardo, al tavolo dell’autonomia dei territori c’è stata una prima opportunità di confronto fra le reti di Genuino Clandestino e i coordinamenti No basi oltre ad altri comitati che, in Sardegna, lottano contro devastazioni ambientali o accaparramenti di terre dovuti o a ragioni meramente economiche o  a ragioni simili ma mascherate da green economy come ad esempio Comitato “S’Arrieddu per Narbolia” (che, con grandi difficoltà, sta conducendo una lotta fondamentale contro una grossa speculazione “green” sulla terra di Narbolia, provincia di Oristano).

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La posta in gioco è alta, oltre l’autodeterminazione alimentare è in gioco l’autodeterminazione territoriale o più semplicemente una dignità al proprio futuro e a quello delle generazioni futuro. La questione che si è affrontata per prima è stata quella di organizzare la discussione in modo che tutti e tutte non perdessero di vista gli obiettivi del confronto e, garantendo lo scambio di esperienze, comunque si ragionasse collettivamente e creativamente su nuove modalità e pratiche da attuare nella quotidianità: da un lato contro queste devastazioni/usurpazioni, dall’altro per proporre un’alternativa che spostasse gli equilibri verso una condizione migliore oltre che autonoma.

Le esperienze dell’Amiata e di Terni hanno lanciato un segnale ai sardi aiutando a contestualizzare come la Sardegna non sia l’unico laboratorio di sperimentazione di pratiche che contrastano la vita di molti a favore di mire capitaliste. L’ascolto delle esperienze No Basi ha dato il polso della situazione, i livelli di conflitto e le mobilitazioni seppur ben organizzate rischiano di sembrare poca cosa o comunque azioni poco inclusive, in un territorio nel quale, si utilizzano ammortizzatori sociali o sussidi di diversa natura per far accettare di buon grado, uno status quo che parla di alti livelli di inquinamento, perdita di terreni agricoli (e non) a favore del grande carrozzone dei guerrafondai.

Dal confronto sono venute nuove proposte ed idee per il futuro oltre una chiara presa di posizione chiaramente antimilitarista, specie contro le servitù militari, utilizzando i momenti pubblici ed i mercati sparsi nel territorio per diffondere un’informazione chiara su quello che avviene nell’isola ma anche in altre aree (vedi la situazione in terra siciliana). Invece sul territorio sardo è nato lo stimolo a sperimentare nuove modalità per manifestare dissenso e magari passare per la convivialità e il cibo per far riflettere su un percorso complesso ma non rinviabile che è quello dell’antimilitarismo e l’opposizione alle servitù militari.

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In questa fase è parso chiaro che occorre rendere consapevoli le persone dei pericoli derivanti da questi livelli altissimi di inquinamento e smontare nella quotidianità le tesi di chi accetta questi attacchi perché non vede o non conosce alternative sostenibili. Per far questo c’è bisogno di un lavoro culturale per uscire dal meccanismo assistenzialista della richiesta o dell’attesa costante di premi di consolazione da parte dello stato al fine di accontentarsi sacrificando la propria vita per “arrivare a fine mese”.

L’impegno che le reti hanno preso è di continuare a lavorare, anche in vista dell’incontro di Terni, per fornire alternative credibili a chi vive in questi territori (ovviamente non si tratta solo dei territori sardi, siamo di fronte all’attacco definitivo in ogni territorio, Terni, Amiata, Sicilia, Puglia, etc.) e magari favorendo percorsi di auto organizzazione che interessino più da vicino le economie e le vite delle persone.

Il caso sardo riprodotto con più costanza soprattutto al sud o nelle città d’acciaieria porta a una lotta fra poveri in cui decidere fra salute e lavoro, fra presente e futuro, fra vita o morte come se fosse un gioco che qualcuno segue dall’alto dettando i tempi. La chiara esigenza di tutte e tutti è stata quella di non smettere di lottare ma al contempo concentrare le energie nel costruire alternative concrete per le persone, creare le condizioni in cui ci si trovi liberi di decidere consapevolmente qual è il futuro di un territorio, e di farlo in base alle esigenze di chi lo abita, ma soprattutto nel rispetto di donne e uomini, animali e natura. Questo porta al nodo della costruzione di comunità territoriali che partano dal fare nuova cultura ed educazione, nuovi percorsi di scambio, nuovi percorsi di compenetrazione delle vite.

Da quanto detto una riflessione nasce da sé, è il caso che i movimenti di difesa del territorio viaggino staccati che quelli che si occupano di proposizione di modelli altri? Come questi due mondi possono incontrarsi? Siamo di fronte a metodologie di lavoro diverse e differenti aspettative?

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Quello che sembra chiaro è che in alcuni territori e in alcuni momenti il contatto fra questi mondi avvenga, ma ciclicamente non si riesce a costruire percorsi continuativi. Una delle variabili chiave potrebbe essere il tempo. Il tempo della difesa troppo spesso è vittima dell’agenda dell’oppressore, la condanna tattica a rincorrere i vari attacchi troppo spesso cozza con i ritmi giocoforza differenti di chi, specie in agricoltura contadina, prova a costruire sistemi autonomi e radicalmente alternativi. Questo secondo mondo sfida quotidianamente la compatibilità della propria scelta e prova a costruire legami territoriali basati sulla fiducia e non sui rapporti (di forza), i tempi di questo lavoro non sono sintetizzabili con campagne stampa o di contro informazione, ma sono percorsi che vanno nella profondità delle vite di ognuno.

È presto per dire a che punto sia arrivato questo avvicinamento fra mondi e sembra presuntuoso abbozzare una risposta alle domande precedenti, ma tenerle presenti potrebbe essere utile per continuare la riflessione e la proposta di pratiche quotidiane.

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* Ha aderito alla nostra campagna 2016 Facciamo Comune insieme