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| SINGAPORE. Se le soluzioni prospettate da alcuni rappresentano problemi e rischi per altri, i destini a medio e lungo periodo di una bella fetta dell’umanità non possono essere rosei e lo iato tra ricchi e poveri, tra nord e sud del mondo tenderà inevitabilmente ad aumentare.
Mentre economisti come Serge Latouche non possono sentire nemmeno nominare la parola sviluppo nemmeno quando è accompagnata dall’aggettivo sostenibile, mentre la maggior parte degli ambientalisti ci fa notare che l´utilizzo delle risorse primarie ha un limite e stiamo già oggi pagando il conto ambientale causato dal modello di sviluppo degli ultimi decenni, mentre attenti osservatori dei rapporti tra Nord e Sud del mondo dichiarano che un cambiamento di modello e una inversione di tendenza deve per forza passare dalla difesa delle produzioni locali da attuare con lo sviluppo delle filiere corte, dall’altra, Rodrigo de Rato managing director del Fmi (Fondo monetario internazionale) partendo da un’analisi condivisibile sulla crescita dell’economia mondiale (potrebbe essere vicina al suo picco, dice) fornisce la sua ricetta per curare i mali economici del pianeta.
Secondo Rato, visti i rischi individuati nel prezzo del petrolio troppo alto, nel permanere di squilibri commerciali e degli investimenti e visto il ritorno al protezionismo, il modo migliore per impedire una inversione di tendenza nello sviluppo del pianeta, è quello di «incrementare ulteriormente il commercio internazionale».
Ecco qua, papale papale: la soluzione proposta dal direttore del Fmi è esattamente una delle cause dei problemi da lui stesso citati.
Basta sapere che, ogni anno, negli stati del golfo del Bengala colpiti dallo tsunami (India, Maldive, Sri Lanka, Bangladesh, Birmania, Thailandia, Malaysia e Indonesia), diversi milioni di persone (soprattutto bambini) muoiono semplicemente perché non dispongono di acqua potabile e bevono acqua contaminata per immaginarci quanto sono sfiorati dalle magnifiche sorti e progressive dello sviluppo del commercio mondiale.
Tanto per fare un esempio, secondo gli ultimi dati della Banca mondiale, il debito pubblico estero di cinque di questi paesi supera i 300 miliardi di dollari. E il rimborso di tale debito implica cifre gigantesche: più di 32 miliardi di dollari l´anno.
A scala planetaria, ogni anno i paesi poveri rimborsano, verso il Nord ricco, a titolo di debito, più di 230 miliardi di dollari.
Secondo l´Undp, sempre su scala planetaria, mancano circa 80 miliardi di dollari l´anno per garantire a tutti i servizi di base, ossia l´accesso all´acqua potabile, un tetto, un´alimentazione decente, l´educazione primaria e le elementari cure mediche. E´ l´ammontare di una piccola parte del budget che gli Usa hanno speso per finanziare la guerra in Iraq.
E´ il mondo alla rovescia. Alla rovescia come la ricetta del direttore del Fmi. Per provare a raddrizzarlo in termini di sostenibilità ambientale e sociale occorre ripristinare (o creare) un rapporto corretto fra dinamiche autonome dell´economia e governace mondiale in modo da orientare le istituzioni globali attuali come il Fmi o la Banca Mondiale e utilizzi pragmaticamente leve, che fino ad oggi sono state ideologicamente ignorate, come quella di creare una sorta di Iva internazionale.
Questa idea di «tassa planetaria» - prelevata sui mercati di cambio (Tobin tax), sulle vendite d´armi o sul consumo di energie non rinnovabili - è stata presentata all´Onu il 20 settembre 2004 dai presidente brasiliano Lula, dal cileno Lagos, dal francese Chirac e da Zapatero, primo ministro spagnolo. Più di cento paesi, ossia più della metà degli stati del mondo, appoggiano questa felice iniziativa. Ma tutto è fermo. Anzi, tutto, come dimostra Rato, continua muoversi nel senso opposto. Come se niente fosse.....
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